giovedì 30 settembre 2010

S. Teresa di Gesù Bambino, vergine (m) 1 ottobre


1 OTTOBRE
SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO
Vergine (1873-1897) memoria

«Se non vi convertite e non diventate come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3): è l’ideale evangelico che la Chiesa ripropone ai suoi figli nell’esempio vivo di questa giovane santa. Nata ad Alençon in Normandia (Francia), Teresa Martin ottenne da Leone XIII di entrare a 15 anni nel Carmelo di Lisieux. I nove anni che vi passò furono di una intensità spirituale straordinaria. Scrisse per obbedienza le sue esperienze interiori, fuse poi dalla sorella Celina nella «Storia di un’anima» che ebbe accoglienza eccezionale. La sua «piccola via dell’infanzia spirituale» ha in sé una potenza di dedizione senza limiti: «Non ho mai rifiutato nulla al buon Dio!» indica la forza dell’amore di Dio nel cuore della Chiesa, in cui aveva scoperto la sua «vocazione». I suoi manoscritti pubblicati ora nella loro nativa originalità la fanno conoscere ancora più grande in una gioiosa e mirabile semplicità di vita.

Maestra delle novizie per alcuni anni, è divenuta maestra di vita spirituale autentica secondo lo spirito delle Beatitudini, per tutti. Dio l’ha condotta per mano all’offerta totale di sé all’amore per la salvezza del mondo. Essa continua la sua opera, facendosi presente a chi l’invoca con una ininterrotta «pioggia di rose». Pio XI l’ha dichiarata patrona principale di tutte le missioni.

L’Eucaristia, di cui Teresa aveva scoperto la funzione apostolica, ci offre oggi la possibilità di imitare la santa nella sua volontaria «povertà in spirito» e nella sua ansia universale, soprattutto per le grandi intenzioni della Chiesa missionaria. Cristo che si fa «il più piccolo» nelle nostre assemblee eucaristiche, mediante poco pane e vino consacrati, ci insegna la via sicura per amare tutti: la sua Croce
.


Nel cuore della Chiesa io sarò l'amore

Dall' «Autobiografia» di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine
(Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, 227-229)

Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarmi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l'occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace.

Continuai nella lettura e non mi perdetti d'animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1 Cor 12, 31). L'Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità é la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace.

Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall'amore. Capii che solo l'amore spinge all'azione le membra della Chiesa e che, spentp questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l'amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l'amore é tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l'amore é eterno.

Allora con somma gioia ed estasi dell'animo grida: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione é l'amore. Si, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio.

Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà.

mercoledì 29 settembre 2010

" Un solo corpo in Cristo con Maria " di Mons. Mauro Piacenza


La preghiera del rosario nella vita sacerdotale

Un solo corpo in Cristo
con Maria

di Mauro Piacenza
Arcivescovo titolare di Vittoriana
Segretario della Congregazione per il Clero

A coronamento di quel dono di grazia che l'Anno sacerdotale è stato, l'11 giugno scorso, circa diciassettemila sacerdoti provenienti dai cinque continenti, si sono riuniti a Roma, attorno al Papa, per la concelebrazione eucaristica più grande della storia. Al termine, come un padre si assicura che i figli, in procinto di partire per una terra lontana, abbiano gli strumenti necessari per affrontare il viaggio ed evitarne i possibili pericoli, il Santo Padre ha affidato e consacrato tutti i sacerdoti, presenti e del mondo, alla Beata Vergine Maria, venerata con il titolo di Salus populi Romani.

Dietro questo grande "gesto magisteriale", insieme alla fede salda e coraggiosa di Pietro, risplende la coscienza che la Chiesa ha della propria imprescindibile e sempre nuova dimensione mariana, di quanto sia una cosa sola con la Vergine Santa, "proto-cellula" del Corpo ecclesiale, nella quale l'iniziativa della Grazia divina e la libera accoglienza umana si sono perfettamente coniugate, inaugurando il definitivo inizio della salvezza.

A sua Madre, Cristo stesso ha affidato tutto il popolo dei credenti nella persona del discepolo prediletto, indicando così la natura della Chiesa che da Lui sarebbe nata: un solo Corpo, una sola Carne in Lui, con Maria. Nella Beata Vergine, così, la Chiesa contempla il più perfetto modello di fede ed il segno di sicura speranza nella gloria futura.

Secoli e secoli di fede, santità ed insegnamenti magisteriali indicano, nella devozione mariana la "strada-maestra" del cammino di perfezione cristiana. Da oltre un secolo, poi, l'invito alla preghiera del santo rosario, caratterizza il mese di ottobre, che sta per cominciare. A questo proposito, è quanto mai utile considerare le ragioni della profonda ed affettuosa devozione che il popolo cristiano ha sempre nutrito nei confronti di questa preghiera. Non a caso, è bene ricordarlo, la recita del santo rosario, in comunità o nelle proprie case, gode dell'alto riconoscimento ecclesiastico dell'indulgenza plenaria.

Dal punto di vista storico, il rapido e sorprendente sviluppo di questa splendida preghiera, attribuito dalla tradizione a san Domenico di Guzman, è stato sempre dettato nei secoli da una duplice ragione: da un lato, la straordinaria fecondità spirituale, sperimentata da quanti vi si affidavano; dall'altro, il suo essersi rivelata come mezzo efficacissimo per ottenere la protezione divina, nelle vicende storiche, che, durante il secondo millennio, hanno minacciato l'Occidente cristiano e la stessa Chiesa (cfr. Leone XIII, Supremi apostolatus officio, 1 settembre 1883).

Ultima luminosa testimonianza del Rosario quale via ad Iesum per Mariam ci è stata offerta dal servo di Dio Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae. Egli, sulla scorta dei principali insegnamenti di spiritualità mariana, ha indicato, nel proprio motto episcopale, la consacrazione a Maria come la via più sicura ed efficace per la conformazione del discepolo a Cristo Signore: "Totus tuus".

Come non riconoscere, soprattutto nella vita ed in ciascuna giornata del sacerdote, la preziosità del rosario, quale memoria della salvezza, o come educazione del cuore all'atto di fede nel definitivo ingresso di Dio nella storia? Come non sentire l'urgenza di praticarne e diffonderne ancor più la recita, di fronte alle insidie dell'epoca contemporanea?
Tuttavia, prima di ogni altra considerazione, è necessario riconoscere come la preghiera del rosario alimenti la nostra stessa identità sacerdotale.

Se, infatti, nel renderci partecipi del Suo Sacerdozio - come il Papa ha autorevolmente insegnato (cfr. Veglia in occasione dell'Incontro Internazionale dei Sacerdoti a conclusione dell'Anno Sacerdotale, 10 giugno 2010) - Cristo ci tira dentro di Sé e così ci permette di usare il Suo stesso "io", è nella contemplazione dei Misteri della Sua vita, tramite gli occhi ed il cuore immacolato di Maria, che possiamo conoscerLo di più, apprendere i Suoi sentimenti, accogliere la grazia che ci dona nella quotidiana celebrazione eucaristica e renderci sempre più disponibili a quanto Egli dispone per noi.

Sarà la Beata Vergine Maria, che ora in corpo ed anima contempla la Gloria del Figlio, a comunicarci, come per osmosi, l'amore per il Figlio. Non stanchiamoci mai di imparare dalla Madre del Bell'Amore, che ha pronunciato, per tutta la Chiesa, il "sì" incondizionato alla volontà di Dio, permettendo così l'Incarnazione del Verbo, l'essere stesso della Chiesa e la Presenza sacramentale, ora, di Cristo nell'Eucaristia.

A Lei, al suo cuore, siamo misticamente uniti, non solo come membra della Chiesa, ma specialmente, in quanto sacerdoti: siamo alter Christus, altri suoi figli!

Essere sacerdoti, quindi, significa anche, per grazia, essere con Maria un solo cuore. Significa poter esultare: Totus tuus sum Maria et omnia mea tua sunt!

©L'Osservatore Romano - 30 settembre 2010

San Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa (m) 30 settembre


30 SETTEMBRE
SAN GIROLAMO
Sacerdote e dottore della Chiesa
(340-420)
Memoria

Nato a Stridone (probabilmente presso Aquileia), si procurò una eccellente istruzione a Roma, che completò lungo tutta la vita, anche in numerosi viaggi nei quali incontrò e strinse amicizia con alcuni fra i più famosi e colti Padri orientali. Battezzato a 25 anni, sacerdote a 38, Girolamo sembrava impastato di opposti: temperamento di fuoco intriso di lacrime, era suscettibile ma leale, austero e appassionato, sferzante e tenero, precipitoso e retto; viveva di digiuno, di lavoro, di preghiera, di veglie. Queste doti, l’enorme erudizione, le cinque lingue che padroneggiava, l’amore a Cristo e alla Chiesa, ne fecero uno scrittore di prim’ordine, il migliore dei Padri latini. Lottò tutta la vita a dominare se stesso; la sua virtù maschia e la sua pietà furono contagiose: trasse molte grandi anime a seguire Cristo da vicino.

Il primo periodo della sua vita fu una lunga serie di viaggi in Occidente e in Oriente, di esperienze di vita monastica, di penitenze, di studi, e si chiuse a Roma dove divenne segretario di papa Damaso, che lo incaricò di preparare una completa Bibbia in latino, rivedendo traduzioni anteriori, o facendone delle nuove. Il secondo periodo, dopo la morte del papa (385) e una più breve serie di viaggi in Oriente, lo vide a Betlemme, tutto dedito alla sacra Scrittura: a tradurre, a commentare.
Usava il tempo libero per dirigere un gruppo femminile che aveva iniziato all’ascesi a Roma e che l’aveva seguito in Terrasanta. Visse a Betlemme con lo spirito del Calvario, congiungendo tenerezza per Gesù bambino e per Maria con lo spasimo per il crocifisso. La vastissima produzione letteraria e la competenza biblica, lo pongono fra i maggiori dottori della Chiesa latina, patrono dei biblisti.

«E’ necessario che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (DV 21). Questo voto del Concilio sta diventando consolante realtà. Il nuovo abbondante Lezionario della Messa e della Liturgia delle ore è destinato a recare frutti abbondanti alla Chiesa. San Girolamo ci persuada che «ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (cf DV 25).


L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo

Dal «Prologo al commento del Profeta Isaia» di san Girolamo, sacerdote
(Nn. 1. 2; CCL 73, 1-3)

Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell'apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.

Perciò voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e vecchie, e così anche la Sposa, che nel Cantico dei Cantici dice: O mio diletto, ho serbato per te il nuovo e il vecchio (cfr. Ct 7, 14 volg.). Intendo perciò esporre il profeta Isaia in modo da presentarlo non solo come profeta, ma anche come evangelista e apostolo. Egli infatti ha detto anche di sé quello che dice degli altri evangelisti: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace» (Is 52, 7). E Dio rivolge a lui, come a un apostolo, la domanda: Chi manderò, e chi andrà da questo popolo? Ed egli risponde: Eccomi, manda me (cfr. Is 6, 8).

Ma nessuno creda che io voglia esaurire in poche parole l'argomento di questo libro della Scrittura che contiene tutti i misteri del Signore. Effettivamente nel libro di Isaia troviamo che il Signore viene predetto come l'Emmanuele nato dalla Vergine, come autore di miracoli e di segni grandiosi, come morto e sepolto, risorto dagli inferi e salvatore di tutte le genti. Che dirò della sua dottrina sulla fisica, sull'etica e sulla logica? Tutto ciò che riguarda le Sacre Scritture, tutto ciò che la lingua può esprimere e l'intelligenza dei mortali può comprendere, si trova racchiuso in questo volume. Della profondità di tali ministeri dà testimonianza lo stesso autore quando scrive: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere, dicendogli: Leggio. Ma quegli risponde: Non posso, perché è sigillato. Oppure si dà il libro a chi non sa leggere, dicendogli: Leggio, ma quegli risponde: Non so leggere» (Is 29, 11-12).

(Si tratta dunque di misteri che, come tali, restano chiusi e incomprensibili ai profani, ma aperti e chiari ai profeti. Se perciò dai il libro di Isaia ai pagani, ignari dei libri ispirati, ti diranno: Non so leggerlo, perché non ho imparato a leggere i testi delle Scritture. I profeti però sapevano quello che dicevano e lo comprendevano). Leggiamo infatti in san Paolo: «Le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti» (1 Cor 14, 32), perché sia in loro facoltà di tacere o di parlare secondo l'occorrenza.

I profeti, dunque, comprendevano quello che dicevano, per questo tutte le loro parole sono piene di sapienza e di ragionevolezza. Alle loro orecchie non arrivavano soltanto le vibrazioni della voce, ma la stessa parola di Dio che parlava nel loro animo. Lo afferma qualcuno di loro con espressioni come queste: L'angelo parlava in me (cfr. Zc 1, 9), e: (lo Spirito) «grida nei nostri cuori: Abbà, Padre» (Gal 4, 6), e ancora: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore» (Sal 84, 9).

CATECHESI DEL SANTO PADRE ALL'UDIENZA GENERALE - 29 settembre 2010

 
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 29 settembre 2010



Santa Matilde di Hackeborn

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi di santa Matilde di Hackeborn, una della grandi figure del monastero di Helfta, vissuta nel XIII secolo. La sua consorella santa Gertrude la Grande, nel VI libro dell’opera Liber specialis gratiae (Il libro della grazia speciale), in cui vengono narrate le grazie speciali che Dio ha donato a santa Matilde, così afferma: “Ciò che abbiamo scritto è ben poco in confronto di quello che abbiamo omesso. Unicamente per gloria di Dio ed utilità del prossimo pubblichiamo queste cose, perché ci sembrerebbe ingiusto serbare il silenzio, sopra tante grazie che Matilde ricevette da Dio non tanto per lei medesima, a nostro avviso, ma per noi e per quelli che verranno dopo di noi” (Mechthild von Hackeborn, Liber specialis gratiae, VI, 1).

Quest’opera è stata redatta da santa Gertrude e da un’altra consorella di Helfta ed ha una storia singolare. Matilde, all’età di cinquant’anni, attraversava una grave crisi spirituale, unita a sofferenze fisiche. In questa condizione confidò a due consorelle amiche le grazie singolari con cui Dio l’aveva guidata fin dall’infanzia, ma non sapeva che esse annotavano tutto. Quando lo venne a conoscere, ne fu profondamente angosciata e turbata. Il Signore, però, la rassicurò, facendole comprendere che quanto veniva scritto era per la gloria di Dio e il vantaggio del prossimo (cfr ibid., II,25; V,20). Così, quest’opera è la fonte principale a cui attingere le informazioni sulla vita e spiritualità della nostra Santa.

Con Lei siamo introdotti nella famiglia del Barone di Hackeborn, una delle più nobili, ricche e potenti della Turingia, imparentata con l’imperatore Federico II, ed entriamo nel monastero di Helfta nel periodo più glorioso della sua storia. Il Barone aveva già dato al monastero una figlia, Gertrude di Hackeborn (1231/1232 - 1291/1292), dotata di una spiccata personalità, Badessa per quarant’anni, capace di dare un’impronta peculiare alla spiritualità del monastero, portandolo ad una fioritura straordinaria quale centro di mistica e di cultura, scuola di formazione scientifica e teologica. Gertrude offrì alle monache un’elevata istruzione intellettuale, che permetteva loro di coltivare una spiritualità fondata sulla Sacra Scrittura, sulla Liturgia, sulla tradizione Patristica, sulla Regola e spiritualità cistercense, con particolare predilezione per san Bernardo di Chiaravalle e Guglielmo di St-Thierry. Fu una vera maestra, esemplare in tutto, nella radicalità evangelica e nello zelo apostolico. Matilde, fin dalla fanciullezza, accolse e gustò il clima spirituale e culturale creato dalla sorella, offrendo poi la sua personale impronta.


Matilde nasce nel 1241 o 1242 nel castello di Helfta; è la terza figlia del Barone. A sette anni con la madre fa visita alla sorella Gertrude nel monastero di Rodersdorf. È così affascinata da quell’ambiente che desidera ardentemente farne parte. Vi entra come educanda e nel 1258 diventa monaca nel convento trasferitosi, nel frattempo, ad Helfta, nella tenuta degli Hackeborn. Si distingue per umiltà, fervore, amabilità, limpidezza e innocenza di vita, familiarità e intensità con cui vive il rapporto con Dio, la Vergine, i Santi. È dotata di elevate qualità naturali e spirituali, quali “la scienza, l’intelligenza, la conoscenza delle lettere umane, la voce di una meravigliosa soavità: tutto la rendeva adatta ad essere per il monastero un vero tesoro sotto ogni aspetto” (Ibid., Proemio). Così, “l’usignolo di Dio” – come viene chiamata – ancora molto giovane, diventa direttrice della scuola del monastero, direttrice del coro, maestra delle novizie, servizi che svolge con talento e infaticabile zelo, non solo a vantaggio delle monache, ma di chiunque desiderava attingere alla sua sapienza e bontà.

Illuminata dal dono divino della contemplazione mistica, Matilde compone numerose preghiere. È maestra di fedele dottrina e di grande umiltà, consigliera, consolatrice, guida nel discernimento: “Ella - si legge - distribuiva la dottrina con tanta abbondanza che non si è mai visto nel monastero, ed abbiamo, ahimé! gran timore, che non si vedrà mai più nulla di simile. Le suore si riunivano intorno a lei per sentire la parola di Dio, come presso un predicatore. Era il rifugio e la consolatrice di tutti, ed aveva, per dono singolare di Dio, la grazia di rivelare liberamente i segreti del cuore di ciascuno. Molte persone, non solo nel Monastero, ma anche estranei, religiosi e secolari, venuti da lontano, attestavano che questa santa vergine li aveva liberati dalle loro pene e che non avevano mai provato tanta consolazione come presso di lei. Compose inoltre ed insegnò tante orazioni che se venissero riunite, eccederebbero il volume di un salterio” (Ibid., VI,1).

Nel 1261 giunge al convento una bambina di cinque anni di nome Gertrude: è affidata alle cure di Matilde, appena ventenne, che la educa e la guida nella vita spirituale fino a farne non solo la discepola eccellente, ma la sua confidente. Nel 1271 o 1272 entra in monastero anche Matilde di Magdeburgo. Il luogo accoglie, così, quattro grandi donne - due Gertrude e due Matilde –, gloria del monachesimo germanico. Nella lunga vita trascorsa in monastero, Matilde è afflitta da continue e intense sofferenze a cui aggiunge le durissime penitenze scelte per la conversione dei peccatori. In questo modo partecipa alla passione del Signore fino alla fine della vita (cfr ibid., VI, 2). La preghiera e la contemplazione sono l’humus vitale della sua esistenza: le rivelazioni, i suoi insegnamenti, il suo servizio al prossimo, il suo cammino nella fede e nell’amore hanno qui la loro radice e il loro contesto. Nel primo libro dell’opera Liber specialis gratiae, le redattrici raccolgono le confidenze di Matilde scandite nelle feste del Signore, dei Santi e, in modo speciale, della Beata Vergine. E’ impressionante la capacità che questa Santa ha di vivere la Liturgia nelle sue varie componenti, anche quelle più semplici, portandola nella vita quotidiana monastica. Alcune immagini, espressioni, applicazioni talvolta sono lontane della nostra sensibilità, ma, se si considera la vita monastica e il suo compito di maestra e direttrice di coro, si coglie la sua singolare capacità di educatrice e formatrice, che aiuta le consorelle a vivere intensamente, partendo dalla Liturgia, ogni momento della vita monastica.


Nella preghiera liturgica Matilde dà particolare risalto alle ore canoniche, alla celebrazione della santa Messa, soprattutto alla santa Comunione. Qui è spesso rapita in estasi in una intimità profonda con il Signore nel suo ardentissimo e dolcissimo Cuore, in un dialogo stupendo, nel quale chiede lumi interiori, mentre intercede in modo speciale per la sua comunità e le sue consorelle. Al centro vi sono i misteri di Cristo verso i quali la Vergine Maria rimanda costantemente per camminare sulla via della santità: “Se tu desideri la vera santità, sta’ vicino al Figlio mio; Egli è la santità medesima che santifica ogni cosa” (Ibid., I,40). In questa sua intimità con Dio è presente il mondo intero, la Chiesa, i benefattori, i peccatori. Per lei Cielo e terra si uniscono.

Le sue visioni, i suoi insegnamenti, le vicende della sua esistenza sono descritti con espressioni che evocano il linguaggio liturgico e biblico. Si coglie così la sua profonda conoscenza della Sacra Scrittura, che era il suo pane quotidiano. Vi ricorre continuamente, sia valorizzando i testi biblici letti nella liturgia, sia attingendo simboli, termini, paesaggi, immagini, personaggi. La sua predilezione è per il Vangelo: “Le parole del Vangelo erano per lei un alimento meraviglioso e suscitavano nel suo cuore sentimenti di tale dolcezza che sovente per l'entusiasmo non poteva terminarne la lettura … Il modo con cui leggeva quelle parole era così fervente che in tutti suscitava la devozione. Così pure, quando cantava in coro, era tutta assorta in Dio, trasportata da tale ardore che talvolta manifestava i suoi sentimenti con i gesti ... Altre volte, come rapita in estasi, non sentiva quelli che la chiamavano o la muovevano ed a mala pena riprendeva il senso delle cose esteriori” (Ibid., VI, 1). In una delle visioni, è Gesù stesso a raccomandarle il Vangelo; aprendole la piaga del suo dolcissimo Cuore, le dice: “Considera quanto sia immenso il mio amore: se vorrai conoscerlo bene, in nessun luogo lo troverai espresso più chiaramente che nel Vangelo. Nessuno ha mai sentito esprimere sentimenti più forti e più teneri di questi: Come mi ha amato mio Padre, cosi io vi ho amati (Joan. XV, 9)” (Ibid., I,22).

Cari amici, la preghiera personale e liturgica, specialmente la Liturgia delle Ore e la Santa Messa sono alla radice dell’esperienza spirituale di santa Matilde di Hackeborn. Lasciandosi guidare dalla Sacra Scrittura e nutrire dal Pane eucaristico, Ella ha percorso un cammino di intima unione con il Signore, sempre nella piena fedeltà alla Chiesa. E’ questo anche per noi un forte invito ad intensificare la nostra amicizia con il Signore, soprattutto attraverso la preghiera quotidiana e la partecipazione attenta, fedele e attiva alla Santa Messa. La Liturgia è una grande scuola di spiritualità.

La discepola Gertrude descrive con espressioni intense gli ultimi momenti della vita di santa Matilde di Hackeborn, durissimi, ma illuminati dalla presenza della Beatissima Trinità, del Signore, della Vergine Maria, di tutti i Santi, anche della sorella di sangue Gertrude. Quando giunse l’ora in cui il Signore volle attirarla a Sé, ella Gli chiese di poter ancora vivere nella sofferenza per la salvezza delle anime e Gesù si compiacque di questo ulteriore segno di amore.

Matilde aveva 58 anni. Percorse l’ultimo tratto di strada caratterizzato da otto anni di gravi malattie. La sua opera e la sua fama di santità si diffusero ampiamente. Al compimento della sua ora, “il Dio di Maestà … unica soavità dell'anima che lo ama … le cantò: Venite vos, benedicti Patris mei ... Venite, o voi che siete i benedetti dal Padre mio, venite a ricevere il regno … e l'associò alla sua gloria” (Ibid., VI,8).

Santa Matilde di Hackeborn ci affida al Sacro Cuore di Gesù e alla Vergine Maria. Invita a rendere lode al Figlio con il Cuore della Madre e a rendere lode a Maria con il Cuore del Figlio: “Vi saluto, o Vergine veneratissima, in quella dolcissima rugiada, che dal Cuore della santissima Trinità si diffuse in voi; vi saluto nella gloria e nel gaudio con cui ora vi rallegrate in eterno, voi che di preferenza a tutte le creature della terra e del cielo, foste eletta prima ancora della creazione del mondo! Amen” (Ibid., I, 45).


Saluti:


Je suis heureux d’accueillir ce matin les francophones présents, en particulier ceux venus d’Haïti. Je continue à porter les Haïtiens dans ma prière suppliant Dieu de soulager leur misère. Que votre pèlerinage à Rome, chers pèlerins, soit pour vous tous l’occasion d’approfondir votre relation personnelle avec le Christ. Que Dieu vous bénisse !

I am pleased to greet the seminarians and staff from the Venerable English College and the new students and staff from the Pontifical Irish College, and I offer prayerful good wishes for their studies. I also welcome the members of the Christ Child Society from the Diocese of Toledo, Ohio, accompanied by Bishop Leonard Blair. Upon all the English-speaking visitors present at today’s audience, especially the pilgrim groups from Britain, Ireland, Denmark, Nigeria, Oceania, the Philippines, and North America, I invoke God’s abundant blessings.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a la Delegación de la Junta de Castilla y León, de España, y a la de la Escuela de Carabineros, de Santiago de Chile, así como a los demás grupos provenientes de España, México, Panamá, y demás países latinoamericanos. Que el ejemplo de Santa Matilde nos mueva a todos a considerar la Liturgia como una gran escuela de espiritualidad.
Muchas gracias.

Saúdo, com fraterna amizade, os peregrinos vindos de Portugal e de demais países de língua portuguesa, cuja romagem se detém hoje junto do túmulo de São Pedro e nesta Audiência com o seu Sucessor: Obrigado pela vossa presença e oração! Peço a Cristo Senhor que guarde no seu Coração Sagrado as vossas famílias e comunidades cristãs, abençoando a todos com a sua paz e o seu amor.

Saluto in lingua lituana:

Nuoširdžiai sveikinu ministrantus iš Lietuvos. Sekdami šventojo Tarcizijaus pavyzdžiu dosniai tarnaukite Jėzui, esančiam Eucharistijoje.

Traduzione italiana:

Saluto con affetto i ministranti provenienti dalla Lituania. Sull’esempio di san Tarcisio, servite con generosità Gesù, presente nell’Eucaristia.

Saluto in lingua ceca:

Upřímně vítám poutníky z farnosti svaté Ludmily v Praze!
Včera jsme oslavili patrona české církve, mučedníka svatého Václava. Zůstaňte vždy věrni duchovnímu odkazu tohoto velikána dějin vaší vlasti!
Srdečně vám žehnám.
Chvála Kristu!

Traduzione italiana:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini della parrocchia di Santa Ludmilla, di Praga!
Ieri abbiamo festeggiato il Patrono della Chiesa Ceca, San Venceslao, martire. Rimanete sempre fedeli all'eredità spirituale di questo gigante della storia della vostra Patria!
Di cuore vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Srdečne pozdravujem slovenských pútnikov zo Širokého a Košíc ako aj ďakovnú púť študentov a pedagógov Grécko-katolíckeho gymnázia svätého Jána Krstiteľa z Trebišova.
Bratia a sestry, pozajtra sa začína mariánsky mesiac október. Pozývam vás do školy Panny z Nazareta. Učte sa od nej byť stále ochotní plniť Božiu vôľu. S láskou žehnám vás i vašich drahých.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana :

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi provenienti da Široké e Košice come pure il pellegrinaggio di ringraziamento degli studenti e docenti del Ginnasio greco-cattolico San Giovanni Battista di Trebišov.
Fratelli e sorelle, dopodomani inizia il mese mariano di ottobre. Vi invito a mettervi alla scuola della Vergine di Nazaret. Imparate da Lei ad essere sempre disponibili a compiere la volontà di Dio. Con affetto benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua romena:

Adresez un cordial salut pelerinilor provenind din România. Iubţi prieteni, urez ca vizita voastră la mormintele Apostolilor să suscite în voi o angajare tot mai generoasă de mărturie creştină în Patria voastră. Invoc peste voi şi familiile voastre binecuvântarea mea apostolică. Lăudat să fie Isus Cristos!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Romania. Cari amici, auguro che la visita alle tombe degli Apostoli susciti in voi un sempre più generoso impegno di testimonianza cristiana nella vostra Patria. Invoco su di voi e sulle vostre famiglie la mia benedizione apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ucraina:

Щиро вітаю українських прочан. Дорогі друзі, бажаю, щоб кожний із вас відчув живу присутність Бога у своїй Церкві. Від щирого вас благословлю. Слава Ісусу Христу!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini ucraini. Cari amici, auguro che ciascuno di voi possa fare l’esperienza della presenza viva del Signore nella sua Chiesa. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Isten hozta a magyar híveket, különösen is azokat, akik Pécsről érkeztek. Kedves Testvéreim, Szent Mihály, Gábor és Ráfáel Arkangyalok közbenjárását kérve szívesen adom apostoli áldásomat Rátok és családjaitokra.
Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Saluto con affetto i fedeli ungheresi, specialmente quelli che sono arrivati da Pécs.
Cari fratelli e sorelle, mentre chiedo l'intercessione dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, volentieri imparto la Benedizione Apostolica a tutti voi e alle vostre famiglie.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua polacca:

Słowo pozdrowienia kieruję do Polaków, a zwłaszcza do przedstawicielek Zgromadzenia Sióstr Zmartwychwstania Pańskiego, które gromadzą się na kapitule generalnej. Niech modlitwa i refleksja przyniesie obfite owoce duchowe. Wszystkich tu obecnych polecam opiece Archaniołów Michała, Gabriela i Rafała, patronów dnia dzisiejszego, i z serca błogosławię. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

Traduzione italiana:

Una parola di saluto rivolgo ai polacchi qui presenti, e in particolare alle rappresentanti della Congregazione della Suore della Risurrezione del Signore che si radunano per il Capitolo Generale. La preghiera e la riflessione portino abbondanti frutti spirituali. Raccomando tutti alla protezione degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, patroni del giorno, a vi benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Upućujem srdačan pozdrav svim hrvatskim hodočasnicima, a na poseban način vjernicima iz župe Svetog Luke iz Zagreba. Po zagovoru svetih Arkanđela koje danas slavimo, obdario Gospodin vas i vaše obitelji mirom i svakim nebeskim blagoslovom. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini croati, e in modo particolare ai fedeli della parrocchia di San Luca di Zagabria. Con l’intercessione dei santi Arcangeli che oggi celebriamo, il Signore doni a voi e alle vostre famiglie la pace e ogni benedizione celeste. Siano lodati Gesù e Maria!

* * *

Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto con affetto i fedeli della diocesi di Belluno-Feltre, accompagnati dal loro Pastore, Mons. Giuseppe Andrich, e convenuti a Roma per pregare sulla tomba del Servo di Dio Giovanni Paolo I in occasione dell’anniversario della sua morte. Saluto gli alunni del Pontificio Collegio Internazionale “Maria Mater Ecclesiae” di Roma, assicurando per ciascuno un ricordo nella preghiera, perché il Signore li ricolmi sempre dei suoi doni di grazia. Saluto, inoltre, i partecipanti al pellegrinaggio dei Giovani del Movimento dei Focolari, promosso in occasione della beatificazione di Chiara Badano e li invito, sull'esempio della nuova Beata, a proseguire nell'impegno di adesione a Cristo e di testimonianza evangelica.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. L'odierna festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele e quella imminente dei santi Angeli Custodi, ci spingono a pensare alla provvida premura con cui Dio si occupa di ogni persona umana. Sentite accanto a voi, cari giovani, la presenza degli Angeli e lasciatevi guidare da loro, affinché tutta la vostra vita sia illuminata dalla Parola di Dio. Voi, cari ammalati, aiutati dai vostri Angeli Custodi, unite le vostre sofferenze a quelle di Cristo per il rinnovamento spirituale dell'umana società. E voi, cari sposi novelli, ricorrete sovente all'aiuto dei vostri Angeli Custodi, affinché possiate crescere nella costante testimonianza di un amore autentico.


APPELLO DEL SANTO PADRE

My thoughts also turn to the grave humanitarian crisis which has recently struck Northern Nigeria, where some two million people have been forced to flee their homes because of severe flooding. To all those affected I express my spiritual closeness and I assure them of my prayers.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana






lunedì 27 settembre 2010

Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele (f) 29 settembre



29 SETTEMBRE
SANTI ARCANGELI
MICHELE, GABRIELE E RAFFAELE
Festa

Michele, nome ebraico che vuol dire « Chi è come Dio? » viene ricordato nel libro di Daniele del popolo eletto (Dan 10,13 e 12,1). La lettera di san Giuda (v. 9) lo presenta in lotta contro Satana per il corpo di Mosè. Anche l’Apocalisse (12,7) ricorda il combattimento di Michele e dei suoi angeli contro il drago. La liturgia dei defunti lo vuole accompagnatore delle anime. Molto venerato dagli Ebrei divenne presto assai popolare nel culto cristiano. Il 29-IX cade l’anniversario della dedicazione di una chiesa in suo onore sulla via Salaria (sec. V).

Gabriele «forza di Dio», si presentò a Zaccaria come «colui che sta al cospetto di Dio» (Lc 1,19). Portare l’annuncio di Dio è il compito che gli riconosce Daniele (8,16; 9,21): annunziò infatti la nascita del Battista e di Gesù Cristo (Lc 1,5-22.26-38).

Raffaele, «Dio ha curato», compare nel libro di Tobia come accompagnatore nel viaggio del giovane Tobia e come portatore di salvezza al vecchio padre cieco.

San Luca mostra sovente l’intervento degli angeli nelle origini della Chiesa perché con la venuta di Cristo l’umanità è entrata nell’èra definitiva in cui Dio è vicino all’uomo e il cielo è unito alla terra. Essi vengono da Dio «inviati in servizio, a vantaggio di coloro che devono essere salvati» (Ebr 1,14). La nostra «azione di grazie», l’ Eucaristia, è una «concelebrazione» (cf LG 50) in cui ci uniamo agli Angeli nel triplice canto: «Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo».


L'appellativo «angelo» designa l'ufficio, non la natura

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa
(Om. 34, 8-9; PL 76, 1250-1251)

È da sapere che il termine «angelo» denota l'ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli.

Per questo alla Vergine Maria non viene inviato un angelo qualsiasi, ma l'arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi.

A essi vengono attribuiti nomi particolari, perché anche dal modo di chiamarli appaia quale tipo di ministero è loro affidato. Nella santa città del cielo, resa perfetta dalla piena conoscenza che scaturisce dalla visione di Dio onnipotente, gli angeli non hanno nomi particolari, che contraddistinguano le loro persone. Ma quando vengono a noi per qualche missione, prendono anche il nome dall'ufficio che esercitano.
Così Michele significa: Chi è come Dio?, Gabriele: Fortezza di Dio, e Raffaele: Medicina di Dio.

Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele, perché si possa comprendere, dall'azione e dal nome, che nessuno può agire come Dio. L'antico avversario che bramò, nella sua superbia, di essere simile a Dio, dicendo: Salirò in cielo (cfr. Is 14, 13-14), sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all'Altissimo, alla fine del mondo sarà abbandonato a se stesso e condannato all'estremo supplizio. Orbene egli viene presentato in atto di combattere con l'arcangelo Michele, come è detto da Giovanni: «Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12, 7).

A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato Fortezza di Dio; egli veniva ad annunziare colui che si degnò di apparire nell'umiltà per debellare le potenze maligne dell'aria. Doveva dunque essere annunziato da «Fortezza di Dio» colui che veniva quale Signore degli eserciti e forte guerriero.

Raffaele, come abbiamo detto, significa Medicina di Dio. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità. Fu giusto dunque che venisse chiamato «Medicina di Dio» colui che venne inviato a operare guarigioni.

Papa Benedetto XVI in occasione del II Congresso Mondiale di Pastorale dei Pellegrinaggi e Santuari (Santiago di Compostela, Spagna 27-30 settembre 2010)


LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
IN OCCASIONE DEL II CONGRESSO MONDIALE
DI PASTORALE DEI PELLEGRINAGGI E SANTUARI
[SANTIAGO DI COMPOSTELA, 27-30 SETTEMBRE 2010]


Ai Venerabili Fratelli
Mons. Antonio Maria Vegliò,
Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale
per i Migranti e gli Itineranti,
e Mons. Julián Barrio Barrio,
Arcivescovo di Santiago di Compostela

In occasione del II Congresso Mondiale di Pastorale dei Pellegrinaggi e Santuari, che si svolge a Santiago di Compostela dal 27 al 30 settembre, desidero rivolgervi il mio saluto cordiale, estensibile a tutti i venerati Fratelli nell’Episcopato, ai membri della Delegazione Fraterna, ai partecipanti a questa importante riunione, nonché alle Autorità civili che hanno collaborato alla preparazione del Congresso. Parimenti esprimo il mio deferente saluto a Sua Maestà il Re di Spagna, che ha dato lustro a questa iniziativa, accettandone la Presidenza Onoraria.

Guidati dal tema «Egli entrò per rimanere con loro» (Lc 24,29), desunto dal passaggio evangelico dei discepoli di Emmaus, vi disponete a riflettere sull’importanza dei pellegrinaggi ai santuari, come manifestazione di vita cristiana e spazio di evangelizzazione.


Con vivo compiacimento desidero far giungere ai congressisti la mia vicinanza spirituale, affinché li incoraggi e sostenga nell’esercizio di un impegno pastorale tanto fondamentale nella vita ecclesiale. Io stesso mi recherò tra non molto pellegrino alla tomba dell’Apostolo San Giacomo, l’ “amico del Signore”, così come ho volto i miei passi verso altri luoghi del mondo, dove accorrono numerosi fedeli con devozione fervente. A tal riguardo, fin dall’inizio del mio pontificato, ho inteso vivere il mio ministero di successore di Pietro con i sentimenti del pellegrino che percorre le vie del mondo con speranza e semplicità, portando sulle labbra e nel cuore il messaggio salvifico del Cristo Risorto e confermando nella fede i propri fratelli (cf. Lc 22,32). Come segno esplicito di tale missione, nel mio stemma figura, tra altri elementi, la conchiglia del pellegrino.

In questo momento storico, in cui, con forza se possibile ancor maggiore, siamo chiamati ad evangelizzare il nostro mondo, va messa in debito risalto la ricchezza che scaturisce dal pellegrinaggio ai santuari. Innanzi tutto per la sua straordinaria capacità di richiamo, che attrae un numero crescente di pellegrini e turisti religiosi, alcuni dei quali si trovano in situazioni umane e spirituali complesse, alquanto lontani dal vissuto di fede e con una debole appartenenza ecclesiale. A tutti Cristo si rivolge con amore e speranza. L’anelito alla felicità che si annida nell’animo trova in Lui la sua risposta, e vicino a Lui il dolore umano acquista un proprio senso. Con la sua grazia, anche le cause più nobili giungono al loro pieno compimento. Come Simeone incontrò Gesù nel tempio (cf. Lc 2,25-35), così pure il pellegrino deve avere l’opportunità di scoprire il Signore nel santuario.

A tal fine occorre far sì che i visitatori non dimentichino che i santuari sono luoghi sacri e che quindi vi si comportino con devozione, rispetto e decoro. In tal modo la Parola di Cristo, il Figlio del Dio vivo, potrà risuonare con chiarezza e l’evento della sua morte e risurrezione, fondamento della nostra fede, verrà proclamato nella sua interezza. Inoltre va curata con grande scrupolosità l’accoglienza del pellegrino, dando il giusto risalto, tra l’altro, alla dignità e bellezza del santuario, immagine della “tenda di Dio con gli uomini” (Ap 21,3); ai momenti e agli spazi di preghiera, tanto personali che comunitari; all’attenzione alle pratiche di pietà. Parimenti non si insisterà mai abbastanza sul fatto che i santuari devono essere fari di carità, incessantemente dedicati ai più sfavoriti mediante opere concrete di solidarietà e misericordia e una costante disponibilità all’ascolto. Essi devono inoltre facilitare ai fedeli l’accesso al sacramento della Riconciliazione e consentire loro di partecipare degnamente alla celebrazione eucaristica, che deve essere sempre il centro e il culmine di tutta la loro azione pastorale. Così si manifesterà chiaramente che l’Eucarestia è senza dubbio alcuno l’alimento del pellegrino, il “Sacramento del Dio che non ci lascia soli nel cammino, ma si pone al nostro fianco e ci indica la direzione” (Omelia nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, 22 maggio 2008).

In effetti, diversamente dal vagabondo, i cui passi non hanno una destinazione precisa, il pellegrino ha sempre una meta davanti a sé, anche se a volte non ne è pienamente cosciente. E la meta altro non è se non l’incontro con Dio per mezzo di Gesù Cristo, in cui tutte le nostre aspirazioni trovano risposta. Ecco perché la celebrazione dell’Eucarestia può ben considerarsi il culmine del pellegrinaggio.

In quanto “collaboratori di Dio” (1 Cor 3,9) esorto tutti voi che vi dedicate a questa bella missione a incoraggiare nei pellegrini, con la vostra cura pastorale, la conoscenza e l’imitazione di Cristo, che continua a camminare con noi, illuminando la nostra vita con la sua Parola e distribuendoci il Pane di Vita nell’Eucarestia. In tal modo il pellegrinaggio al santuario sarà occasione propizia per rinvigorire in coloro che lo visitano il desiderio di condividere con altri l’esperienza meravigliosa di sapersi amati da Dio e di essere inviati al mondo a dare testimonianza di questo amore.

Con tali sentimenti affido i frutti di questo Congresso all’intercessione di Maria Santissima e dell’Apostolo San Giacomo, mentre rivolgo la mia preghiera a Gesù, «Via, Verità e Vita» (Gv 14,6) a cui presento tutti coloro, che, pellegrinando per la vita, vanno cercando il suo volto:

Signore Gesù, pellegrino di Emmaus,
per amore ti fai vicino a noi,
anche se, a volte, lo sconforto e la tristezza
ci impediscono di scoprire la tua presenza.
Tu sei la fiamma che ravviva la nostra fede.
Tu sei la luce che purifica la nostra speranza.
Tu sei la forza che infiamma la nostra carità.
Insegnaci a riconoscerti nella Parola,
nella casa e alla Mensa dove si condivide il Pane della Vita,
nel servizio generoso al prossimo che soffre.
E quando si fa sera, Signore, aiutaci a dire:
“Resta con noi”. Amen.

Imparto a tutti l’implorata Benedizione Apostolica, pegno di copiose grazie celesti.

Dal Vaticano, 8 settembre 2010

BENEDETTO XVI

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

Il saluto del Santo Padre Benedetto XVI prima di prendere congedo da Castel Gandolfo


INCONTRO CON LE DELEGAZIONI DEL COMUNE DI CASTEL GANDOLFO,
LE AUTORITÀ CIVILI E MILITARI, LE COMUNITÀ RELIGIOSE
E I DIPENDENTI CHE HANNO ASSICURATO IL SERVIZIO
DURANTE IL PERIODO ESTIVO

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, Sala degli Svizzeri
Lunedì, 27 settembre 2010

Cari fratelli e sorelle,

prima di prendere congedo da Castel Gandolfo, al termine del periodo estivo, sono lieto di incontrare tutti voi, che rappresentate la comunità ecclesiale e quella civile di questa amena cittadina, a me tanto cara, dove la Provvidenza mi concede ogni anno di trascorrere un soggiorno sereno e proficuo.

Anzitutto il mio fraterno saluto e la mia cordiale gratitudine vanno al Vescovo di Albano, Mons. Marcello Semeraro, estendendosi all’intera Diocesi, che seguo con speciale e orante affetto nella sua vita di fede e di testimonianza cristiana. Saluto poi il parroco di Castel Gandolfo e la comunità parrocchiale, insieme ai diversi Istituti religiosi maschili e femminili che qui vivono ed operano per servire in letizia il Vangelo e i fratelli.

Un deferente saluto rivolgo al Signor Sindaco e ai componenti dell’Amministrazione Comunale, esprimendo ancora una volta la mia sincera riconoscenza per il contributo indispensabile che offrono, nell'ambito delle loro competenze, affinché Castel Gandolfo possa accogliere adeguatamente i numerosi pellegrini che qui vengono da ogni parte del mondo. Per vostro tramite, desidero far pervenire ai vostri concittadini il mio vivo apprezzamento per la ben nota cortesia e l'attenzione premurosa con cui mi circondano e seguono la mia attività al servizio della Chiesa universale.

Vorrei poi ringraziare cordialmente i dirigenti e tutti gli addetti ai diversi Servizi del Governatorato, ad iniziare dal Corpo della Gendarmeria, la Floreria, le Direzioni dei Servizi Sanitari e dei Servizi Tecnici, come pure la Guardia Svizzera Pontificia. Cari amici, a tutti voi rivolgo un “grazie” speciale per la sollecitudine e la professionalità con cui vi siete adoperati nel venire incontro alle mie esigenze, a quelle dei miei collaboratori e di quanti, durante i mesi estivi, sono venuti a Castello per farmi visita. Per ciascuno di voi e per le vostre famiglie assicuro un costante ricordo nella preghiera.

Un pensiero di sentita gratitudine va quindi ai funzionari e agli agenti delle diverse Forze dell’Ordine italiane, per la loro puntuale ed efficiente opera, come pure agli ufficiali ed avieri del 31° Stormo dell’Aeronautica Militare. Ringrazio Dio e sono grato a tutti voi, perché ogni cosa si è svolta sempre nell'ordine e nella tranquillità.

Nell'accomiatarmi da voi, mi piace affidare alla vostra considerazione la figura di san Vincenzo de’ Paoli, di cui oggi celebriamo la memoria. Questo apostolo della carità, così caro al popolo cristiano e conosciuto specialmente attraverso le Suore da lui fondate, fu proclamato da Papa Leone XIIIpatrono universale di tutte le opere di carità sparse nel mondo”. Con la sua incessante azione apostolica, egli fece in modo che il Vangelo diventasse sempre più faro luminoso di speranza e di amore per l'uomo del suo tempo, ed in particolare per i più poveri nel corpo e nello spirito. Il suo esempio virtuoso e la sua intercessione suscitino nelle vostre comunità e in ciascuno di voi un rinnovato impegno di solidarietà, cosicché gli sforzi di ognuno cooperino all'edificazione del bene comune.

Accompagno questo cordiale auspicio con l'assicurazione del mio ricordo al Signore, perché assista tutti voi e le vostre famiglie con la sua grazia e vi colmi di abbondanti consolazioni. Vi ringrazio nuovamente, cari amici, e di cuore vi benedico.

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Il trionfo di Papa Benedeto XVI amato dalla gente, un successo da cinque anni che stupisce i critici di Paolo Rodari


Il trionfo del Papa schivo. Cinque anni di un succeso di pubblico che ha stupito i critici. L’enigma di pochi gesti e molte parole

di Paolo Rodari - 26 settembre 2010

Dopo il trionfalismo carismatico di Karol Wojtyla, il pudore monastico di Joseph Ratzinger. Due stili diversi che rispecchiano due caratteri dissimili. Due stili che portano a un unico risultato: l’entusiasmo delle folle.

Di Giovanni Paolo II i fedeli applaudivano il gesto, la frase a effetto, gli slanci teatrali, a volte trascurandone quasi del tutto l’argomentare. Di Benedetto XVI seguono le omelie, tendono le orecchie durante i discorsi, ascoltano ogni parola con un’attenzione che sbalordisce esperti e analisti. Così è accaduto in Inghilterra e Scozia, durante il recente viaggio: “Ratzinger si è imposto come uomo mite, umile, che parla in modo gentile”, ha detto il vaticanista del Times Richard Owen. “Riflessioni profonde, proposte a voce bassa”.

Più che altrove, lo stile di Benedetto XVI ha trovato un suo compimento nel Regno Unito: difficile immaginare, prima della partenza per quello che in molti avevano definito il “viaggio più difficile”, centomila persone a Hyde Park, cuore della City, in totale silenzio per un’ora e mezza ad ascoltare una sacra liturgia.


Paolo Rodari

Quale il segreto di Joseph Ratzinger? Quale la strategia comunicativa? Una sola: non avere strategie. L’ha spiegato lo stesso Pontefice sul volo che lo portava dieci giorni fa verso Edinburgo. Gli ha chiesto padre Federico Lombardi, portavoce vaticano: cosa possono fare i cattolici per rendere la chiesa più attrattiva? Ha risposto il Papa: “Una chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata, perché la chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri e così il proprio potere. La chiesa è al servizio di un Altro: serve non per sé, per essere un corpo forte, ma serve per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità e le grandi forze di amore, di riconciliazione che vengono sempre dalla presenza di Gesù Cristo”.

Ecco il segreto di Ratzinger – per molti “Panzer cardinal”, per altri addirittura “Rotweiler di Dio” divenuto Papa: non volere attrarre nessuno. Piuttosto fare un passo indietro e mettere al centro della scena un Altro. E’ questo uno stile tutto suo e che, a dispetto delle mille e più strategie comunicative che spesso diversi organi ecclesiastici, dalla curia romana alle varie conferenze episcopali fino alle singole diocesi, cercano di adottare, s’impone con autorevolezza dirompente.

Lo stile del Papa è sobrio, soprattutto a contatto con le masse. Ogni appuntamento pubblico sembra per lui liturgia. E, infatti, fuori delle messe, delle catechesi, delle benedizioni, Benedetto XVI è un minimalista. “Il Papa non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la chiesa all’obbedienza alla parola di Dio”, disse quando prese possesso della cattedrale di Roma, la basilica di San Giovanni in Laterano, il 7 maggio 2005. Un criterio che per Ratzinger è un programma di governo: di suo fa pochissimo, al centro della scena non c’è mai lui, ma l’essenziale, ovvero Gesù Cristo vivo e presente nei sacramenti della chiesa.

I primi mesi di Pontificato di Benedetto XVI lasciarono senza parole gli analisti di cose vaticane. La folla presente alle udienze del mercoledì e in piazza San Pietro agli Angelus della domenica, era esattamente raddoppiata rispetto agli ultimi mesi di Giovanni Paolo II. Dati certi vennero resi noti dalla prefettura della casa pontificia, l’organismo vaticano che governa le udienze. Nei mesi tra maggio e settembre, nel 2004, andarono alle udienze di Giovanni Paolo II in 194 mila. Negli stessi mesi, nel 2005, a quelle di Benedetto XVI andarono in 410 mila. Così anche per gli Angelus: 262 mila presenze in cinque mesi con Wojtyla, 600 mila negli stessi mesi del 2005 con Ratzinger.

Benedetto XVI non compie gesti a effetto, non martella frasi roboanti, non incoraggia applausi e osanna. Si sottrae alle feste di massa. Ama arrivare agli appuntamenti pubblici solo per celebrare e predicare. Anche i viaggi hanno programmi strettissimi, quasi volesse fuggire dal superfluo, da ciò che va oltre lo stretto necessario.

Roma, piazza San Pietro, 16 ottobre 2005. Benedetto XVI incontra i bambini della prima comunione. L’appuntamento ha un programma singolare: prima il Papa risponde a braccio ad alcune domande, poi, sempre coi bambini, fa mezz’ora di adorazione eucaristica. C’è chi sostiene in Vaticano: “Un azzardo dopo anni di appuntamenti più somiglianti a festival musicali che ad altro”. Il Papa arriva in piazza puntuale. Esce in Papamobile dall’Arco delle Campane. I bambini applaudono e urlano slogan. Il Papa saluta. Poi scende dall’auto e inizia a parlare. A poco a poco cala il silenzio. Il Papa insegna loro teologia. Un bambino gli domanda: “La mia catechista mi ha detto che Gesù è presente nell’eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!”. Risposta. “Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione. Tuttavia abbiamo la ragione”. Poi il silenzio si fa totale. Il Papa s’inginocchia innanzi all’eucaristia. Tutti guardano oltre il Papa, verso dove lui guarda. In meno di un’ora l’attenzione di una folla sui generis – centomila bambini – è completamente catturata. Una scena, quest’ultima, rivista nell’agosto del 2005, durante la Giornata mondiale della gioventù di Colonia: il Papa che di colpo s’inginocchia innanzi all’eucaristia. I ragazzi che si zittiscono e s’inginocchiano. Intorno un silenzio surreale che mette a disagio soltanto i cronisti delle varie tv e radio collegate. Per circa un’ora non sanno più che dire.

Passano venti mesi dall’elezione di Ratzinger al soglio di Pietro. Benedetto XVI diviene un caso di studio mondiale. La White Star, una casa editrice collegata alla National Geographic Society, pubblica “Benedetto XVI, l’alba di un nuovo papato”. Gli autori sono un grande fotografo italiano, Gianni Giansanti, e l’ex caporedattore della sede romana di Time, Jeff Israely. Il libro nasce con un motivo esplicito: studiare il “caso Ratzinger”, il motivo del successo del ‘Panzer cardinal’ divenuto successore di san Pietro. Scrive Israely: “I gesti del suo predecessore hanno impressionato il mondo. Benedetto XVI fa invece notizia con la forza della sua prosa. Ma le sue parole non rappresentano un puro esercizio intellettuale: sono una manifestazione della sua fede e umanità. Nel messaggero si rende visibile il messaggio”. Scrive pochi giorni dopo il vaticanista Sandro Magister sull’Espresso: “Giovanni Paolo II dominava la scena. Benedetto XVI offre alle folle la sua nuda parola. Ma cura di spostare l’attenzione a qualcosa che è al di là di se stesso”.

Forse è soltanto un caso. Ma è da notare il fatto che sui giornali britannici i giorni successivi la partenza del Papa da Londra (domenica scorsa) due parole erano presenti più di altre: successo e nostalgia. Successo del Papa sulla folla: duecentomila persone che lo rincorrono lungo le strade di Londra mentre si avvicina a Hyde Park per la veglia per la beatificazione del cardinale John Henry Newman non è cosa da poco. Nostalgia per la sua partenza. Anna Arco, vaticanista britannica, collaboratrice di numerose pubblicazioni specializzate e redattrice del londinese Catholic Herlad ha confessato di soffrire di “ppd”, e cioè di “post papal depression”.
Forse, nella gigantesca mole di articoli scritti in queste ore per fare un bilancio dei quattro giorni di Benedetto XVI nel Regno Unito, non c’è battuta migliore per dare una misura, seppur immediata, di quanto sia la dimensione del successo pastorale, ecclesiale, spirituale e umano della visita del Papa. Un successo di folla che ha stupito lo stesso Benedetto XVI che ha dichiarato mercoledì scorso durante l’udienza generale: la visita è stata “un evento storico”. Ha scritto Antonio Socci su Libero: “Ratzinger non è tipo che usa le parole a vanvera. Ha spiegato che è stato un evento storico anzitutto perché ha rovesciato tutte le previsioni”. L’ha scritto anche Damian Thompson sul Telegraph: i britannici hanno visto “le cose come sono”. Hanno “visto” il Papa. L’hanno “sentito parlare” e si sono fatti conquistare.

C’è un enigma che riguarda le folle di Benedetto XVI durante i suoi viaggi fuori i confini italiani. In questo enigma la folla inglese è la protagonista ultima in ordine di tempo. Ultima a fare che? A convertirsi al Papa. Dato in partenza sempre sconfitto, Benedetto XVI guadagna punti appena atterra sul suolo straniero. Guadagna sul popolo. Sulla gente che, a sentire i più, dovrebbe essergli ostile. E tutto ciò è un enigma. Un mistero che puntualmente si ripresenta. I suoi quattordici viaggi all’estero hanno sempre capovolto le fosche previsioni di ogni vigilia. È avvenuto così anche nei luoghi più ostici. In Turchia nel 2006, negli Stati Uniti e in Francia nel 2008, in Israele e Giordania l’anno dopo. Ovunque colpisce la sua audacia. A Ratisbona, nel 2006, svelò dove affonda la radice ultima della violenza religiosa, in un’idea di Dio sganciata dalla razionalità. Scoppiarono polemiche. Venti di fanatismo e proteste in tutto il mondo. Ratzinger sembrava sconfitto. Ma fu grazie a quella lezione che oggi tra i musulmani sono più forti le voci che invocano una rivoluzione illuminista anche nell’islam, la stessa che c’è già stata nel cattolicesimo degli ultimi secoli. Fu grazie a quella lectio magistralis se oggi qualcuno, anche la dove l’islam è più fanatico, accetta un confronto coi cattolici.

Benedetto XVI inizialmente ferisce. Colpisce il cuore della società odierna, il suo pensiero. Ferendo, stana ciò che egli ritiene falso. Per questo, le sue parole, nel tempo restano. Non passano. Fu la scorsa primavera che durante un’udienza del mercoledì paragonò l’ora presente della chiesa a quella dopo san Francesco. Anche allora c’erano nella cristianità correnti che invocavano una “età dello Spirito”, una nuova chiesa senza più gerarchia, né precetti, né dogmi. Oggi qualcosa di simile avviene quando si invoca un Concilio Vaticano III che sia “nuovo inizio e rottura”. Un nuovo inizio verso dove? Le mete, in fin dei conti, non sono altro che proclami che già hanno fatto scuola, con risultati mediocri e pochi nuovi adepti conquistati alla causa, nelle comunità protestanti: l’abolizione del celibato del clero, il sacerdozio per le donne, la liberalizzazione della morale sessuale, un governo della chiesa senza il primato petrino. A tutto questo Papa Ratzinger oppone una nuova modalità di governo della chiesa, il suo pensiero “illuminato dalla preghiera”. Ratzinger parla della fede. Di Dio. Di Gesù Cristo. Della chiesa nel mondo, nella società, nel discorso pubblico. Della fede dentro il vivere di tutti i giorni, con le sue rilevanze private ma anche pubbliche. Non cerca il consenso della gente. Non si piega alle mode del mondo. Accetta la sfida di portare nel mondo la spada che è il Vangelo. E per questo, alla lunga, vince. Ciò che dice resta.

C’è chi reagisce male alle sue parole, come tante e tante bufere mediatiche in questo pontificato dimostrano. C’è chi si ribella e vuole arrestare il Papa per “crimini contro l’umanità”. Ma c’è anche chi si lascia ferire dal suo dire e inizia a seguirlo. Ci sono intellettuali che vorrebbero non parlasse più. Ci sono intellettuali che addirittura non lo fanno parlare, come il “caso Sapienza” dimostra. Ma ce ne sono altri – e le platee dell’università di Ratisbona, del collegio dei Bernardini a Parigi e del Parlamento di Westminster a Londra lo dimostrano – che dopo lo scetticismo iniziale non possono fare altro che alzarsi in piedi e applaudirlo.
E’ quest’ultimo il pubblico più sofisticato di Benedetto XVI. Un pubblico tutto suo. Diverso dalle grandi folle. Spesso si tratta di circoli ristretti. Tutti plaudenti innanzi al teologo divenuto Papa. “Da Rottweiler di Dio a Pontefice più amato, il migliore”, scrisse sul New York Times qualche mese fa, in piena tempesta mediatica per il problema dei preti pedofili, il trentenne conservatore Ross Douthat, opinionista tra i più puntuti degli Usa. Un’opinione, questa, trasversale, e presente soprattutto nel mondo degli intellettuali di lingua anglosassone. Un’opinione positiva fattasi più forte proprio nei giorni peggiori del pontificato di Benedetto XVI, appunto i mesi scorsi del grande attacco per la questione pedofilia. Hendrik Hertzberg sul New Yorker, dopo aver ricordato Martin Lutero e l’attuale crisi di potere e di cultura della chiesa, spese parole di elogio per Benedetto XVI. Proprio in quei giorni, si diffuse un appello con settanta firme del mondo francofono. Firmarono intellettuali, filosofi, giornalisti, drammaturghi, docenti universitari, artisti e personalità varie. Tra i firmatari vi furono Jean-Luc Marion, dell’Académie Française, professore a Parigi e a Chicago. Quindi Remi Brague, professore di filosofia e membro dell’Institut. Lo scrittore Françoise Taillandier. La filosofa Chantal Del sol. L’attore Michael Lonsdale. Il matematico Laurent Lafforgue. E tanti altri.

Ratzinger parla ai più umili e agli intellettuali, dunque. E a tutti dice qualcosa. Non ha strategie comunicative. Sembra preoccupato soltanto della verità, del contenuto del suo dire.

Un paio di anni fa è uscito “Ratzinger professore” di Gianni Valente, un libro contenente gli anni dello studio e dell’insegnamento di Ratzinger nel ricordo degli allievi e dei colleghi, anni che vanno dal 1946 al 1977. Ratzinger, si racconta, fu fin dall’inizio capace di catturare l’attenzione dei suoi studenti. Come? Introdusse un modo nuovo di fare lezione. Racconta un suo ex alunno: “Leggeva le lezioni in cucina a sua sorella Maria, persona intelligente ma che non aveva mai studiato teologia. Se la sorella manifestava il suo gradimento, questo era per lui il segno che la lezione andava bene”. Uno studente di quei tempi dice: “La sala delle sue lezioni era sempre stracolma, gli studenti lo adoravano. Aveva un linguaggio bello e semplice. Il linguaggio di un credente”.

Il professor Ratzinger non faceva sfoggio di erudizione accademica né usava un tono oratorio abituale a quei tempi. Esponeva le lezioni in modo piano, con un linguaggio di limpida semplicità anche nelle questioni più complesse. Molti anni dopo, lo stesso Ratzinger spiegò il segreto del successo delle sue lezioni: “Non ho mai cercato di creare un mio sistema, una mia particolare teologia. Se proprio si vuol parlare di specificità, si tratta semplicemente del fatto che mi propongo di pensare insieme con la chiesa e ciò significa soprattutto con i grandi pensatori della fede”. Gli studenti percepivano, attraverso le sue lezioni, non solo di ricevere nozioni di scienza accademica, ma di entrare in contatto con qualcosa di grande, con il cuore della fede cristiana. Questo il segreto del giovane professore di teologia, che attirava gli studenti. Questo è forse l’unico suo segreto ancora oggi: non mettere se stesso al centro della scena, ma qualcosa di grande oltre lui, il cuore della fede cristiana. E poi, il segreto più importante: l’assenza di una strategia comunicativa. Ratzinger non cerca il consenso.

Pubblicato sul Foglio sabato 25 settembre 2010

San Vincenzo de' Paoli, sacerdote (m) 27 settembre


27 SETTEMBRE
SAN VINCENZO DE' PAOLI, SACERDOTE
(1581-1660)
Memoria

Nel Seicento la Chiesa di Francia si è trovata in situazioni paradossali. Mentre ambigue figure di ecclesiastici si aggiravano fra gli intrighi della politica, zelanti sacerdoti presentavano un ritratto autentico di Cristo, assicurando credibilità al Vangelo. Lo stesso Vincenzo, nato da una famiglia di contadini a Pouy presso i Pirenei, prima di appartenere totalmente ai secondi, si era fatto prete a 19 anni per « far carriera ». Le prove della vita e l’influsso del Card. de Bérulle e di san Francesco di Sales votarono a Cristo anima e corpo «Monsieur Vincent». Fu parroco di Clichy (presso Parigi), cappellano dei galeotti, direttore di numerose opere nella capitale, dove influì persino sulla corte. Creò gruppi di donne e di uomini (anche nobili) a servizio dei poveri. Assicurò assi­stenza ai prigionieri, ai galeotti, ai trovatelli, ai miserabili. Tentò di distruggere l’accatonaggio dei fannulloni avviandoli al lavoro. Portò soccorso nelle regioni desolate dalla fame e dai contagi, devastate dalle guerre.

La carità di san Vincenzo si dilatò fino a dimensioni universali. Due opere soprattutto sono suoi titoli di gloria: lo zelo per le « missioni » fra le masse rurali del suo tempo, a cui consacrò i suoi «Preti della missione» (Lazzaristi) dediti pure alla formazione del clero; e la cura per il risollevamento delle masse proletarie delle città, a cui consacrò le «Figlie della carità» con la collaborazione di santa Luisa de Marillac. Per un sessantennio, la Francia vide l’instancabilità di quest’uomo mite, affabile, dotato di grande finezza di spirito e di humour, ricco di pietà semplice e profonda. Egli fu ispiratore di moltissime opere che sorsero in seguito dovunque. Fra esse, per iniziativa di Federico Ozanam (1813-1853), ventenne, le «Conferenze di san Vincenzo», in cui specialmente i giovani si impegnano a visitare e soccorrere i poveri a domicilio.


Servire Cristo nei Poveri

Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de` Paoli, sacerdote
(Cfr. lett, 2546, ecc.; Correspondance, entretiens, documents, Paris 1922-1925, passim)

Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Nella sua passione non aveva quasi la figura di uomo; appariva un folle davanti ai gentili, una pietra di scandalo per i Giudei; eppure egli si qualifica l'evangelizzazione dei poveri: «Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18).

Dobbiamo entrare in questi sentimenti e fare ciò che Gesù ha fatto: curare i poveri, consolarli, soccorrerli, raccomandarli.

Egli stesso volle nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene o il male che noi faremo ai poveri lo terrà come fatto alla sua persona divina. Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri. In realtà quando si ama molto qualcuno, si porta affetto ai suoi amici e ai suoi servitori. Così abbiamo ragione di sperare che, per amore di essi, Dio amerà anche noi.

Quando andiamo a visitarli, cerchiamo di capirli per soffrire con loro, e di metterci nella disposizione interiore dell'Apostolo che diceva: «Mi sono fatto tutto a tutti» (1 Cor 9, 22). Sforziamoci perciò di diventare sensibili alle sofferenze e alle miserie del prossimo. Preghiamo Dio, per questo, che ci doni lo spirito di misericordia e di amore, che ce ne riempia e che ce lo conservi.

Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente.

Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. E` una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.

Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcuna timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni.