venerdì 29 giugno 2012

Benedetto XVI: Angelus nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 2012



SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Venerdì, 29 giugno 2012


Cari fratelli e sorelle,

celebriamo con gioia la solennità liturgica dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, una festa che accompagna la storia bimillenaria del Popolo cristiano. Essi sono chiamati colonne della Chiesa nascente. Testimoni insigni della fede, hanno dilatato il Regno di Dio con i loro diversi doni e, sull’esempio del divino Maestro, hanno sigillato col sangue la loro predicazione evangelica. Il loro martirio è segno di unità della Chiesa, come dice sant’Agostino: «Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì» (Disc. 295, 8: PL 38, 1352).

Del sacrificio di Pietro sono segno eloquente la Basilica Vaticana e questa Piazza, così importanti per la cristianità. Anche del martirio di Paolo restano tracce significative nella nostra Città, specialmente la Basilica a lui dedicata sulla Via Ostiense. Roma porta inscritti nella sua storia i segni della vita e della morte gloriosa dell’umile Pescatore di Galilea e dell’Apostolo delle genti, che giustamente si è scelti come Protettori. Facendo memoria della loro luminosa testimonianza, noi ricordiamo gli inizi venerandi della Chiesa che in Roma crede, prega ed annuncia Cristo Redentore. Ma i Santi Pietro e Paolo brillano non solo nel cielo di Roma, ma nel cuore di tutti i credenti che, illuminati dal loro insegnamento e dal loro esempio, in ogni parte del mondo camminano sulla via della fede, della speranza e della carità.

In questo cammino di salvezza, la comunità cristiana, sostenuta dalla presenza dello Spirito del Dio vivo, si sente incoraggiata a proseguire forte e serena sulla strada della fedeltà a Cristo e dell’annuncio del suo Vangelo agli uomini di ogni tempo. In questo fecondo itinerario spirituale e missionario si colloca anche la consegna del Pallio agli Arcivescovi Metropoliti, che ho compiuto stamani in Basilica. Un rito sempre eloquente, che pone in risalto l’intima comunione dei Pastori con il Successore di Pietro e il profondo vincolo che ci lega alla tradizione apostolica. Si tratta di un duplice tesoro di santità, in cui si fondono insieme l’unità e la cattolicità della Chiesa: un tesoro prezioso da riscoprire e da vivere con rinnovato entusiasmo e costante impegno.

Cari pellegrini, qui giunti da ogni parte del mondo! In questo giorno di festa, preghiamo con le espressioni della Liturgia orientale: «Sia lode a Pietro e a Paolo, queste due grandi luci della Chiesa; essi brillano nel firmamento della fede». In questo clima, desidero rivolgere un particolare pensiero alla Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli che, come ogni anno, è venuta per prender parte a queste nostre tradizionali celebrazioni. La Vergine Santa conduca tutti i credenti in Cristo al traguardo della piena unità!

 
Dopo l’Angelus

Chers frères et soeurs!

J’accueille avec joie les pèlerins francophones, et plus particulièrement ceux venus du Canada et de France,
pour la prière de l’Angélus. J’ai eu la joie d’imposer le pallium aux nouveaux archevêques métropolitains, signe de leur lien particulier de communion avec le Successeur de Pierre. Que l’intercession des Apôtres Pierre et Paul, fêtés aujourd’hui, nous obtienne de grandir dans une fidélité parfaite à l’enseignement de l’Église puisqu’elle reçut par eux la première annonce de la foi. Pierre et Paul ont travaillé, chacun à sa façon selon la grâce reçue, pour rassembler l’unique famille du Christ ! Avec ma Bénédiction apostolique !

I welcome all the English-speaking pilgrims and visitors present in Rome for the Solemnity of Saints Peter and Paul. I extend warm greetings to the Metropolitan Archbishops who received the Pallium in this morning’s celebration, and to all who have travelled to Rome to accompany them on this joyful day. I assure the new Archbishops of my prayers for their pastoral ministry and I encourage all Christians, after the example of Saints Peter and Paul, to let the light of the Gospel shine brightly in their lives. May God bless you all!

Gerne heiße ich am heutigen Fest der Apostel Petrus und Paulus alle Brüder und Schwestern deutscher Sprache willkommen. Besonders grüße ich die Pilger aus dem Erzbistum Berlin, die zur Überreichung des Palliums an ihren Erzbischof nach Rom gekommen sind. Der Dienst für Jesus Christus beginnt damit, daß man ihn als den Herrn anerkent und bezeugt. „Du bist der Messias, der Sohn des lebendigen Gottes“ (Mt 16,16), bekennt Petrus im Kreis der Jünger und im Namen der Jünger. Auf Petrus und sein Bekenntnis baut Christus die Kirche. In Einheit mit dem Nachfolger des Petrus wollen die neuen Erzbischöfe und alle Bischöfe mutig für den Glauben an Christus eintreten. Unterstützt die Hirten der Kirche mit einem lebendigen Glauben und mit eurem Gebet und betet auch für mich und meinen Petrusdienst. Gesegneten Festtag euch allen!

Saludo a los fieles de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los venidos de Argentina, Guatemala, México, Perú y Venezuela, que acompañan con su afecto y oración a los arzobispos metropolitanos que acaban de recibir el palio en esta solemnidad de san Pedro y san Pablo. Que el ejemplo y la intercesión de los Apóstoles ayude a la Iglesia a dar en la hora presente un fiel y audaz testimonio del Evangelio de la salvación. Que Dios os bendiga.

Uma saudação especial para os Arcebispos do Brasil e de Angola que acabaram de receber o pálio e também para os familiares e amigos que os acompanham: À Virgem Maria confio vossas vidas, famílias e dioceses, para todos implorando o dom do amor e da unidade sobre a rocha de Pedro.
W tym uroczystym dniu pozdrawiam bardzo serdecznie nowych Arcybiskupów metropolitów polskich, którzy rano otrzymali paliusze. Pozdrawiam również wiernych, którzy towarzyszą im swoją obecnością i modlitwą. Niech Święci Apostołowie – Piotr, Skała, na której Chrystus zbudował swój Kościół i Paweł, Apostoł Narodów – wspierają ich pasterską posługę, by prowadzili powierzone im wspólnoty zgodnie z wolą Bożą. Nowym metropolitom i wam wszystkim z serca błogosławię.

[In questa giornata solenne saluto cordialmente i nuovi Arcivescovi metropoliti polacchi che questa mattina hanno ricevuto il pallio. Saluto anche i fedeli che li accompagnano con l’affetto e con la preghiera. I Santi Apostoli – Pietro, roccia su cui Cristo ha edificato la Sua Chiesa, e Paolo, l’Apostolo delle Genti – sostengano il ministero di questi Pastori in modo che possano guidare le comunità loro affidate secondo la volontà di Dio. Di cuore benedico i nuovi metropoliti e voi tutti.]

Infine, saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare gli Arcivescovi Metropoliti e quanti li accompagnano, le Suore della Santissima Madre Addolorata, l’Associazione Amici di Santa Veronica, come pure la Pro Loco di Roma e i maestri infioratori, che ringrazio per l’artistico omaggio floreale che possiamo vedere qui accanto alla Piazza.

Sono qui convenuti, per rinnovare sentimenti di profonda comunione e di spirituale vicinanza al Successore di Pietro, i fedeli della Diocesi di Roma con il Cardinale Vicario Agostino Vallini, e i giovani cattolici riunitisi spontaneamente in gruppo attraverso i social network: grazie per la vostra presenza! Cari amici, vi ringrazio cordialmente per questo gesto di affetto e per le vostre iniziative a sostegno del mio ministero e per favorire in ogni ambiente una coraggiosa e attiva testimonianza cristiana. Conto anche sulle vostre preghiere per continuare a servire la Chiesa con la mitezza e la forza dello Spirito Santo.

A tutti auguro una buona festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo! Buona festa a voi tutti. Grazie!

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana




Benedetto XVI nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo - Santa Messa e imposizione del Pallio ai nuovi Metropoliti (29 giugno 2012)




SANTA MESSA E IMPOSIZIONE DEL PALLIO
AI NUOVI METROPOLITI
  
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Venerdì
, 29 giugno 2012

[Video] 


Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle
!

Siamo riuniti attorno all’altare per celebrare solennemente i santi Apostoli Pietro e Paolo, principali Patroni della Chiesa di Roma. Sono presenti, ed hanno appena ricevuto il Pallio, gli Arcivescovi Metropoliti nominati durante l’ultimo anno, ai quali va il mio speciale e affettuoso saluto. E’ presente anche, inviata da Sua Santità Bartolomeo I, una eminente Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che accolgo con fraterna e cordiale riconoscenza. In spirito ecumenico sono lieto di salutare e ringraziare “The Choir of Westminster Abbey”, che anima la Liturgia assieme alla Cappella Sistina. Saluto anche i Signori Ambasciatori e le Autorità civili: tutti ringrazio per la presenza e per la preghiera.

Davanti alla Basilica di San Pietro, come tutti sanno bene, sono collocate due imponenti statue degli Apostoli Pietro e Paolo, facilmente riconoscibili dalle loro prerogative: le chiavi nella mano di Pietro e la spada tra le mani di Paolo. Anche sul portale maggiore della Basilica di San Paolo fuori le mura sono raffigurate insieme scene della vita e del martirio di queste due colonne della Chiesa. La tradizione cristiana da sempre considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare. Infatti, la comunità cristiana di questa Città li considerò come una specie di contraltare dei mitici Romolo e Remo, la coppia di fratelli a cui si faceva risalire la fondazione di Roma. Si potrebbe pensare anche a un altro parallelismo oppositivo, sempre sul tema della fratellanza: mentre, cioè, la prima coppia biblica di fratelli ci mostra l’effetto del peccato, per cui Caino uccide Abele, Pietro e Paolo, benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro. Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità odierna consegna a ciascuno di noi, e la cui importanza si riflette anche sulla ricerca di quella piena comunione, cui anelano il Patriarca Ecumenico e il Vescovo di Roma, come pure tutti i cristiani.

Nel brano del Vangelo di san Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, Pietro rende la propria confessione di fede a Gesù riconoscendolo come Messia e Figlio di Dio; lo fa anche a nome degli altri Apostoli. In risposta, il Signore gli rivela la missione che intende affidargli, quella cioè di essere la «pietra», la «roccia», il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa (cfr Mt 16,16-19). Ma in che modo Pietro è la roccia? Come egli deve attuare questa prerogativa, che naturalmente non ha ricevuto per se stesso? Il racconto dell’evangelista Matteo ci dice anzitutto che il riconoscimento dell’identità di Gesù pronunciato da Simone a nome dei Dodici non proviene «dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre. Invece subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: … questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù a sua volta replicò: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23). Il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare – in greco skandalon. Appare qui evidente la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare.

E nel Vangelo di oggi emerge con forza la chiara promessa di Gesù: «le porte degli inferi», cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, «non praevalebunt». Viene alla mente il racconto della vocazione del profeta Geremia, al quale il Signore, affidando la missione, disse: «Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno - non praevalebunt -, perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,18-19). In realtà, la promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. Geremia riceve una promessa che riguarda lui come persona e il suo ministero profetico; Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell’esistenza personale di Pietro stesso.

Passiamo ora al simbolo delle chiavi, che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Esso rimanda all’oracolo del profeta Isaia sul funzionario Eliakìm, del quale è detto: «Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» (Is 22,22). La chiave rappresenta l’autorità sulla casa di Davide. E nel Vangelo c’è un’altra parola di Gesù rivolta agli scribi e ai farisei, ai quali il Signore rimprovera di chiudere il regno dei cieli davanti agli uomini (cfr Mt 23,13). Anche questo detto ci aiuta a comprendere la promessa fatta a Pietro: a lui, in quanto fedele amministratore del messaggio di Cristo, spetta di aprire la porta del Regno dei Cieli, e di giudicare se accogliere o respingere (cfr Ap 3,7). Le due immagini – quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere – esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L’espressione «legare e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall’altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra … nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell’esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio.

Nel capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo, dedicato alla vita della comunità ecclesiale, troviamo un altro detto di Gesù rivolto ai discepoli: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo» (Mt 18,18). E san Giovanni, nel racconto dell’apparizione di Cristo risorto in mezzo agli Apostoli alla sera di Pasqua, riporta questa parola del Signore: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Alla luce di questi parallelismi, appare chiaramente che l’autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del mistero e del ministero della Chiesa. La Chiesa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. I detti di Gesù sull’autorità di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore, l’amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l’umanità intera.

Cari fratelli, come ricordavo all’inizio, la tradizione iconografica raffigura san Paolo con la spada, e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell’Apostolo delle genti, scopriamo che l’immagine della spada si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2 Tm 4,7). Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. E proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme con Pietro, quale colonna nell’edificio spirituale della Chiesa.
Cari Metropoliti: il Pallio che vi ho conferito vi ricorderà sempre che siete stati costituiti nel e per il grande mistero di comunione che è la Chiesa, edificio spirituale costruito su Cristo pietra angolare e, nella sua dimensione terrena e storica, sulla roccia di Pietro. Animati da questa certezza, sentiamoci tutti insieme cooperatori della verità, la quale – sappiamo – è una e «sinfonica», e richiede da ciascuno di noi e dalle nostre comunità l’impegno costante della conversione all’unico Signore nella grazia dell’unico Spirito. Ci guidi e ci accompagni sempre nel cammino della fede e della carità la Santa Madre di Dio. Regina degli Apostoli, prega per noi!
Amen.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


giovedì 28 giugno 2012

Solennità dei Santi Pietro e Paolo, apostoli - 29 Giugno





ENTRA


PRIMI VESPRI - UFFICIO LETTURE - LODI MATTUTINE
ORA MEDIA - SECONDI VESPRICOMPIETA


CALENDARIO LITURGICO 2012


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29 Venerdì

Solennità dei Santi Pietro e Paolo Apostoli
Basilica Vaticana, ore 9.00
CAPPELLA PAPALE
Santa Messa e imposizione del Pallio ai nuovi Metropoliti
Presiedute dal Santo Padre
BENEDETTO XVI

Libretto della Celebrazione  

mercoledì 27 giugno 2012

San Ireneo, vescovo e martire (m) 28 giugno

Benedetto XVI all'Udienza Generale (27 giugno 2012)




BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 27 Giugno 2012



Cari fratelli e sorelle,

La nostra preghiera è fatta, come abbiamo visto nei mercoledì passati, di silenzi e di parola, di canto e di gesti che coinvolgono l’intera persona: dalla bocca alla mente, dal cuore all’intero corpo. E’ una caratteristica che ritroviamo nella preghiera ebraica, specialmente nei Salmi. Oggi vorrei parlare di uno dei canti o inni più antichi della tradizione cristiana, che san Paolo ci presenta in quello che è, in certo modo, il suo testamento spirituale: la Lettera ai Filippesi. Si tratta, infatti, di una Lettera che l’Apostolo detta mentre è in prigione, forse a Roma. Egli sente prossima la morte perché afferma che la sua vita sarà offerta in libagione (cfr Fil 2,17).

Nonostante questa situazione di grave pericolo per la sua incolumità fisica, san Paolo, in tutto lo scritto, esprime la gioia di essere discepolo di Cristo, di potergli andare incontro, fino al punto di vedere il morire non come una perdita, ma come guadagno. Nell’ultimo capitolo della Lettera c’è un forte invito alla gioia, caratteristica fondamentale dell’essere cristiani e del nostro pregare. San Paolo scrive: «Siate sempre lieti nel Signore; ve lo ripeto: siate lieti» (Fil 4,4). Ma come si può gioire di fronte a una condanna a morte ormai imminente? Da dove o meglio da chi san Paolo trae la serenità, la forza, il coraggio di andare incontro al martirio e all’effusione del sangue?

Troviamo la risposta al centro della Lettera ai Filippesi, in quello che la tradizione cristiana denomina carmen Christo, il canto per Cristo, o più comunemente «inno cristologico»; un canto in cui tutta l’attenzione è centrata sui «sentimenti» di Cristo, cioè sul suo modo di pensare e sul suo atteggiamento concreto e vissuto. Questa preghiera inizia con un’esortazione: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Questi sentimenti vengono presentati nei versetti successivi: l’amore, la generosità, l’umiltà, l’obbedienza a Dio, il dono di sé. Si tratta non solo e non semplicemente di seguire l’esempio di Gesù, come una cosa morale, ma di coinvolgere tutta l’esistenza nel suo modo di pensare e di agire. La preghiera deve condurre ad una conoscenza e ad un’unione nell’amore sempre più profonde con il Signore, per poter pensare, agire e amare come Lui, in Lui e per Lui. Esercitare questo, imparare i sentimenti di Gesù, è la via della vita cristiana.

Ora vorrei soffermarmi brevemente su alcuni elementi di questo denso canto, che riassume tutto l’itinerario divino e umano del Figlio di Dio e ingloba tutta la storia umana: dall’essere nella condizione di Dio, all’incarnazione, alla morte di croce e all’esaltazione nella gloria del Padre è implicito anche il comportamento di Adamo, dell'uomo dall'inizio. Questo inno a Cristo parte dal suo essere «en morphe tou Theou», dice il testo greco, cioè dall’essere «nella forma di Dio», o meglio nella condizione di Dio. Gesù, vero Dio e vero uomo, non vive il suo «essere come Dio» per trionfare o per imporre la sua supremazia, non lo considera un possesso, un privilegio, un tesoro geloso. Anzi, «spogliò», svuotò se stesso assumendo, dice il testo greco, la «morphe doulos», la «forma di schiavo», la realtà umana segnata dalla sofferenza, dalla povertà, dalla morte; si è assimilato pienamente agli uomini, tranne che nel peccato, così da comportarsi come servo completamente dedito al servizio degli altri. Al riguardo, Eusebio di Cesarea - IV secolo - afferma: «Ha preso su se stesso le fatiche delle membra che soffrono. Ha fatto sue le nostre umili malattie. Ha sofferto e tribolato per causa nostra: questo in conformità con il suo grande amore per l’umanità» (La dimostrazione evangelica, 10, 1, 22). San Paolo continua delineando il quadro «storico» in cui si è realizzato questo abbassamento di Gesù: «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2,8). Il Figlio di Dio è diventato veramente uomo e ha compiuto un cammino nella completa obbedienza e fedeltà alla volontà del Padre fino al sacrificio supremo della propria vita. Ancora di più, l’Apostolo specifica «fino alla morte, e a una morte di croce». Sulla croce Gesù Cristo ha raggiunto il massimo grado dell’umiliazione, perché la crocifissione era la pena riservata agli schiavi e non alle persone libere: «mors turpissima crucis», scrive Cicerone (cfr In Verrem, V, 64, 165).

Nella Croce di Cristo l’uomo viene redento e l’esperienza di Adamo è rovesciata: Adamo, creato a immagine e somiglianza di Dio, pretese di essere come Dio con le proprie forze, di mettersi al posto di Dio, e così perse la dignità originaria che gli era stata data. Gesù, invece, era «nella condizione di Dio», ma si è abbassato, si è immerso nella condizione umana, nella totale fedeltà al Padre, per redimere l’Adamo che è in noi e ridare all’uomo la dignità che aveva perduto. I Padri sottolineano che Egli si è fatto obbediente, restituendo alla natura umana, attraverso la sua umanità e obbedienza, quello che era stato perduto per la disobbedienza di Adamo.

Nella preghiera, nel rapporto con Dio, noi apriamo la mente, il cuore, la volontà all’azione dello Spirito Santo per entrare in quella stessa dinamica di vita, come afferma san Cirillo di Alessandria, la cui festa celebriamo oggi: «L’opera dello Spirito cerca di trasformarci per mezzo della grazia nella copia perfetta della sua umiliazione» (Lettera Festale 10, 4). La logica umana, invece, ricerca spesso la realizzazione di se stessi nel potere, nel dominio, nei mezzi potenti. L’uomo continua a voler costruire con le proprie forze la torre di Babele per raggiungere da se stesso l’altezza di Dio, per essere come Dio. L’Incarnazione e la Croce ci ricordano che la piena realizzazione sta nel conformare la propria volontà umana a quella del Padre, nello svuotarsi dal proprio egoismo, per riempirsi dell’amore, della carità di Dio e così diventare veramente capaci di amare gli altri. L'uomo non trova se stesso rimanendo chiuso in sé, affermando se stesso. L'uomo si ritrova solo uscendo da se stesso; solo se usciamo da noi stessi ci ritroviamo. E se Adamo voleva imitare Dio, questo di per sé non è male, ma ha sbagliato nell'idea di Dio. Dio non è uno che vuole solo grandezza. Dio è amore che si dona già nella Trinità, e poi nella creazione. E imitare Dio vuol dire uscire da se stesso, darsi nell'amore.

Nella seconda parte di questo «inno cristologico» della Lettera ai Filippesi, il soggetto cambia; non è più Cristo, ma è Dio Padre. San Paolo sottolinea che è proprio per l’obbedienza alla volontà del Padre che «Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2,9). Colui che si è profondamente abbassato prendendo la condizione di schiavo, viene esaltato, innalzato sopra ogni cosa dal Padre, che gli dà il nome di «Kyrios», «Signore», la suprema dignità e signoria. Di fronte a questo nome nuovo, infatti, che è il nome stesso di Dio nell’Antico Testamento, «ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore”, a gloria di Dio Padre» (vv. 10-11). Il Gesù che viene esaltato è quello dell’Ultima Cena, che depone le vesti, si cinge di un asciugamano, si china a lavare i piedi agli Apostoli e chiede loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13,12-14). Questo è importante ricordare sempre nella nostra preghiera e nella nostra vita: «l’ascesa a Dio avviene proprio nella discesa dell’umile servizio, nella discesa dell’amore, che è l’essenza di Dio e quindi la forza veramente purificatrice, che rende l’uomo capace di percepire e di vedere Dio» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, p. 120).

L’inno della Lettera ai Filippesi ci offre qui due indicazioni importanti per la nostra preghiera. La prima è l’invocazione «Signore» rivolta a Gesù Cristo, seduto alla destra del Padre: è Lui l’unico Signore della nostra vita, in mezzo ai tanti «dominatori» che la vogliono indirizzare e guidare. Per questo, è necessario avere una scala di valori in cui il primato spetta a Dio, per affermare con san Paolo: «ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore» (Fil 3,8). L’incontro con il Risorto gli ha fatto comprendere che è Lui l’unico tesoro per il quale vale la pena spendere la propria esistenza.

La seconda indicazione è la prostrazione, il «piegarsi di ogni ginocchio» nella terra e nei cieli, che richiama un’espressione del Profeta Isaia, dove indica l’adorazione che tutte le creature devono a Dio (cfr 45,23). La genuflessione davanti al Santissimo Sacramento o il mettersi in ginocchio nella preghiera esprimono proprio l’atteggiamento di adorazione di fronte a Dio, anche con il corpo. Da qui l’importanza di compiere questo gesto non per abitudine e in fretta, ma con profonda consapevolezza. Quando ci inginocchiamo davanti al Signore noi confessiamo la nostra fede in Lui, riconosciamo che è Lui l’unico Signore della nostra vita.


Cari fratelli e sorelle, nella nostra preghiera fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, sostiamo in adorazione più spesso davanti all’Eucaristia, per far entrare la nostra vita nell’amore di Dio, che si è abbassato con umiltà per elevarci fino a Lui. All’inizio della catechesi ci siamo chiesti come san Paolo potesse gioire di fronte al rischio imminente del martirio e della sua effusione del sangue. Questo è possibile soltanto perché l’Apostolo non ha mai allontanato il suo sguardo da Cristo sino a diventargli conforme nella morte, «nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,11). Come san Francesco davanti al crocifisso, diciamo anche noi: Altissimo, glorioso Dio, illumina le tenebre del mio cuore. Dammi una fede retta, speranza certa e carità perfetta, senno e discernimento per compiere la tua vera e santa volontà. Amen (cfr Preghiera davanti al Crocifisso: FF [276]).


Saluti:

Je salue les pèlerins francophones, en particulier les groupes venus de Syros en Grèce, et de Haïti, les élèves de la Maison d’Éducation de la Légion d’Honneur, et les jeunes de Carcassonne et de Dijon. Que le Christ soit l’unique trésor et Seigneur de notre vie ! Soyons toujours joyeux en Lui ! Bon pèlerinage à tous !

I offer a warm welcome to the ecumenical delegation of Christian leaders from Korea. I greet the pilgrimage groups from Nigeria, South Africa and Swaziland. My greeting also goes to the many student groups present. Upon all the English-speaking pilgrims and visitors, including those from England, Scotland, Wales, Ireland, Norway, Australia, the Bahamas and the United States of America, I invoke God’s blessings of joy and peace!

Ganz herzlich grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Lassen wir in uns die Gedanken des heiligen Paulus konkret werden, indem wir auf Christus hinschauen und so hineinwachsen in seine Weise des Seins, des Fühlens, des Denkens und damit von dem Sohn Gottes her das richtige Menschsein erlernen. Euch allen wünsche ich schöne Pilgerschaft in Rom und freudige Erlebnisse der Nähe unseres Herrn. Danke.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos de la Arquidiócesis de Los Altos, y de la Diócesis de Zacatecoluca, acompañados por sus Pastores, así como a los provenientes de España, México, Colombia y otros países latinoamericanos. Invito a todos a que fijen en la oración su mirada en el Crucifijo, a detenerse frecuentemente para la adoración eucarística y así entrar en el amor de Dios, que se ha abajado con humildad para elevarnos hacia Él. Muchas gracias.

Amados peregrinos de Teresina e de São João da Madeira e todos os presentes de língua portuguesa, a minha saudação amiga! Possa esta vossa vinda a Roma cumprir-se nas vestes de um verdadeiro peregrino que, sabendo de não possuir ainda o seu Bem maior, se põe a caminho, decidido a encontrá-Lo! Sabei que Deus Se deixa encontrar por quantos assim O procuram; com Ele, a vossa vida não pode deixar de ser feliz. Sobre vós e vossas famílias, desça a minha Bênção.

Saluto in lingua polacca:
Drodzy polscy pielgrzymi. Zbliża się uroczystość świętych apostołów Piotra i Pawła. W sposób szczególny wspominamy ich w Rzymie, gdzie nauczali, dawali świadectwo i ponieśli męczeństwo w imię Chrystusa. Nawiedzenie ich grobów niech będzie dla wszystkich okazją do umocnienia w wierze, nadziei i miłości. Niech Bóg wam błogosławi.

Traduzione italiana:
Cari pellegrini polacchi. Si avvicina la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo. In modo particolare li ricordiamo a Roma, dove hanno insegnato, hanno dato la loro testimonianza e hanno subito il martirio in nome di Cristo. La visita alle loro tombe sia per tutti l’occasione di un consolidamento nella fede, nella speranza e nell’amore. Dio vi benedica!

Saluto in lingua slovacca:
Zo srdca pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Farnosti Šuňava.
Bratia a sestry, pozajtra budeme sláviť slávnosť svätých Petra a Pavla. Nech návšteva ich hrobov upevní vašu lásku ku Kristovej Cirkvi, ktorá je postavená na apoštoloch.
S láskou vás žehnám.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:
Saluto di cuore i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti dalla Parrocchia di Šuňava.
Fratelli e sorelle, dopodomani celebreremo la solennità dei Santi Pietro e Paolo. La visita delle loro tombe approfondisca il vostro amore per la Chiesa di Cristo, fondata sugli apostoli.
Con affetto vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:
Isten hozta a magyar híveket, különösen is azokat, akik Budapestről és Orosházáról érkeztek. Közeledik Szent Péter és Pál apostolok ünnepe, akikről Rómában különösképpen is megemlékezünk, mert itt tanítottak, tettek tanúságot Krisztusról és szenvedték el érte a vértanúságot.
Szívből adom rátok apostoli áldásomat.
Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:
Saluto cordialmente i fedeli di lingua ungherese, specialmente i membri dei gruppi arrivati da Budapest e da Orosháza.
Si avvicina la solennità dei Santi apostoli Pietro e Paolo. In modo particolare li ricordiamo a Roma, dove hanno insegnato, reso testimonianza e subito il martirio in nome di Cristo.
Volentieri vi imparto la mia Benedizione.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli delle Marche, accompagnati dall’Arcivescovo Mons. Edoardo Menichelli; quelli della parrocchia di San Domenico in Acquaviva delle Fonti, che ricordano un significativo anniversario giubilare; le Suore Francescane Immacolatine, che stanno celebrando il loro Capitolo generale, e i rappresentanti della Consulta Nazionale Antiusura. Cari amici, vi ringrazio per la vostra visita e vi incoraggio a dare una coraggiosa e incisiva testimonianza cristiana nei vari ambienti in cui operate.

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Siamo ormai entrati nell'estate, per molti tempo di ferie e di riposo. Per voi, cari giovani, sia un'occasione per utili esperienze sociali e religiose; per voi, cari sposi novelli, un opportuno periodo per far crescere la vostra unione e approfondire la vostra missione nella Chiesa e nella società. Auspico inoltre che a voi, cari malati, non manchi durante questi mesi estivi la vicinanza di persone care.

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martedì 26 giugno 2012

Benedetto XVI nella Visita Pastorale nelle Zone Terremotate dell'Emilia-Romagna (26 giugno 2012)




DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Area Impianti sportivi, San Marino di Carpi - Modena
Martedì, 26 giugno 2012


Cari fratelli e sorelle!

Grazie per la vostra accoglienza! Fin dai primi giorni del terremoto che vi ha colpito, sono stato sempre vicino a voi con la preghiera e l’interessamento. Ma quando ho visto che la prova era diventata più dura, ho sentito in modo sempre più forte il bisogno di venire di persona in mezzo a voi. E ringrazio il Signore che me lo ha concesso!

Sono allora con grande affetto con voi, qui riuniti, e abbraccio con la mente e con il cuore tutti i paesi, tutte le popolazioni che hanno subito danni dal sisma, specialmente le famiglie e le comunità che piangono i defunti: il Signore li accolga nella sua pace. Avrei voluto visitare tutte le comunità per rendermi presente in modo personale e concreto, ma voi sapete bene quanto sarebbe stato difficile. In questo momento, però, vorrei che tutti, in ogni paese, sentiste come il cuore del Papa è vicino al vostro cuore per consolarvi, ma soprattutto per incoraggiarvi e per sostenervi. Saluto il Signor Ministro Rappresentante del Governo, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, e l’Onorevole Vasco Errani, Presidente della Regione Emilia-Romagna, che ringrazio di cuore per le parole che mi ha rivolto a nome delle istituzioni e della comunità civile. Desidero ringraziare poi il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, per le affettuose espressioni che mi ha indirizzato e dalle quali emerge la forza dei vostri cuori, che non hanno crepe, ma sono profondamente uniti nella fede e nella speranza. Saluto e ringrazio i Fratelli Vescovi e Sacerdoti, i rappresentanti delle diverse realtà religiose e sociali, le Forze dell’ordine, i volontari: è importante offrire una testimonianza concreta di solidarietà e di unità. Ringrazio per questa grande testimonianza, soprattutto dei volontari!

Come vi dicevo, ho sentito il bisogno di venire, seppure per un breve momento, in mezzo a voi. Anche quando sono stato a Milano, all’inizio di questo mese, per l’Incontro Mondiale delle Famiglie, avrei voluto passare a visitarvi, e il mio pensiero andava spesso a voi. Sapevo infatti che, oltre a patire le conseguenze materiali, eravate messi alla prova nell’animo, per il protrarsi delle scosse, anche forti; come pure dalla perdita di alcuni edifici simbolici dei vostri paesi, e tra questi in modo particolare di tante chiese. Qui a Rovereto di Novi, nel crollo della chiesa – che ho appena visto – ha perso la vita Don Ivan Martini. Rendendo omaggio alla sua memoria, rivolgo un particolare saluto a voi, cari sacerdoti, e a tutti i confratelli, che state dimostrando, come già è avvenuto in altre ore difficili della storia di queste terre, il vostro amore generoso per il popolo di Dio.

Come sapete, noi sacerdoti – ma anche i religiosi e non pochi laici – preghiamo ogni giorno con il cosiddetto «Breviario», che contiene la Liturgia delle Ore, la preghiera della Chiesa che scandisce la giornata. Preghiamo con i Salmi, secondo un ordine che è lo stesso per tutta la Chiesa Cattolica, in tutto il mondo. Perché vi dico questo? Perché in questi giorni ho incontrato, pregando il Salmo 46, questa espressione che mi ha toccato: «Dio è per noi rifugio e fortezza, / aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce. / Perciò non temiamo se trema la terra, / se vacillano i monti nel fondo del mare» (Sal 46,2-3). Quante volte ho letto queste parole? Innumerevoli volte! Da sessantun anno sono sacerdote! Eppure in certi momenti, come questo, esse colpiscono fortemente, perché toccano sul vivo, danno voce a un’esperienza che adesso voi state vivendo, e che tutti quelli che pregano condividono. Ma – vedete – queste parole del Salmo non solo mi colpiscono perché usano l’immagine del terremoto, ma soprattutto per ciò che affermano riguardo al nostro atteggiamento interiore di fronte allo sconvolgimento della natura: un atteggiamento di grande sicurezza, basata sulla roccia stabile, irremovibile che è Dio. Noi «non temiamo se trema la terra» – dice il salmista – perché «Dio è per noi rifugio e fortezza», è «aiuto infallibile … nelle angosce».

Cari fratelli e sorelle, queste parole sembrano in contrasto con la paura che inevitabilmente si prova dopo un’esperienza come quella che voi avete vissuto. Una reazione immediata, che può imprimersi più profondamente, se il fenomeno si prolunga. Ma, in realtà, il Salmo non si riferisce a questo tipo di paura, che è naturale, e la sicurezza che afferma non è quella di super-uomini che non sono toccati dai sentimenti normali. La sicurezza di cui parla è quella della fede, per cui, sì, ci può essere la paura, l’angoscia – le ha provate anche Gesù, come sappiamo – ma c’è, in tutta la paura e l'angoscia, soprattutto la certezza che Dio è con noi; come il bambino che sa sempre di poter contare sulla mamma e sul papà, perché si sente amato, voluto, qualunque cosa accada. Così siamo noi rispetto a Dio: piccoli, fragili, ma sicuri nelle sue mani, cioè affidati al suo Amore che è solido come una roccia. Questo Amore noi lo vediamo in Cristo Crocifisso, che è il segno al tempo stesso del dolore, della sofferenza, e dell’amore. E’ la rivelazione di Dio Amore, solidale con noi fino all’estrema umiliazione.

Su questa roccia, con questa ferma speranza, si può costruire, si può ricostruire. Sulle macerie del dopoguerra – non solo materiali – l’Italia è stata ricostruita certamente grazie anche ad aiuti ricevuti, ma soprattutto grazie alla fede di tanta gente animata da spirito di vera solidarietà, dalla volontà di dare un futuro alle famiglie, un futuro di libertà e di pace. Voi siete gente che tutti gli italiani stimano per la vostra umanità e socievolezza, per la laboriosità unita alla giovialità. Tutto ciò è ora messo a dura prova da questa situazione, ma essa non deve e non può intaccare quello che voi siete come popolo, la vostra storia e la vostra cultura. Rimanete fedeli alla vostra vocazione di gente fraterna e solidale, e affronterete ogni cosa con pazienza e determinazione, respingendo le tentazioni che purtroppo sono connesse a questi momenti di debolezza e di bisogno.

La situazione che state vivendo ha messo in luce un aspetto che vorrei fosse ben presente nel vostro cuore: non siete e non sarete soli! In questi giorni, in mezzo a tanta distruzione e tanto dolore, voi avete visto e sentito come tanta gente si è mossa per esprimervi vicinanza, solidarietà, affetto; e questo attraverso tanti segni e aiuti concreti. La mia presenza in mezzo a voi vuole essere uno di questi segni di amore e di speranza. Guardando le vostre terre ho provato profonda commozione davanti a tante ferite, ma ho visto anche tante mani che le vogliono curare insieme a voi; ho visto che la vita ricomincia, vuole ricominciare con forza e coraggio, e questo è il segno più bello e luminoso.

Da questo luogo vorrei lanciare un forte appello alle istituzioni, ad ogni cittadino ad essere, pur nelle difficoltà del momento, come il buon samaritano del Vangelo che non passa indifferente davanti a chi è nel bisogno, ma, con amore, si china, soccorre, rimane accanto, facendosi carico fino in fondo delle necessità dell’altro (cfr Lc 10,29-37). La Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l’aiuto concreto delle sue organizzazioni, in particolare della Caritas, che si impegnerà anche nella ricostruzione del tessuto comunitario delle parrocchie.

Cari amici, vi benedico tutti e ciascuno, e vi porto con grande affetto nel mio cuore.

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domenica 24 giugno 2012

Benedetto XVI alla recita dell'Angelus in Piazza San Pietro - 24 giugno 2012



BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 24 giugno 2012


Cari fratelli e sorelle!

Oggi, 24 giugno, celebriamo la solennità della Nascita di San Giovanni Battista. Se si eccettua la Vergine Maria, il Battista è l’unico santo di cui la liturgia festeggia la nascita, e lo fa perché essa è strettamente connessa al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Fin dal grembo materno, infatti, Giovanni è precursore di Gesù: il suo prodigioso concepimento è annunciato dall’Angelo a Maria come segno che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37), sei mesi prima del grande prodigio che ci dà salvezza, l’unione di Dio con l’uomo per opera dello Spirito Santo. I quattro Vangeli danno grande risalto alla figura di Giovanni il Battista, quale profeta che conclude l’Antico Testamento e inaugura il Nuovo, indicando in Gesù di Nazaret il Messia, il Consacrato del Signore. In effetti, sarà lo stesso Gesù a parlare di Giovanni in questi termini: «Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la via. In verità io vi dico: fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,10-11).

Il padre di Giovanni, Zaccaria – marito di Elisabetta, parente di Maria –, era sacerdote del culto dell’Antico Testamento. Egli non credette subito all’annuncio di una paternità ormai insperata, e per questo rimase muto fino al giorno della circoncisione del bambino, al quale lui e la moglie dettero il nome indicato da Dio, cioè Giovanni, che significa «il Signore fa grazia». Animato dallo Spirito Santo, Zaccaria così parlò della missione del figlio: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo / perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, / per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza / nella remissione dei suoi peccati» (Lc 1,76-77). Tutto questo si manifestò trent’anni dopo, quando Giovanni si mise a battezzare nel fiume Giordano, chiamando la gente a prepararsi, con quel gesto di penitenza, all’imminente venuta del Messia, che Dio gli aveva rivelato durante la sua permanenza nel deserto della Giudea. Per questo egli venne chiamato «Battista», cioè «Battezzatore» (cfr Mt 3,1-6). Quando un giorno, da Nazaret, venne Gesù stesso a farsi battezzare, Giovanni dapprima rifiutò, ma poi acconsentì, e vide lo Spirito Santo posarsi su Gesù e udì la voce del Padre celeste che lo proclamava suo Figlio (cfr Mt 3,13-17). Ma la missione del Battista non era ancora compiuta: poco tempo dopo, gli fu chiesto di precedere Gesù anche nella morte violenta: Giovanni fu decapitato nel carcere del re Erode, e così rese piena testimonianza all’Agnello di Dio, che per primo aveva riconosciuto e indicato pubblicamente.

Cari amici, la Vergine Maria aiutò l’anziana parente Elisabetta a portare a termine la gravidanza di Giovanni. Ella aiuti tutti a seguire Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, che il Battista annunciò con grande umiltà e ardore profetico.





Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle,

in Italia ricorre oggi la Giornata per la carità del Papa. Ringrazio tutte le comunità parrocchiali, le famiglie e i singoli fedeli per il loro sostegno costante e generoso, che va a vantaggio di tanti fratelli in difficoltà. A questo proposito, ricordo che dopodomani, a Dio piacendo, farò una breve visita nelle zone colpite dal recente terremoto nel Nord Italia. Vorrei che fosse segno della solidarietà di tutta la Chiesa, e perciò invito tutti ad accompagnarmi con la preghiera.

En ce jour de la fête de la nativité de saint Jean-Baptiste, je suis heureux d’accueillir les pèlerins francophones présents pour la prière de l’Angélus. Saint Jean-Baptiste, le plus grand des enfants des hommes, a su reconnaître le Seigneur. Après avoir baptisé Jésus dans les eaux du Jourdain et l’avoir désigné comme le Messie, il s’est effacé humblement devant lui. Son exemple nous invite à nous convertir, à témoigner du Christ et à l’annoncer à temps et à contre temps, en étant comme lui la voix qui crie dans le désert, et cela jusqu’au don de notre vie. Avec la Vierge Marie sachons rendre grâce à Dieu pour tous ses bienfaits ! Bon dimanche !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors present for today’s Angelus. This Sunday, we celebrate the birth of John the Baptist, the great saint who prepared the way for our Lord. John was a voice, crying in the wilderness, calling God’s people to repentance. Let us heed his voice today, and make room for the Lord in our hearts. May God bless all of you.

Zum Hochfest der Geburt des heiligen Johannes des Täufers, das am heutigen Sonntag gefeiert wird, grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher ganz herzlich, besonders die Schülerinnen und Schüler aus Landstuhl. Johannes der Täufer ist der Wegbereiter des Herrn. Sein Name bedeutet: „Gott ist gnädig.“ Seine Geburt ist für die Verwandten und Nachbarn Grund zur Freude und ein Anlaß, Gott zu preisen. Bitten wir diesen Vorläufer Jesu um seine Fürsprache, daß auch wir mitwirken können, den Herrn anzukündigen, ihm den Weg zu bereiten und sein Erbarmen sichtbar zu machen. Der Herr segne und behüte euch alle.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los miembros de la comunidad boliviana en Italia, aquí presentes. La Iglesia celebra hoy la Natividad de San Juan Bautista, precursor del Señor, que en el seno materno exulta de gozo al llegar el Salvador del género humano. Quien fue la voz que dio a conocer a Cristo, Cordero que quita el pecado del mundo, nos sigue invitando hoy a escuchar y a acoger la divina Palabra, de la que él mismo dio testimonio, incluso con el derramamiento de su sangre. Confiemos estos propósitos a la Santísima Virgen María, a la que hoy deseo invocar bajo los gloriosos títulos de Copacabana y Urkupiña. Feliz domingo.

Pozdrawiam Polaków. Jednoczę się duchowo z arcybiskupem poznańskim, ojcami filipinami i wszystkimi pielgrzymami, którzy w Sanktuarium Matki Bożej w Gostyniu obchodzą 500-lecie jego istnienia. Dziękujemy Bogu za łaski, jakimi w tym miejscu darzył kolejne pokolenia przez przyczynę Maryi. Jej opieka niech stale Wam towarzyszy! Niech Bóg wam błogosławi!

[Saluto i polacchi. Mi unisco spiritualmente all’Arcivescovo di Poznań, ai Padri Oratoriani e a tutti i pellegrini che nel Santuario della Madre di Dio a Gostyń festeggiano il 500° anniversario della sua fondazione. Ringraziamo Dio per le grazie che in quel luogo ha sparso su generazioni di fedeli per l’intercessione di Maria. La sua protezione vi accompagni sempre. Dio vi benedica!]
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai numerosi volontari delle Pro Loco d’Italia. Cari amici, mi rallegro con voi per i 50 anni della vostra Associazione ed auguro ogni bene per suo servizio al patrimonio culturale del Paese. Saluto i giovani di Zaccanopoli, Diocesi di Vibo Valentia, e i ragazzi dell’Oratorio Salesiano di Andria. A tutti auguro una buona festa, una buona domenica, una buona settimana. Grazie!

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mercoledì 20 giugno 2012

San Luigi Gonzaga, religioso (m) 21 giugno

Benedetto XVI all'Udienza Generale "La benedizione divina per il disegno di Dio Padre (Ef 1,3-14)" - 20 giugno 2012



BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 20 Giugno 2012


La benedizione divina per il disegno di Dio Padre (Ef 1,3-14)

Cari fratelli e sorelle,

la nostra preghiera molto spesso è richiesta di aiuto nelle necessità. Ed è anche normale per l'uomo, perché abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno degli altri, abbiamo bisogno di Dio. Così per noi è normale richiedere da Dio qualcosa, cercare aiuto da Lui; e dobbiamo tenere presente che la preghiera che il Signore ci ha insegnato, il «Padre nostro», è una preghiera di richiesta, e con questa preghiera il Signore ci insegna le priorità della nostra preghiera, pulisce e purifica i nostri desideri e così pulisce e purifica  il nostro cuore. Quindi se di per sé è normale che nella preghiera richiediamo qualcosa, non dovrebbe essere esclusivamente così. C'è anche motivo di ringraziamento, e se siamo un po' attenti vediamo che da Dio riceviamo tante cose buone: è così buono con noi che conviene, è necessario, dire grazie. E deve essere anche preghiera di lode: se il nostro cuore è aperto, vediamo nonostante tutti i problemi anche la bellezza della sua creazione, la bontà che si mostra nella sua creazione. Quindi, dobbiamo non solo richiedere, ma anche lodare e ringraziare: solo così la nostra preghiera è completa.


Nelle sue Lettere, san Paolo non solo parla della preghiera, ma riporta preghiere certamente anche di richiesta, ma anche preghiere di lode e di benedizione per quanto Dio ha operato e continua a realizzare nella storia dell’umanità.

E oggi vorrei soffermarmi sul primo capitolo della Lettera agli Efesini, che inizia proprio con una preghiera, che è un inno di benedizione, un'espressione di ringraziamento, di gioia. San Paolo benedice Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, perché in Lui ci ha fatto «conoscere il mistero della sua volontà» (Ef 1,9). Realmente c'è motivo di ringraziare se Dio ci fa conoscere quanto è nascosto: la sua volontà con noi, per noi; «il mistero della sua volontà».  «Mysterion», «Mistero»: un termine che ritorna spesso nella Sacra Scrittura e nella Liturgia. Non vorrei adesso entrare nella filologia, ma nel linguaggio comune indica quanto non si può conoscere, una realtà che non possiamo afferrare con la nostra propria intelligenza. L’inno che apre la Lettera agli Efesini ci conduce per mano verso un significato più profondo di questo termine e della realtà che ci indica. Per i credenti «mistero» non è tanto l’ignoto, ma piuttosto la volontà misericordiosa di Dio, il suo disegno di amore che in Gesù Cristo si è rivelato pienamente e ci offre la possibilità di «comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo» (Ef 3,18-19). Il «mistero ignoto» di Dio è rivelato ed è che Dio ci ama, e ci ama dall'inizio, dall'eternità.

Soffermiamoci quindi un po' su questa solenne e profonda preghiera. «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 1,3). San Paolo usa il verbo «euloghein», che generalmente traduce il termine ebraico «barak»: è il lodare, glorificare, ringraziare Dio Padre come la sorgente dei beni della salvezza, come Colui che «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo».

L’Apostolo ringrazia e loda, ma riflette anche sui motivi che spingono l’uomo a questa lode, a questo ringraziamento, presentando gli elementi fondamentali del piano divino e le sue tappe. Anzitutto dobbiamo benedire Dio Padre perché così scrive san Paolo - Egli «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (v. 4). Ciò che ci fa santi e immacolati è la carità. Dio ci ha chiamati all’esistenza, alla santità. E questa scelta precede persino la creazione del mondo. Da sempre siamo nel suo disegno, nel suo pensiero. Con il profeta Geremia possiamo affermare anche noi che prima di formarci nel grembo della nostra madre Lui ci ha già conosciuti (cfr Ger 1,5); e conoscendoci ci ha amati. La vocazione alla santità, cioè alla comunione con Dio appartiene al disegno eterno di questo Dio, un disegno che si estende nella storia e comprende tutti gli uomini e le donne del mondo, perché è una chiamata universale. Dio non esclude nessuno, il suo progetto è solo di amore. San Giovanni Crisostomo afferma: «Dio stesso ci ha resi santi, ma noi siamo chiamati a rimanere santi. Santo è colui che vive nella fede» (Omelie sulla Lettera agli Efesini, 1,1,4).

San Paolo continua: Dio ci ha predestinati, ci ha eletti ad essere «figli adottivi, mediante Gesù Cristo», ad essere incorporati nel suo Figlio Unigenito. L’Apostolo sottolinea la gratuità di questo meraviglioso disegno di Dio sull’umanità. Dio ci sceglie non perché siamo buoni noi, ma perché è buono Lui. E l'antichità aveva sulla bontà una parola: bonum est diffusivum sui; il bene si comunica, fa parte dell'essenza del bene che si comunichi, si estenda. E così poiché Dio è la bontà, è comunicazione di bontà, vuole comunicare; Egli crea perché vuole comunicare la sua bontà a noi e farci buoni e santi.

Al centro della preghiera di benedizione, l’Apostolo illustra il modo in cui si realizza il piano di salvezza del Padre in Cristo, nel suo Figlio amato. Scrive: «mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7). Il sacrificio della croce di Cristo è l’evento unico e irripetibile con cui il Padre ha mostrato in modo luminoso il suo amore per noi, non soltanto a parole, ma in modo concreto. Dio è così concreto e il suo amore è così concreto che entra nella storia, si fa uomo per sentire che cosa è, come è vivere in questo mondo creato, e accetta il cammino di sofferenza della passione, subendo anche la morte. Così concreto è l'amore di Dio, che partecipa non solo al nostro essere, ma al nostro soffrire e morire.  Il Sacrificio della croce fa sì che noi diventiamo «proprietà di Dio», perché il sangue di Cristo ci ha riscattati dalla colpa, ci lava dal male, ci sottrae alla schiavitù del peccato e della morte. San Paolo invita a considerare quanto è profondo l’amore di Dio che trasforma la storia, che ha trasformato la sua stessa vita da persecutore dei cristiani ad Apostolo instancabile del Vangelo. Riecheggiano ancora una volta le parole rassicuranti della Lettera ai Romani: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?... Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,31-32.38-39). Questa certezza - Dio è per noi, e nessuna creatura può separarci da Lui, perché il suo amore è più forte - dobbiamo inserirla nel nostro essere, nella nostra coscienza di cristiani. 

Infine, la benedizione divina si chiude con l’accenno allo Spirito Santo che è stato effuso nei nostri cuori; il Paraclito che abbiamo ricevuto come sigillo promesso: «Egli - dice Paolo - è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria» (Ef 1,14). La redenzione non è ancora conclusa - lo sentiamo -, ma avrà il suo pieno compimento quando coloro che Dio si è acquistato saranno totalmente salvati. Noi siamo ancora nel cammino della redenzione, la cui realtà essenziale è data con la morte e la resurrezione di Gesù.  Siamo in cammino verso la redenzione definitiva, verso la piena liberazione dei figli di Dio. E lo Spirito Santo è la certezza che Dio porterà a compimento il suo disegno di salvezza, quando ricondurrà «al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,10). San Giovanni Crisostomo commenta su questo punto: «Dio ci ha eletti per la fede ed ha impresso in noi il sigillo per l’eredità della gloria futura» (Omelie sulla  Lettera agli Efesini 2,11-14). Dobbiamo accettare che il cammino della redenzione è anche un cammino nostro, perché Dio vuole creature libere, che dicano liberamente sì; ma è soprattutto e prima un cammino Suo. Siamo nelle Sue mani e adesso è nostra libertà andare sulla strada aperta da Lui. Andiamo su questa strada della redenzione, insieme con Cristo e sentiamo che la redenzione si realizza.

La visione che ci presenta san Paolo in questa grande preghiera di benedizione ci ha condotto a contemplare l’azione delle tre Persone della Santissima Trinità: il Padre, che ci ha scelti prima della creazione del mondo, ci ha pensato e creato; il Figlio che ci ha redenti mediante il suo sangue e lo Spirito Santo caparra della nostra redenzione e della gloria futura. Nella preghiera costante, nel rapporto quotidiano con Dio, impariamo anche noi, come san Paolo, a scorgere in modo sempre più chiaro i segni di questo disegno e di questa azione: nella bellezza del Creatore che emerge dalle sue creature (cfr Ef 3,9), come canta san Francesco d’Assisi: «Laudato sie mi’ Signore, cum tutte le Tue creature» (FF 263). Importante è essere attenti proprio adesso, anche nel periodo delle vacanze, alla bellezza  della creazione e vedere trasparire in questa bellezza il volto di Dio. Nella loro vita i Santi mostrano in modo luminoso che cosa può fare la potenza di Dio nella debolezza dell’uomo. E può farlo anche con noi. In tutta la storia della salvezza, in cui Dio si è fatto vicino a noi e attende con pazienza i nostri tempi, comprende le nostre infedeltà, incoraggia il nostro impegno e ci guida.

Nella preghiera impariamo a vedere i segni di questo disegno misericordioso nel cammino della Chiesa. Così cresciamo nell’amore di Dio, aprendo la porta affinché la Santissima Trinità venga ad abitare in noi, illumini, riscaldi, guidi la nostra esistenza. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23), dice Gesù promettendo ai discepoli il dono dello Spirito Santo, che insegnerà ogni cosa.  Sant'Ireneo ha detto una volta che nell'Incarnazione  lo Spirito Santo si è abituato a essere nell'uomo. Nella preghiera dobbiamo noi abituarci a essere con Dio. Questo è molto importante, che impariamo a essere con Dio, e così vediamo come è bello essere con Lui, che è la redenzione.

Cari amici, quando la preghiera alimenta la nostra vita spirituale noi diventiamo capaci di conservare quello che san Paolo chiama «il mistero della fede» in una coscienza pura (cfr 1 Tm 3,9). La preghiera come modo dell’«abituarsi» all’essere insieme con Dio, genera uomini e donne animati non dall’egoismo, dal desiderio di possedere, dalla sete di potere, ma dalla gratuità, dal desiderio di amare, dalla sete di servire, animati cioè da Dio; e solo così si può portare luce nel buio del mondo.

Vorrei concludere questa Catechesi con l’epilogo della Lettera ai Romani. Con san Paolo, anche noi rendiamo gloria a Dio perché ci ha detto tutto di sé in Gesù Cristo e ci ha donato il Consolatore, lo Spirito di verità. Scrive san Paolo alla fine della della Lettera ai Romani: «A colui che ha il potere di confermarvi nel mio Vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le Scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti, perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen» (16,25-27). Grazie.


Saluti:
Je salue les pèlerins francophones, en particulier le groupe de l’École de la Croix de Paris. Que la prière nous aide à contempler le grand mystère d’amour de Dieu à l’œuvre dans l’histoire de l’humanité et dans notre vie personnelle. Bon pèlerinage à tous !

I offer a warm welcome to the Forum of Interreligious Harmony from Indonesia. My greeting also goes to the participants in the Vatican Observatory Summer School. I likewise greet the “Wounded Warriors” group from the United States. Upon all the English-speaking visitors present at today’s Audience, including those from Scotland, Australia, Indonesia, Japan, Pakistan, the Philippines and the United States, I invoke God’s blessings of joy and peace!

Gerne grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Die Betrachtung des Heilswirkens Gottes im Gebet erleuchtet unser Leben und läßt uns in unserem Menschsein, in der Liebe zu Gott und so auch zu den Mitmenschen wachsen, weil wir dann in jedem Menschen das vielleicht verborgene, aber doch nie zerstörte Bild Gottes sehen. So können wir Licht in das Dunkel der Welt bringen. Ihnen allen wünsche ich von Herzen eine gesegnete Zeit in Rom und schöne Ferien.

Gerne grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Die Betrachtung des Heilwirkens Gottes im Gebet erleuchtet unser Leben und läßt uns in der Liebe zum Herrn und zu unseren Mitmenschen wachsen. So können wir Licht in das Dunkel der Welt bringen. Von Herzen segne ich euch alle.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos venidos de España, Honduras, Colombia, Argentina, Chile, México y otros países latinoamericanos. Invito a todos a alimentar vuestra vida espiritual con una oración constante, para crecer en el amor de Dios y llevar al mundo la luz de su claridad.

A minha saudação a todos os peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente para os fiéis brasileiros da Arquidiocese de Campinas, a quem encorajo a intensificar a vida de oração para vos tornardes homens e mulheres movidos pelo desejo de amar, fazendo brilhar a luz de Deus na escuridão do mundo. E que Ele vos abençoe!

Saluto in lingua polacca:
Witam serdecznie obecnych tu Polaków. Wspominamy dzisiaj, że Bóg „z miłości przeznaczył nas dla siebie jako przybranych synów przez Jezusa Chrystusa” (por. Ef 1, 5). To On nas Stworzył, powołał do świętości, do służby we wspólnocie Kościoła, prowadzi nas przez życie. Poznając Chrystusa i Jego Ewangelię wzrastajmy w wierze, bądźmy w niej coraz bardziej dojrzali. Niech nasza postawa i nasze czyny świadczą o bliskości z Bogiem. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

Traduzione italiana:
Do il mio caloroso benvenuto ai polacchi qui presenti. Ricordiamo oggi che Dio “nella Sua carità ci ha predestinato a essere per lui figli adottivi, mediante Gesù Cristo” (cfr. Ef 1, 5). È Lui che ci ha creati, chiamati alla santità, al servizio nella comunità della Chiesa e ci conduce lungo la vita. Conoscendo il Cristo e il Suo Vangelo cresciamo nella fede, per divenire in essa sempre più maturi. Il nostro comportamento e le nostre opere siano testimonianza della nostra vicinanza a Dio. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua croata:
Radosno pozdravljam sve hrvatske hodočasnike, a osobito vjernike iz župe Svete Terezije od Djeteta Isusa iz Rijeke te iz župe Svetog Antuna iz Sesvetskih Sela. Dragi prijatelji, želim vam staviti na srce potrebu da u vašim obiteljima i župnim zajednicama molite za nova duhovna zvanja u vašem narodu. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:
Con gioia saluto tutti i pellegrini croati, particolarmente i fedeli della parrocchia di Santa Teresa di Gesù Bambino a Rijeka e della parrocchia di Sant’Antonio di Sesvetska Sela. Cari amici, desidero lasciarvi nel cuore la necessità di pregare, nelle vostre famiglie e comunità parrocchiali, per le nuove vocazioni al Sacerdozio ed alla Vita Consacrata nel vostro popolo. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua ceca:
Srdečně zdravím poutníky z různých farností České republiky. Ať vám pouť do města apoštolů Petra a Pavla pomůže věrně milovat Krista a následovat ho. Kéž vás provází mé požehnání.

Traduzione italiana:
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti da varie Parrocchie della Repubblica Ceca. Questo vostro pellegrinaggio nella Città degli Apostoli Pietro e Paolo vi sia d’aiuto, affinché anche voi possiate amare fedelmente il Cristo e seguire la Sua strada. Vi accompagni la mia benedizione!

Saluto in lingua slovacca:
S láskou pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Čierneho Baloga-Dobroče a Rohožníka.
Bratia a sestry, modlite sa za vašich novokňazov, vysvätenych v tomto mesiaci, aby vo svojej službe boli znamením Krista, Dobrého Pastiera.
Ochotne žehnám vás, vašich drahých i všetkých novokňazov.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:
Con affetto saluto i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Čierny Balog-Dobroč e Rohožník.
Fratelli e sorelle, pregate per i vostri sacerdoti novelli, ordinati in questo mese, affinché nel loro ministero siano segno di Cristo Buon Pastore.
Volentieri benedico voi, i vostri cari e tutti i sacerdoti novelli.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:
Nagy szeretettel köszöntöm a magyar híveket, különösen is azokat, akik Úrkútról és Szentgálról érkeztek. A nyári vakáció idején fedezzétek fel újra a természet és az emberi műalkotások szépségeit, s általuk jussatok el Isten szemléléséig. Szívesen adom rátok apostoli áldásomat.
Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:
Un affettuoso saluto ai fedeli di lingua ungherese, specialmente ai membri dei gruppi arrivati da Úrkút e da Szentgál. Il tempo delle vacanze favorisca la riscoperta delle bellezze della natura e dell’arte umana, aiuti ad arrivare alla contemplazione di Dio. Volentieri vi imparto la mia Benedizione.
Sia lodato Gesù Cristo!





APPELLO

Seguo con profonda preoccupazione le notizie che provengono dalla Nigeria, dove continuano gli attentati terroristici diretti soprattutto contro i fedeli cristiani. Mentre elevo la preghiera per le vittime e per quanti soffrono, faccio appello ai responsabili delle violenze, affinché cessi immediatamente lo spargimento di sangue di tanti innocenti. Auspico, inoltre, la piena collaborazione di tutte le componenti sociali della Nigeria, perché non si persegua la via della vendetta, ma tutti i cittadini cooperino all’edificazione di una società pacifica e riconciliata, in cui sia pienamente tutelato il diritto di professare liberamente la propria fede.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i fedeli della Diocesi di Saluzzo, con il Vescovo Mons. Giuseppe Guerrini, venuti alla Sede di Pietro per i 500 anni di quella Chiesa particolare. Accolgo con gioia la comunità del diaconato, i seminaristi dell’Istituto del Verbo Incarnato e i bambini della Prima Comunione della Diocesi di Castellaneta ai quali auguro di nutrirsi della Parola di Dio e del Pane eucaristico per sentire cum Ecclesia. Un saluto ai membri della Famiglia ecumenica di Taddeide che mi offrono in dono una nuova campana; ai gruppi parrocchiali di Banzano e di Alviano, qui convenuti rispettivamente per iniziare l’anno dedicato a San Rocco e per l’ottavo centenario del miracolo delle rondini di San Francesco.
Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Il mese di giugno richiama la nostra devozione al Sacro Cuore di Gesù: cari giovani, imparate ad amare alla scuola di quel cuore divino; cari ammalati, unite il vostro cuore nella sofferenza a quello del Figlio di Dio; e voi, cari sposi novelli, attingete alle sorgenti dell’amore mentre iniziate a costruire la vostra vita in comune. Grazie.

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