mercoledì 31 agosto 2011

Dagli Stati Uniti campagna internazionale contro l’aborto "Quaranta giorni per la vita"



Dagli Stati Uniti campagna internazionale contro l’aborto

Quaranta giorni per la vita


Fredericksburg, 30. Una grande campagna di sensibilizzazione internazionale per invocare la fine delle pratiche abortive è stata lanciata per il prossimo autunno dal movimento «40 Days for Life» («40 Giorni per la Vita»), nato nel 2004 e ora attivo in oltre trecento sedi in tutto il mondo. Dal 28 settembre al 6 novembre prossimo la campagna di sensibilizzazione — che comprende il digiuno e la preghiera fuori dalle strutture dove si praticano gli aborti — si svolgerà per la precisione in quarantotto Stati dell’America, in sette province canadesi, in Australia, in Inghilterra, in Spagna e per la prima volta, anche in Germania e in Argentina. «Assistere alla crescita di questo movimento pro-life e al coinvolgimento di tantissime persone di tutte le età — ha spiegato con orgoglio il fondatore del movimento, Shawn Carney — è stata una grande gioia e questo dimostra che la gente vuole reagire». «40 Days for Life — ha proseguito Carney — non è altro che un invito fondato su alcuni principi basilari. È una dimostrazione pacifica proprio davanti a quei luoghi dove vanno perduti centinaia di bambini. È preghiera pacifica. È digiuno».

Come accennato, l’iniziativa è nata nel 2004 da un’idea di Carney, della moglie e di alcuni amici della cittadina di Bryan, nello Stato del Texas. Ben presto l’iniziativa è cresciuta a tal punto che è stata lanciata a livello nazionale nell’autunno del 2007, con 89 sedi negli Stati Uniti. Negli ultimi quattro anni più di quattrocentomila persone si sono incontrate per pregare e digiunare contro l’aborto e più di tredicimila congregazioni e movimenti ecclesiali sono stati coinvolti alla campagna «40 Days for Life».


Negli ultimi anni si è registrata una crescita enorme: «Non avremmo mai immaginato — ha spiegato Carney — una cosa simile. Siamo davvero molto soddisfatti. La gente è riuscita a superare la paura di scendere in strada per manifestare il proprio dissenso e di pregare davanti a una clinica dove si praticano gli aborti». Shawan Carney ha sottolineato che il successo crescente della campagna di sensibilizzazione è dovuta al fatto che un numero sempre maggiore di persone è contrario all’aborto, ma anche al fatto che finora gli stessi non sapevano come far sentire la propria voce al di là del voto politico, quando si presentava l’occasione. Negli Stati dell’America — ha osservato Carney — «abbiamo sempre visto la soluzione all’aborto come qualcosa di cui discutere a Washington. È certamente vero e ne abbiamo certamente bisogno, ma credo che “40 Days for Life” abbia aiutato ad aprire gli occhi della gente e a rendersi conto che gli aborti avvengono, purtroppo, a pochi passi da casa nostra. Si può fare qualcosa per impedire tutto questo — ha proseguito — ma questo qualcosa deve essere basato sulla preghiera, deve essere pacifico e deve richiamare l’attenzione della gente con motivazioni forti». Secondo i calcoli del movimento pro-life, grazie alla campagna avviata nel 2007, negli Stati Uniti sono stati salvati oltre quattromila nascituri.

© L'Osservatore Romano 31 agosto 2011

Benedetto XVI all'Udienza Generale nella Piazza della Libertà a Castel Gandolfo (Mercoledì, 31 agosto 2011)



BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza della Libertà, Castel Gandolfo
Mercoledì, 31 agosto 2011



Cari fratelli e sorelle,

più volte ho richiamato, in questo periodo, la necessità per ogni cristiano di trovare tempo per Dio, per la preghiera, in mezzo alle tante occupazioni delle nostre giornate. Il Signore stesso ci offre molte occasioni perché ci ricordiamo di Lui. Oggi vorrei soffermarmi brevemente su uno di questi canali che possono condurci a Dio ed essere anche di aiuto nell’incontro con Lui: è la via delle espressioni artistiche, parte di quella “via pulchritudinis” – “via della bellezza” - di cui ho parlato più volte e che l’uomo d’oggi dovrebbe recuperare nel suo significato più profondo.

Forse vi è capitato qualche volta davanti ad una scultura, ad un quadro, ad alcuni versi di una poesia, o ad un brano musicale, di provare un’intima emozione, un senso di gioia, di percepire, cioè, chiaramente che di fronte a voi non c’era soltanto materia, un pezzo di marmo o di bronzo, una tela dipinta, un insieme di lettere o un cumulo di suoni, ma qualcosa di più grande, qualcosa che “parla”, capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l’animo. Un’opera d’arte è frutto della capacità creativa dell’essere umano, che si interroga davanti alla realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni. L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto.


Ma ci sono espressioni artistiche che sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede. Un esempio lo possiamo avere quando visitiamo una cattedrale gotica: siamo rapiti dalle linee verticali che si stagliano verso il cielo ed attirano in alto il nostro sguardo e il nostro spirito, mentre, in pari tempo, ci sentiamo piccoli, eppure desiderosi di pienezza… O quando entriamo in una chiesa romanica: siamo invitati in modo spontaneo al raccoglimento e alla preghiera. Percepiamo che in questi splendidi edifici è come racchiusa la fede di generazioni. Oppure, quando ascoltiamo un brano di musica sacra che fa vibrare le corde del nostro cuore, il nostro animo viene come dilatato ed è aiutato a rivolgersi a Dio. Mi torna in mente un concerto di musiche di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, una delle Cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c'era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: “Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio. Ma quante volte quadri o affreschi, frutto della fede dell’artista, nelle loro forme, nei loro colori, nella loro luce, ci spingono a rivolgere il pensiero a Dio e fanno crescere in noi il desiderio di attingere alla sorgente di ogni bellezza. Rimane profondamente vero quanto ha scritto un grande artista, Marc Chagall, che i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia. Quante volte allora le espressioni artistiche possono essere occasioni per ricordarci di Dio, per aiutare la nostra preghiera o anche la conversione del cuore! Paul Claudel, famoso poeta, drammaturgo e diplomatico francese, nella Basilica di Notre Dame a Parigi, nel 1886, proprio ascoltando il canto del Magnificat durante la Messa di Natale, avvertì la presenza di Dio. Non era entrato in chiesa per motivi di fede, era entrato proprio per cercare argomenti contro i cristiani, e invece la grazia di Dio operò nel suo cuore.

Cari amici, vi invito a riscoprire l’importanza di questa via anche per la preghiera, per la nostra relazione viva con Dio. Le città e i paesi in tutto il mondo racchiudono tesori d’arte che esprimono la fede e ci richiamano al rapporto con Dio. La visita ai luoghi d’arte, allora, non sia solo occasione di arricchimento culturale - anche questo - ma soprattutto possa diventare un momento di grazia, di stimolo per rafforzare il nostro legame e il nostro dialogo con il Signore, per fermarsi a contemplare - nel passaggio dalla semplice realtà esteriore alla realtà più profonda che esprime - il raggio di bellezza che ci colpisce, che quasi ci “ferisce” nell’intimo e ci invita a salire verso Dio. Finisco con una preghiera di un Salmo, il Salmo 27: “Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario” (v. 4). Speriamo che il Signore ci aiuti a contemplare la sua bellezza, sia nella natura che nelle opere d'arte, così da essere toccati dalla luce del suo volto, perché anche noi possiamo essere luci per il nostro prossimo. Grazie.



Saluti:

Je vous accueille avec joie, chers pèlerins de langue française ! Parmi les trésors artistiques que vous êtes amenés à contempler au cours de vos visites, nombreux sont ceux qui expriment la foi et appellent à la relation avec Dieu. Que ces visites ne soient pas seulement l’occasion d’un enrichissement culturel, mais qu’elles deviennent aussi moments de grâce! Qu’elles vous aident à renforcer votre relation et votre dialogue avec le Seigneur et vous conduisent à contempler un rayon de la beauté divine! Que Dieu vous bénisse!

I am pleased to greet the English-speaking pilgrims and visitors here today, especially those from Scotland and Malta. Today we reflect on the need to draw near to God through the experience and appreciation of artistic beauty. Art is capable of making visible our need to go beyond what we see and it reveals our thirst for infinite beauty, for God. Dear friends, I invite you to be open to beauty and to allow it to move you to prayer and praise of the Lord. May Almighty God bless all of you!

Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Pilger hier in Castel Gandolfo, besonders natürlich die Teilnehmer der Familienwallfahrt aus dem Erzbistum München und Freising mit Kardinal Reinhard Marx. Zu den Wegen, die uns zu Gott führen können, zählen auch die verschiedenen Ausdrucksformen der Kunst. Werke der Architektur, der bildenden Kunst, der Musik oder der Literatur, die aus dem Glauben entstanden sind und ihn ausdrücken, laden uns ein, das unmittelbar Gegenwärtige zu überschreiten und auf Gott zuzugehen. Sie lassen in uns den Wunsch wachsen, die Quelle aller Schönheit zu suchen. Ich wünsche euch, daß der Herr euch allen in dieser Urlaubszeit Momente der Gnade schenkt, in denen ihr durch die Erfahrung künstlerischer Schönheit mehr als dies, mehr als bloße menschliche Kultur, die Gegenwart der Schönheit selbst spürt. Gottes Geist geleite euch auf allen euren Wegen!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los universitarios de la Arquidiócesis de Rosario, a los grupos venidos de Santiago de Chile, así como a los demás fieles provenientes de España, Guatemala, Argentina y otros países latinoamericanos. Invito a todos a llegar a Dios, Belleza suma, a través de la contemplación de las obras de arte. Que éstas no sólo sirvan para incrementar la cultura, sino también para promover el diálogo con el Creador de todo bien. Que el Señor siempre os acompañe.

Amados peregrinos de língua portuguesa, uma cordial saudação de boas-vindas para todos, nomeadamente para os fiéis da diocese de Viseu. Procurai descobrir na arte religiosa um estímulo para reforçar a vossa união e o vosso diálogo com o Senhor, através da contemplação da beleza que nos convida a elevar o nosso íntimo para Deus. E que Ele vos abençoe. Obrigado!

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam polskich pielgrzymów. Wakacyjny czas sprzyja poznawaniu dzieł kultury i sztuki. Zachwyt nad pięknem ludzkiej twórczości może prowadzić do kontemplacji Boga, dawcy wszelkiego dobra i piękna, gdy wraz z podziwem dla geniuszu człowieka odkrywamy twórcze tchnienie Ducha Świętego. Obyśmy jak najczęściej doznawali takich uniesień! Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus!

Traduzione italiana:

Saluto i pellegrini polacchi. Il tempo delle vacanze favorisce la apprendimento delle opere di cultura e d’arte. L’incanto della bellezza della creazione umana può condurre alla contemplazione di Dio, il datore di ogni bene e bello, quando insieme all’ammirazione del genio dell’uomo scopriamo il soffio creatore dello Spirito Santo. Auspico che si possa sperimentare sempre più tale stupore! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua bulgara:

Сърдечно поздравявам младежите от Софийско-Пловдивския диоцез, като им пожелавам да бъдат смели свидетели на Христос в средата в която живеят. С радост благославям вас и вашите близки.

Traduzione italiana:

Saluto con affetto i giovani della diocesi di Sofia, in Bulgaria, ed auguro loro di essere coraggiosi testimoni di Cristo nell’ambiente in cui vivono. Volentieri benedico voi ed i vostri cari.

Saluto in lingua croata:

Srdačno pozdravljam hrvatske hodočasnike, a posebno učenike Nadbiskupijske klasične gimnazije iz Zagreba, želeći svakomu od vas da njeguje iskrenu ljubav prema Kristu i Njegovoj Crkvi. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Saluto con affetto i pellegrini croati, in particolare gli alunni del Liceo classico Arcivescovile di Zagabria, augurando a ciascuno di coltivare un sincero amore per Cristo e la sua Chiesa. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua rumena:

Adresez un salut cordial pelerinilor din România. Vă asigur pe toţi de rugăciunea mea, ca să trăiţi în plinătate şi bucurie credinţa creştină. Lăudat să fie Isus Cristos!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini rumeni ed assicuro un orante ricordo affinché possano vivere in pienezza e con gioia la loro fede cristiana. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Srdečne pozdravujem slovenských pútnikov: osobitne vojakov, policajtov, hasičov, väzenskú a justičnú stráž. Buďte pevní vo viere podľa príkladu svätého Šebastiána, vášho patróna a zodpovedne slúžte pokoju, spravodlivosti a spoločnému dobru. Pozdravujem aj veriacich z Brehov, Zlatých Klasov, Lučenca a okolia. Bratia a sestry, všetkých vás a vaše rodiny s láskou žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi: in particolare i militari, i poliziotti, i vigili del fuoco, i membri della polizia penitenziaria. Siate forti nella fede sull’esempio di San Sebastiano, vostro Patrono, e servite responsabilmente la pace, la giustizia e il bene comune. Saluto anche i fedeli provenienti da Brehy, Zlaté Klasy, Lučenec e dintorni. Fratelli e sorelle, benedico con affetto tutti voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Szeretettel köszöntöm a magyar zarándokokat, különösen azokat, akik Budapestről és Csíkszeredából érkeztek. Kívánom nektek, hogy a most kezdődő iskolaévben és a társadalom különböző pontjain tanúságot tudjatok tenni hitetekről. Szent István király közbenjárását kérve szívesen adom Rátok és minden családtagotokra Apostoli Áldásomat. Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua ungherese, specialmente coloro che sono venuti da Budapest e da Miercurea Ciuc. Vi incoraggio a proseguire con generosità nel vostro impegno di testimonianza cristiana nella scuola e nella società. Chiedendo la intercessione del Re Santo Stefano di Ungheria, imparto volentieri a voi e a tutti i vostri familiari la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Rivolgo infine una parola di cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio, i fedeli delle varie Parrocchie, accompagnati dai propri parroci, e gli sposi novelli. Auguro che questo incontro rinsaldi ciascuno nella rinnovata adesione a Dio, sorgente di luce, di speranza e di pace.

(dopo la preghiera)

Grazie, buona giornata a voi tutti. Grazie!

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

L'arcivescovo di Los Angeles José H. Gomez, chiede ai fedeli di vivere pubblicamente la loro fede




L'arcivescovo di Los Angeles chiede ai fedeli
di vivere pubblicamente la loro fede

Nell'omelia della Messa di Domenica XXII del T.O., l'arcivescovo di Los Angeles, l'arcivescovo Jose Gomez, ha esortato i fedeli a non cedere a "una cultura in cui ci sono molte pressioni per mantenere la nostra fede in privato, per mantenere le nostre credenze a noi stessi, specialmente quando si tratta di vivere la nostra fede e valori cattolici nella vita pubblica"

[...] The prophet Jeremiah is treated badly because he is proclaiming God’s Word. He is tempted to just stop, to stay quiet. He says, “I will not mention God’s name anymore.”

We can understand what Jeremiah is talking about. We live in a culture where there are many pressures to keep our religious faith private, to keep our beliefs to ourselves — especially when it comes to living our Catholic beliefs and values in our public life.

But the prophet Jeremiah could not stay silent. And neither can we, my brothers and sisters. Jeremiah said his heart was on fire to speak about the love of God. That’s how we should feel also.

So this week, let us try to make little sacrifices in our lives, to deny ourselves more, as Jesus asks us. Let us try to embrace the crosses in our lives with a greater attitude of acceptance of God’s will.

As we commit ourselves more and more to carrying the cross of Christ in our daily lives, we will discover that he is molding us into the persons we were meant to be.

We are going to encounter hardships and sufferings. That’s just how it is. These are a part of our human condition. But we are called to accept these challenges with love. We can “offer up” our difficulties and sufferings to God, out of compassion for others who are suffering also.

Following God’s call is not easy, but it will be rewarded. Jesus promises us that at the end of today’s Gospel. If we take up our cross and follow behind him as he carries his cross, we will find, at the end of our journey, the Resurrection and eternal life. [...]

Papa Wojtyła esempio di paternità episcopale "Da una terra semper fidelis con il cuore del discepolo" (Marc Ouellet)



Papa Wojtyła esempio di paternità episcopale

Da una terra semper fidelis
con il cuore del discepolo

È dedicata principalmente alla figura del beato Giovanni Paolo II, quale esempio della paternità episcopale, una riflessione che il cardinale prefetto della Congregazione per i Vescovi ha tenuto di fronte a trecento presuli brasiliani riuniti nel santuario di Nostra Signora di Aparecida.


di Marc Ouellet

Al passaggio nel terzo millennio dell’era cristiana, Dio ha scelto un figlio della Polonia semper fidelis per donare alla Chiesa e al mondo una figura di santo pontefice dallo straordinario profilo. Karol Wojtyła venne chiamato da Dio nel corso dei tragici eventi della seconda guerra mondiale, quando i campi di sterminio decimavano il popolo ebraico e tanti dei testimoni che erano solidali con esso.

Edificato dall’eroico sacrificio del suo compatriota Massimiliano Kolbe, il giovane operaio dai molteplici talenti si lasciò interpellare e modellare dalla Parola di Dio. Nutrito dalla pietà mariana della sua nativa Polonia, assai presto fisso lo sguardo sulla Vergine Maria, venerata nel santuario di Jasna Gora, non lontano dalla sua casa.

In seguito, dal Trattato della vera devozione a Maria di san Luigi Maria Grignion di Montfort trasse l’ispirazione a consacrarsi totalmente alla Madre di Dio, che conduce direttamente al suo divin Figlio. Il suo motto episcopale Totus tuus esprimeva la sua totale appartenenza a «Gesù per Maria», secondo la celebre formula di quel grande maestro della spiritualità mariana.

Uomo di profondo pensiero, Karol Wojtyła si confrontò dapprima con la filosofia classica e contemporanea, in particolare attraverso lo studio della fenomenologia di Max Scheler. Spronato dal mistero della fede, venne anche a interessarsi alla mistica di san Giovanni della Croce e di suor Faustina Kowalska, di cui meditò a lungo la visione dell’amore misericordioso.

Giovane vescovo al concilio Vaticano II, colpì i suoi colleghi per la sua volontà d’imparare, per la sua apertura al rinnovamento della Chiesa e il suo contributo alla costituzione pastorale Gaudium et spes. Al ritorno in diocesi, avviò l’applicazione delle riforme conciliari, mettendo a frutto per il suo popolo gli orientamenti più importanti della Chiesa. Appassionato sostenitore dei diritti dell’uomo, monsignor Wojtyła fece fronte al regime comunista con coraggio, prudenza e determinazione. Seppe ottenere concessioni importanti in momenti difficili, come avvenne per l’edificazione di una chiesa nel quartiere operaio di Nova Huta.

Eletto al Soglio di Pietro il 16 ottobre 1978, ricevette da Dio la missione di far entrare la Chiesa nel terzo millennio, traendo per questo ispirazione dalla testimonianza dei suoi compatrioti e aprendosi sempre più lui stesso al soffio dello Spirito nella Chiesa universale.

Ricordo la sua prima uscita dal Vaticano, all’indomani del conclave, per andare a far visita all’amico monsignor Deskur, ricoverato al policlinico Gemelli. Fu quella l’occasione per una prima conferenza stampa improvvisata in un corridoio dell’ospedale. Che emozione sentirlo parlare ai malati, constatare il suo affetto per le persone sofferenti e il suo modo di unirle al suo ministero!

Questo primo gesto inatteso annunciava tutta una serie di altre iniziative nuove e soprattutto un nuovo stile di pontificato che avrebbe trasformato i rapporti della Chiesa con il mondo, nella linea del dialogo auspicato dal concilio Vaticano II.

Nessuno nella storia umana ha esercitato tanto potere di convocazione. Nel corso dei suoi ventisei anni e mezzo di pontificato, Giovanni Paolo II ha riunito folle immense d’ogni confessione. Ha annunciato la Parola di Dio alle più diverse assemblee, ma soprattutto ai poveri che riconoscevano in lui un difensore, un amico e un padre.

Dall’inizio alla fine del suo pontificato, ha sviluppato il pensiero della Chiesa sui problemi attuali, testimoniando in primo luogo la sua fede con la trilogia Redemptor hominis, Dives in misericordia e Dominum et vivificantem, testi che mostravano il radicamento e l’articolazione trinitari del suo pensiero e della sua azione.

Quando le prove dell’odio del mondo e della malattia rallentarono la sua azione, si rivolse di nuovo a Maria ai piedi della croce e ricevette la grazia di un ascendente accresciuto dall’offerta delle sue sofferenze e del suo perdono, come anche dall’esempio di pazienza e di perseveranza fino alla fine.

La celebrazione delle sue esequie, l’8 aprile 2005, resterà negli annali dell’umanità come un simbolo della missione della Chiesa: riunire l’umanità attorno a Cristo risorto al quale la spoglia mortale del santo Pontefice circondato da tutta la Chiesa rendeva un’ultima testimonianza.

Da allora, molte grazie ottenute per sua intercessione sono state rese note cosi da accelerare il processo di beatificazione concluso a Roma con la solenne celebrazione alla presenza di un milione di fedeli, senza contare la massa di persone raggiunte dai media.

Si affollano in noi i ricordi che ci restano della paterna figura di Giovanni Paolo II, che più volte ha visitato l’America Latina e il Brasile. Le sue grandi braccia aperte, che richiamano il Cristo del Corcovado, restano un magnifico simbolo della sua bontà e della sua paternità.

Cosa c’insegna questo beato pastore che Dio ha donato alla Chiesa nel passaggio al terzo millennio? Benedetto XVI lo ha sintetizzato assai bene nell’omelia della beatificazione: «Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare figlio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà» (Omelia per la messa di beatificazione del beato Giovanni Paolo II, 1° maggio 2011).

L’esortazione apostolica Verbum Domini ha descritto il fondamento di questa verità che spingeva il beato Giovanni Paolo II a rendere ovunque testimonianza con audacia ed entusiasmo: «Nel Figlio, “Logos fatto carne” (cfr. Giovanni, 1, 14), venuto a compiere la volontà di Colui che l’ha mandato (cfr. Giovanni, 4, 34), Dio fonte della Rivelazione si manifesta come Padre e porta a compimento l’educazione divina dell’uomo, già in precedenza animata dalle parole dei profeti e dalle meraviglie operate nella creazione e nella storia del suo popolo e di tutti gli uomini. Il culmine della Rivelazione di Dio Padre e offerto dal Figlio con il dono del Paraclito (cfr. Giovanni, 14, 16), Spirito del Padre e del Figlio, che ci “guida a tutta la verità” (Giovanni, 16, 13)» (n. 20).

Giovanni Paolo II nutriva una grande devozione per la Vergine Maria, ma per prima cosa, come Maria, era docile allo Spirito Santo, che assicura in noi la verità dell’amore e la liberta di fronte a qualsiasi forma di oppressione.

«Tutta la verità» alla quale lo Spirito Santo conduce e la comunione dell’uomo con Dio nella Chiesa. Nella figura di Giovanni Paolo II la divina Provvidenza ha voluto che avessimo sotto gli occhi un esempio eloquente di disponibilità allo Spirito Santo che rivela il volto del Padre. Tale apertura allo Spirito Santo spiega il tratto più caratteristico di questo uomo di Dio, ossia la sua vita di preghiera personale che culminava nella celebrazione della santa Eucaristia.

Come tutti gli invitati nella sua cappella privata, l’ho visto restare inginocchiato a lungo, supplicando Dio per le necessità della Chiesa o ringraziandolo per la sua bontà e la sua misericordia. Celebrava la santa Eucaristia come se fosse la prima volta, l’ultima volta e l’unica volta. Giovanni Paolo II insegna quello che san Paolo proclama agli Efesini: «Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perche vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Efesini, 3, 14-19).

Con l’ampiezza e la profondità della sua fecondità spirituale, Giovanni Paolo II pone in evidenza il mistero della paternità divina. Quanti santi e sante, che egli ha elevato all’onore degli altari, rendono omaggio a questa paternità divina di cui e stato un’immagine tanto eloquente! Dio, ricco di misericordia, effonde l’amore di Cristo nei cuori con la potenza del suo Spirito, invitando pastori e fedeli all’adorazione, all’amore reciproco e alla testimonianza di una vita santa.

Giovanni Paolo II è stato un pastore duramente messo alla prova nel corso del suo lungo pontificato. La sua figura di uomo sofferente rimanda alla visione dell’Agnello-Pastore dell’Apocalisse. L’Agnello simboleggia Cristo immolato, la cui suprema testimonianza d’amore «toglie i peccati del mondo». Alla sua vista, uno degli Anziani proclama: «Non avranno più fame, ne avranno più sete (…) perche l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita» (Apocalisse 7, 16-17).

«L’Agnello sarà il loro pastore». Che mistero ineffabile si nasconde in questa espressione paradossale! Non è l’Agnello a lasciarsi guidare? Ebbene, e proprio in questo atteggiamento che Cristo Pastore rivela il Padre che lo guida con tutte le pecore ch’Egli gli ha donato. Non è l’Agnello un simbolo di dolcezza, d’innocenza e persino di debolezza, soprattutto quando viene condotto al macello? Eppure e là, nell’estremo abbassamento del suo amore, fino alla sua umile forma eucaristica, che l’Agnello immolato e vincitore è il Pastore delle pecore. È là che le attira tutte a se, che chiama ciascuna per nome e le conduce ai verdi pascoli e alle fonti d’acqua viva.

Il munus regendi del vescovo, l’autorità pastorale con la quale governa il suo gregge, non trae la sua forza di persuasione da questo amore kenotico con il quale nutre il suo popolo in ogni Eucaristia?

L’esortazione apostolica Pastores gregis ricorda a tale proposito che la configurazione del vescovo a Cristo crocifisso accresce la fecondità del suo ministero: «Nessun Vescovo può ignorare che il vertice della santità rimane Cristo Crocifisso, nella sua suprema donazione al Padre e ai fratelli nello Spirito Santo. Per questo la configurazione a Cristo e la partecipazione alle sue sofferenze (cfr. 1 Pietro, 4, 13) diventa la via regale della santità del Vescovo in mezzo al suo popolo» (n. 13).

Il 19 marzo 2009, Papa Benedetto XVI ha proposto come esempio, in modo inedito, la paternità di san Giuseppe ai vescovi e ai sacerdoti riuniti nella basilica minore di Maria Regina degli Apostoli: «Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Questa paternità voi dovete viverla nel vostro ministero quotidiano (…) In effetti, la Costituzione conciliare Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti “abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento” ».

Giovanni Paolo II ha insegnato ai sacerdoti che il carisma del celibato appartiene a questa dimensione paterna del sacerdozio. Ne dava testimonianza nella sua prima Lettera per il Giovedì Santo, nel 1979: «Il Sacerdote, attraverso il suo celibato, diventa l’“uomo per gli altri” (…) rinunciando a questa paternità ch’è propria degli sposi, cerca un’altra paternità e quasi addirittura un’altra maternità, ricordando le parole dell’Apostolo circa i figli, che egli genera nel dolore (cfr. 1 Corinti, 4, 15; Galati, 4, 19). Sono essi figli del suo spirito, uomini affidati dal buon Pastore alla sua sollecitudine. Questi uomini sono molti, più numerosi di quanti ne possa abbracciare una semplice famiglia umana» (n. 8).

Un ministero episcopale generoso, condotto con cuore di discepolo come quello di Giovanni Paolo II, produce molti frutti di evangelizzazione e di edificazione della Chiesa. Benedetto XVI dichiarava nella messa di beatificazione: «La beatitudine eterna di Giovanni Paolo II, che oggi la Chiesa ha la gioia di proclamare, sta tutta dentro queste parole di Cristo: “Beato sei tu, Simone” e “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! ”. La beatitudine della fede, che anche Giovanni Paolo II ha ricevuto in dono da Dio Padre, per l’edificazione della Chiesa di Cristo». «Vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi» (1 Giovanni, 1, 2). Identificandoci con il movimento vitale del Figlio verso il Padre, praticando l’amore fraterno e la carità pastorale, otteniamo con lui lo Spirito del Padre che conferma in noi la santità sotto il profilo di un’autentica paternità («Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant’Ignazio di Antiochia, e come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti. Ogni Vescovo, di conseguenza, tiene il posto del Padre di Gesù Cristo sicché, proprio in relazione a questa rappresentanza, egli dev’essere da tutti riverito», Pastores gregis, n. 7). Ecco allora che la pienezza del sacerdozio nel vescovo si realizza nella misura in cui le due forme, filiale e paterna, del sacerdozio restano vive in lui e diventano fonte di vita divina nelle anime.

Dio, che è in se stesso «Amore» tre volte fecondo, prolunga la sua fecondità nel suo rapporto nuziale con l’umanità eletta e riscattata in Gesù Cristo. La Chiesa e il dispiegarsi della fecondità trinitaria nella storia, grazie alla proclamazione della Parola di Dio che genera la fede fino all’espressione sacramentale e nuziale della Chiesa. Come abbiamo visto, il ministero episcopale e sacerdotale e un’articolazione essenziale di questa fecondità, alla quale risponde la comunità battesimale e in modo del tutto particolare ogni forma di vita consacrata.

Il vescovo presiede all’unità di tutto questo dispiegarsi di fecondità trinitaria, in comunione con il collegio apostolico e sotto il primato magisteriale e pastorale del successore di Pietro. La forza e l’efficacia della sua testimonianza dipendono in larga misura dai vincoli di comunione con i suoi pari, che confermano e rafforzano i vincoli con il suo popolo particolare. Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecore. Attraverso questo dono fino all’immolazione, manifesta la sua docilità allo Spirito Santo che conduce il suo gregge a tutta la verità e lo conserva nell’unita. Pastori e fedeli restano nell’unita camminando nella luce dell’amore, rispondendo cosi alla preghiera di Cristo: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Giovanni, 17, 21).

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© L'Osservatore Romano 31 agosto 2011

lunedì 29 agosto 2011

Una società educante: la questione morale - Card. Angelo Bagnasco (29 agosto 2011)




Una società educante: la questione morale

S. Messa nella Solennità di Nostra Signora della Guardia

Genova, Santuario di N.S. della Guardia,
29 agosto 2011

Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore

siamo qui per la solennità della Madonna della Guardia che dal 1490 guarda la nostra Città e dalla Città è guardata. Eleviamo gli occhi alla venerata effigie e chiediamo: che cosa hai da dirci quest'anno? Lei sembra volerci parlare della sua esperienza di Madre, Madre di quello straordinario Bimbo che è Figlio suo, ma che è anche il Figlio Eterno di Dio, il Verbo fatto carne nel suo grembo purissimo. Sembra che voglia parlarci del suo compito di crescere il piccolo Gesù che, in quanto vero uomo, ha avuto bisogno di tutto, anche di essere educato secondo la tradizione della sua famiglia, del suo villaggio, del suo popolo.

E quanto ci sia bisogno di educarci e di educare, tutti lo vediamo. Sentiamo il crescente bisogno di educatori, di punti di riferimento autentici. I due milioni di giovani giunti a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù, sono una buona notizia per il mondo. Provenienti da ogni punto della Terra, stretti attorno a Benedetto XVI, in un intreccio d'anime tanto più cordiale ed vibrante quanto più battente era la pioggia, hanno manifestato a tutti il loro desiderio di esserci e di crescere nella verità esigente e nell'amore serio. Hanno visto nel Successore di Pietro il punto affidabile e vero, e hanno detto ai Potenti delle Nazioni di non avere pura di quell'uomo schivo, dalla parola mite, chiara e profonda. Ben consapevoli delle difficoltà dell'ora, essi non hanno ceduto alla sfiducia né alla rabbia che distrugge, ma hanno rinnovato la speranza in Cristo ascoltando il Papa, e vivendo la gioiosa appartenenza alla Chiesa. I giovani non vogliono essere ingannati: sanno che la vita non è di chi se la gode, di chi è più scaltro e forte, di chi ha la strada spianata; e che il successo del potere e dell'affermazione personale – anche a prezzo della propria onestà – non porta lontano. Nonostante turbolenze e cadute, il giovane sa che la strada della realizzazione e della gioia sta da un'altra parte, quella del dovere e del sacrificio, della famiglia stabile e feconda, di rapporti veri. Intuisce che nulla è così triste quanto una vita vuota e priva di senso. Di fronte a queste attese, il mondo degli adulti non può rimanere indifferente e inerte, tanto meno lo possiamo noi cristiani. Per questo i Vescovi italiani hanno messo al centro dell'impegno pastorale del decennio la sfida educativa, facendo riferimento al Signore Gesù. In Lui – cristiani o meno – troviamo il Pedagogo migliore, il paziente Maestro della nostra mai conclusa crescita. In Lui, alla sua inesauribile grazia, attingiamo la forza di non arrenderci alle nostre cadute sulla via del bene, alle intermittenze della nostra volontà, alle durezze del nostro cuore, alle ostinazioni delle nostre abitudini malate. Veramente Gesù è la verità, la via, la vita dell'uomo!

Ieri sera, nell'omelia, ho accennato alla famiglia, grembo della vita e prima scuola di umanità e di fede. Accanto ai genitori, si pone con discrezione e impegno la Chiesa, attingendo al patrimonio educativo della propria storia: basta pensare ai grandi Santi dell' educazione.

Ora, però, desidero accennare ad un altro grande soggetto che partecipa, a suo modo, all' opera educativa della gioventù: la società. Se i giovani cercano dei punti di riferimento veri ai quali poter guardare con fiducia e, in qualche misura, anche affidarsi davanti alla vita, comprendiamo quanto sia necessario e auspicabile che l'intero corpo sociale diventi un soggetto affidabile e vero: e cioè un ambiente di vita, un orizzonte di modelli, un clima respirabile di valori, un humus comune, dove l'apparenza, il raggiro, la corruzione non la spuntano, e la disonestà non è la regola esibita e compiaciuta. Sappiamo che il sentire profondo della gente non è così e reagisce: l'esempio della vita dura, onesta e dignitosa dei propri avi è ancora vivo. Questo mondo fatto di gente semplice e vera esiste, reagisce spesso disgustato, e resiste a fronte di stili non esemplari che, palesi e amplificati, sembrano rappresentare la norma. Purtroppo i messaggi, che giungono prepotenti e insistenti nell'anima dei ragazzi, ma anche degli adulti, lasciano il segno, creano reazioni e fragilità emotive, paure, illusioni, rancori. E allora? Se la scuola – come giustamente si dice – deve essere una comunità educante, anche tutta la società deve diventare una società educante. E' quanto auspicavo a Reggio Calabria all'inizio della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani nell'ottobre dello scorso anno.

C'è bisogno, dunque, di una grande conversione culturale e sociale, e coloro che hanno particolari responsabilità rispetto alla vita pubblica – in qualunque forma e a qualunque livello – ma anche quanti hanno poteri e interessi economici, ne hanno il dovere impellente più degli altri, sapendo che, attraverso il loro operare, propongono modelli culturali destinati a diventare dominanti. Anche per questa ragione la questione morale in politica – come in tutti gli altri ambiti del vivere pubblico e privato - è grave e urgente, e non riguarda solo le persone ma anche le strutture e gli ordinamenti. Nessuno può negare l'impegno generoso e la rettitudine limpida di molti che operano nel mondo della politica e della pubblica amministrazione, dell' economia, della finanza e dell'impresa; a loro va rinnovata stima e fiducia. Ciò non di meno, la questione riguarda tutti come un problema non solo politico, ma culturale ed educativo. Non si tratta in primo luogo di fare diversamente, ma di pensare diversamente, in modo più vero e nobile se si vuole purificare l'aria, e i nostri giovani non siano avvelenati nello spirito. So bene che il compito è arduo perché si tratta di intaccare consuetudini e interessi vetusti, stili e prassi lontani dall'essenziale e dalla trasparenza, dal sacrificio e dal dovere, ma è possibile perché la gente lo chiede e perché è giusto.

E' noto anche che formare dei ragazzi senza ideali, e in preda ad un falso concetto di libertà – intesa come fare ciò che si vuole senza altra regola di ciò che piace e comoda, senza il gusto delle regole e dei limiti - significa farne degli insicuri, incapaci a giudicare le cose con criteri razionali, affidati solo alle emozioni. Ma quale tipo di società ne verrà fuori? E soprattutto, saranno loro felici? No di certo! Chi ha responsabilità pubbliche oggi e domani, ha questo primario dovere e onore: mettere in movimento delle decisioni puntuali perché la "cultura della vita facile" ed egoista ceda il passo alla "cultura della serietà". Lo dobbiamo a loro, ma anche e noi stessi. La Santa Vergine della Guardia ci benedica, e ci accompagni in questa impresa che non ammette ritardi e pigrizie.

Angelo Card. Bagnasco

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La famiglia, grembo e scuola di vita - Card. Angelo Bagnasco (28 agosto 2011)



La famiglia, grembo e scuola di vita

Solennità di Nostra Signora della Guardia - Vigilia 

Genova, Santuario di N.S. della Guardia,
28 agosto 2011

Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore

con gioia siamo saliti al nostro santuario dopo il tradizionale pellegrinaggio a piedi. E' in sé una piccola cosa, ma ha un grande valore simbolico: ci ricorda che la vita terrena è un andare verso il Cielo. Se vivessimo veramente in questo orizzonte, daremmo alle cose il loro giusto peso, ed esse starebbero al loro posto nonostante le lusinghe del mondo. Scopriremmo che prendersi cura dell'anima è più importante che curare l'efficienza del corpo. Ci renderemmo conto che "la sola vera vecchiaia (oggi esorcizzata in tutti i modi) è l'egoismo" (Madeleine Delbrel).

"Insegnaci a contare i nostri giorni / e giungeremo alla sapienza del cuore" recita il salmo 90. Abbiamo tutti bisogno, a qualunque età, di diventare sapienti, di stare sulla strada della formazione continua, dell'educazione cristiana. Siamo, infatti, tutti insidiati da una cultura che semina menzogne e fa pensare che l'uomo vero è colui che ha potere e denaro, che le regole sono nemiche della libertà, che bisogna lasciarsi guidare dalle sensazioni più che dalla ragione, che il bene morale è ciò che conviene senza sacrificio. E' un'aria che corrode il modo di concepire la vita, la famiglia, il lavoro, il senso del dovere e di Dio stesso.

I segnali dello smarrimento sono evidenti: chi sono? E' giusto essere onesto, sacrificarmi per gli altri, farmi una famiglia, mettere al mondo dei figli? Quale futuro avanza? Come cristiani non possiamo stare a guardare. Ecco perché i Vescovi italiani hanno messo al centro del decennio pastorale l'impegno dell'educazione.

Se parliamo dell'educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, ci chiediamo: a chi tocca questo affascinante e impegnativo compito? In primissimo luogo ai genitori: da che mondo è mondo, sono loro i primi e insostituibili educatori dei figli per diritto naturale. Nessuno si può e si deve sostituire quando essi ci sono. La Chiesa e lo Stato devono affiancarsi ma non sostituirsi in questo diritto-dovere insito nella generazione stessa. Il compito non è facile, non lo è mai stato, tanto meno ai nostri giorni. Ma la grazia di Dio non manca. Essi devono accendere nei figli l'uomo e il figlio di Dio che è in ciascuno. Sì, perché concepire e dare alla luce una vita, è un "miracolo" di Dio al quale ai genitori è dato di partecipare; ma essi devono anche "dare alla luce" una persona e un cristiano. E questo è un altro miracolo che chiede la forza della grazia e una gestazione lenta, paziente, spesso sofferta, che muta negli anni e che terminerà solo in Cielo. L'educazione è proprio questo: generare l' uomo spirituale e morale, l'uomo del corpo ma anche dell'anima.

Vorrei, questa sera, mettere in rilievo un aspetto di fondo. Se pensiamo alla nostra famiglia, sentiamo – in un modo o in un altro - un'onda di calore. Questo calore benefico crescerà in noi quanto più andremo avanti negli anni, anche quando i nostri genitori saranno in Cielo. Forse, anche nelle nostre famiglie ci sono state difficoltà e prove, e non parlo di quelle legate a lavoro, malattie, o altre disagi; parlo delle difficoltà interne. Non sempre tutto è ideale né dei caratteri, né delle situazioni affettive: ciò nonostante, la famiglia ha tenuto duro, ha retto alle inevitabili usure e stanchezze, agli alti e bassi. E noi, figli di ieri o di oggi, abbiamo intuito che su quella realtà, su quel piccolo nucleo, noi potevamo contare. Sentivamo che, in mezzo alle durezze dell'esistenza, c'era una zona franca, un punto certo nel quale trovare attenzione e ascolto, richiamo e incoraggiamento. Sapevamo che, in quel grembo, qualcuno aveva fiducia in noi nonostante i nostri limiti, errori, insuccessi o paure. Non era un nido dove fuggire dal mondo reale, una bolla virtuale dove ci veniva risparmiata la parola severa, le regole, o dove venivamo messi al riparo dalle difficoltà. Al contrario! Era un luogo dove si faceva verità su di noi in modo saggio, dove si scopriva il nome giusto delle cose, la distinzione tra bene e male, tra doveri e diritti: un luogo dove l'intreccio di presenza certa e di amore solido ci ricostituiva le forze. E così, dentro a quel grembo esigente e accogliente, abbiamo imparato la fiducia in noi stessi, negli altri, nella vita. Abbiamo imparato a non avere paura delle prove, dei dolori, ma ad affrontarli, a superarli e a portarli con l'aiuto di Dio, dei vivi e dei nostri morti.

Quel nucleo generatore – la famiglia – non era però un nucleo dai confini cangianti e dai tempi incerti, che non avrebbe potuto darci sicurezza affettiva. Ma era un nucleo definito e stabile, su cui sapevamo di poter contare come su roccia ferma e affidabile. E' questa la vera identità e la missione della famiglia che nel nostro Paese, nonostante tutto, rappresenta ancora un punto di riferimento. Come sappiamo, esistono tendenze che mirano a snaturare il volto della famiglia, rendendola un soggetto plurimo e ondivago, senza il sigillo oggettivo del matrimonio. Si vuole far accreditare culturalmente situazioni dove i rapporti si possono fare e disfare in nome dell'autenticità dei sentimenti o addirittura del bene dei figli. Ma, ci dobbiamo chiedere: una realtà incerta e variabile può dare sicurezza? E ancora: i figli non hanno forse diritto a qualunque sacrificio pur di tenere salda la coppia e la famiglia? Non è forse questo l'atto di amore e di educazione più grande dei genitori? E anche il loro preciso dovere? E laddove questo accade, non è nata un'unione più forte e matura, e anche più bella e felice? E i figli non ne hanno forse giovato per la loro educazione? Per questo lo Stato, che di per sé deve difendere e costruire il bene comune, ha il compito grave di salvaguardare e di promuovere il bene primario della famiglia, per cui un uomo e una donna si scelgono nell'amore e si consacrano totalmente e per sempre l'uno all'altra con il vincolo del matrimonio. Ci si sposa per se stessi in forza del proprio amore – certo! - ma anche per la comunità intera, nella quale ognuno – individuo e nucleo – vive con legami virtuosi di reciprocità solidale, e verso la quale ha diritti e doveri. Chi ha responsabilità della cosa pubblica deve saper guardare lontano, alle conseguenze delle proprie decisioni, se non vuole porre premesse disgregative della stabilità futura, sia delle persone che della società.

Cari ragazzi di Genova, si è appena conclusa la Giornata Mondiale della Gioventù, grande intuizione educativa che la Chiesa pone a vostro servizio: mentre ringraziamo il Signore e il Santo Padre Benedetto XVI, ricordate che un giorno, diventati adulti e vecchi, ripenserete alla famiglia che vi ha generati e formati, e vi sentirete investiti da quell'onda calda e benefica che continuerà a darvi coraggio e forza. Il Vangelo del matrimonio e della famiglia è anche tutto questo: grembo fecondo e scuola di umanità e di fede, piccola chiesa che vive nelle case della nostra Città. Su di voi genitori e sui vostri figli, da questo santuario invochiamo la benedizione di Maria Santissima. Sia Lei la celeste Guardiana delle vostre case.

Angelo Card. Bagnasco

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Notizia correlata del Card. Angelo Bagnasco
- Una societa educante: la questione morale

domenica 28 agosto 2011

Martirio di San Giovanni Battista (m) 29 agosto



29 AGOSTO
(sec. I)
Memoria

Precursore della nascita e della morte di Cristo

Dalle «Omelie» di san Beda, il Venerabile, sacerdote
(Om. 23; CCL 122, 354. 356. 357)

Il beato precursore della nascita del Signore, della sua predicazione e della sua morte, dimostrò una forza degna degli sguardi celesti nel suo combattimento. Anche se agli occhi degli uomini ebbe a subire tormenti, la sua speranza è piena di immortalità, come dice la Scrittura (cfr. Sap 3, 4). E' ben giusto che noi ricordiamo con solenne celebrazione il suo giorno natalizio. Egli lo rese memorabile con la sua passione e lo imporporò del suo sangue. E' cosa santa venerarne la memoria e celebrarla in gioia di spirito. Egli confermò con il martirio la testimonianza che aveva dato per il Signore.

San Giovanni subì il carcere e le catene a testimonianza per il nostro Redentore, perché doveva prepararne la strada. Per lui diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, ma solo di tacere la verità. Tuttavia morì per Cristo.

Cristo ha detto: «Io sono la verità» (Gv 14, 6), perciò proprio per Cristo versò il sangue, perché lo versò per la verità. E siccome col nascere, col predicare, col battezzare doveva dare testimonianza a colui che sarebbe nato, avrebbe predicato e battezzato, così soffrendo segnalò anche che il Cristo avrebbe sofferto.

Un uomo di tale e tanta grandezza pose termine alla vita presente con lo spargimento del sangue dopo la lunga sofferenza della catene. Egli annunziava la libertà della pace superna e fu gettato in prigione dagli empi. Fu rinchiuso nell'oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina. Fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo, di udire la voce del Padre su di lui e di vedere la grazia dello Spirito Santo scendere sopra di lui.

Ma a persone come lui non doveva riuscire gravoso, anzi facile e bello sopportare per la verità tormenti transitori ripagabili con le gioie eterne. Per uno come lui la morte non riusciva un evento ineluttabile o una dura necessità. Era piuttosto un premio, una palma di vita eterna per la confessione del nome di Cristo.

Perciò ben dice l'Apostolo: «A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1, 29). Chiama grazia di Cristo che gli eletti soffrano per lui: «Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi» (Rm 8, 18).

Benedetto XVI alla Recita dell'Angelus dal Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo (28 agosto 2011)




BENEDETTO XVI

ANGELUS

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Lunedì, 28 agosto 2011

[Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]


Cari fratelli e sorelle,

nel Vangelo di oggi, Gesù spiega ai suoi discepoli che dovrà «andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21). Tutto sembra capovolgersi nel cuore dei discepoli! Com’è possibile che «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (v. 16), possa patire fino alla morte? L’apostolo Pietro si ribella, non accetta questa strada, prende la parola e dice al Maestro: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (v. 22). Appare evidente la divergenza tra il disegno d’amore del Padre, che giunge fino al dono del Figlio Unigenito sulla croce per salvare l’umanità, e le attese, i desideri, i progetti dei discepoli. E questo contrasto si ripete anche oggi: quando la realizzazione della propria vita è orientata solamente al successo sociale, al benessere fisico ed economico, non si ragiona più secondo Dio, ma secondo gli uomini (v. 23). Pensare secondo il mondo è mettere da parte Dio, non accettare il suo progetto di amore, quasi impedirgli di compiere il suo sapiente volere. Per questo Gesù dice a Pietro una parola particolarmente dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (ibid.). Il Signore insegna che «il cammino dei discepoli è un seguire Lui, il Crocifisso. In tutti e tre i Vangeli spiega tuttavia questo seguirlo nel segno della croce … come il cammino del "perdere se stesso", che è necessario per l’uomo e senza il quale non gli è possibile trovare se stesso» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 333).

Come ai discepoli, così anche a noi Gesù rivolge l’invito: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Il cristiano segue il Signore quando accetta con amore la propria croce, che agli occhi del mondo appare una sconfitta e una "perdita della vita" (cfr vv. 25-26), sapendo di non portarla da solo, ma con Gesù, condividendo il suo stesso cammino di donazione. Scrive il Servo di Dio Paolo VI: "Misteriosamente, il Cristo stesso, per sradicare dal cuore dell'uomo il peccato di presunzione e manifestare al Padre un'obbedienza integra e filiale, accetta … di morire su di una croce" (Es. ap. Gaudete in Domino (9 maggio 1975), AAS 67, [1975], 300-301). Accettando volontariamente la morte, Gesù porta la croce di tutti gli uomini e diventa fonte di salvezza per tutta l’umanità. Commenta San Cirillo di Gerusalemme: «La croce vittoriosa ha illuminato chi era accecato dall’ignoranza, ha liberato chi era prigioniero del peccato, ha portato la redenzione all’intera umanità» (Catechesis Illuminandorum XIII,1: de Christo crucifixo et sepulto: PG 33, 772 B).

Sant'Agostino, vescovo
Affidiamo la nostra preghiera alla Vergine Maria e a Sant’Agostino, di cui oggi ricorre la memoria, perché ciascuno di noi sappia seguire il Signore sulla strada della croce e si lasci trasformare dalla grazia divina, rinnovando il modo di pensare «per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2).



Dopo l'Angelus

Sono lieto di rivolgere un augurio cordiale a Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di questa Diocesi di Albano, in occasione del suo 40° anniversario di Ordinazione sacerdotale; e lo estendo, per la medesima ricorrenza, a Mons. Bruno Musarò, che ho da poco nominato Nunzio Apostolico a Cuba, e a Mons. Filippo Santoro, Vescovo di Petropolis, in Brasile, come pure a 17 sacerdoti oggi presenti. Il Signore vi colmi di grazie, cari Confratelli!

Je salue cordialement les pèlerins francophones. Dans le texte de l’Évangile de ce jour, Jésus nous invite à nous mettre à sa suite, en acceptant nous aussi de prendre notre croix. Ce chemin est exigeant, car il demande une conversion permanente de notre cœur, en nous laissant modeler par la volonté de Dieu. N’ayons pas peur de nous y engager, car c’est un chemin de vie ! Que la Vierge Marie nous y accompagne de sa présence maternelle ! Et que Dieu vous bénisse ! Bon dimanche à tous !

I welcome the English-speaking pilgrims and visitors present at this Angelus prayer, including those of Mary Mother of the Poor Foundation, and young people from South Africa. I also greet the new students of the Pontifical North American College. Dear Seminarians, do not be afraid to take up the challenge in today’s Gospel to give your lives completely to Christ. Indeed, may all of us be generous in our commitment to him, carrying our cross with faith and courage. May God bless all of you!

Ganz herzlich begrüße ich hier in Castel Gandolfo alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Der heutige Sonntag fällt mit dem Gedenktag des heiligen Augustinus zusammen. Daher möchte ich euch ein Wort dieses großen Kirchenvaters mit auf den Weg geben: „Willst du ewig Freude haben, hange Jenem an, der ewig ist." Glücklich sein ist der tiefste Wunsch jedes Menschen. Gott allein schenkt diese unverlierbare Freude. Er vermag unsere innerste Sehnsucht nach ewigem Glück zu stillen. Öffnen wir uns seiner Liebe, und suchen wir seine Nähe im regelmäßigen und vertrauensvollen Gebet. Dazu geleite euch der Heilige Geist.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular a los grupos provenientes de Argentina y Chile. La liturgia de este domingo recuerda que es necesario tomar la cruz para seguir a Jesús, siendo dóciles a la Palabra y dejándose transformar interiormente, para así saber distinguir siempre cuál es la voluntad de Dios, es decir, lo que es bueno, lo que le agrada, lo perfecto (cfr Rm 12,2). Que el Señor, por intercesión de la Virgen María, infunda su amor en todos los corazones para que, haciendo más religiosa nuestra vida, aumente el bien en nosotros y con constante solicitud lo conserve. Feliz domingo.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. W dzisiejszej liturgii św. Paweł wzywa: „przemieniajcie się przez odnawianie umysłu, abyście umieli rozpoznać, jaka jest wola Boża: co jest dobre, co Bogu przyjemne i co doskonałe". Niech ta odnowa dokonuje się w nas dzięki wytrwałej współpracy z łaską Bożą. Niech Jego błogosławieństwo stale wam towarzyszy.

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Nella liturgia odierna San Paolo ci esorta: "trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto". Questo rinnovamento si realizzi in noi grazie alla perseverante collaborazione con la grazia di Dio. La sua benedizione vi accompagni sempre.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare gli aderenti al movimento laicale somasco, con il Superiore Generale dell’Ordine, che celebra il quinto centenario della liberazione dal carcere del Fondatore, san Girolamo Emiliani; come pure le Suore Mantellate Serve di Maria di Pistoia, insieme con alcuni collaboratori della loro missione nello Swaziland. Saluto i fedeli di Cremona, Pomezia, Gela e Chieve, e della parrocchia romana di Santa Margherita Maria Alacoque, i ragazzi di Bergamo e i cresimandi di Bassano del Grappa e della Val Liona, i catechisti di Varedo, e la squadra di calcio della città di Marino. Saluto anche i membri dell’Associazione "Amici di Papa Luciani", che ci seguono da Piazza San Pietro.

Auguro a tutti buona Domenica.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

Pietro in visita a Madrid nella dimora del diacono Lorenzo "Il fuoco nascosto dell’Escorial" di Marco Agostini



Pietro in visita a Madrid nella dimora del diacono Lorenzo

Il fuoco nascosto dell’Escorial


di Marco Agostini

Se le finestre della facciata occidentale sono aperte, lo sguardo viene rapito in alto. La compatta trama del granito lascia affiorare le forme e i colori della biblioteca affrescata. Le volte a botte della basilica sono coperte di dipinti. Il granito grigio delle navate nelle volte abbandona il suo aspetto austero e mostra immagini di paradiso.

Il monastero dell’Escorial è un luogo straordinariamente bello, paesaggisticamente collocato in un bel posto; né tetro né incombente come irragionevolmente talvolta lo si descrive, austero sì, ma non cupo o triste. Il visitatore ne ha netta impressione. Anche della figura del suo artefice, il re di Spagna Filippo II (1527-1598), la recente storiografia offre un profilo diverso da quello tratteggiato nei decenni scorsi da certa manualistica o cinematografia. Bisogna vedere per credere.


Può accadere di trovarsi innanzi alla facciata ovest, la principale, del Real Monastero di San Lorenzo di El Escorial, nel momento in cui le finestre, al di sotto del fregio che ripartisce in due il monumentale ingresso, sono spalancate. Lo sguardo è rapito in alto dalla meraviglia: la compatta trama del granito grigiobruno dell’edificio s’allenta e lascia affiorare le forme e i colori della volta della biblioteca affrescata da Pellegrino Tibaldi (1527-1596). Filippo II che, tra il 1563 e il 1594, fece costruire da Juan de Herrera questo monastero-reggia dedicato al martire Lorenzo come luogo di preghiera, di studio, di vita ritirata e di governo, volle la biblioteca — che secondo il suo desiderio doveva raccogliere tutto il sapere del tempo — proprio all’ingresso.

Varcata la soglia, dalla penombra del vestibolo gli occhi cercano subito un’altra porta e, dilagando per l’assolato patio de los Reyes popolato di giovani monache e suore, la trovano sotto il portico dell’imponente facciata manierista della basilica compresa tra due torri. Sembra una metafora di ciò che il Papa di lì a poco dirà, all’interno della chiesa, citando il Parmenide di Platone: «Cerca la verità fin che sei giovane, perché se non lo farai, poi ti scapperà dalle mani». Cerca la verità fin da subito, desiderane l’adito! Oltrepassato anche questo secondo ingresso ai piedi della grande scalinata appare la meta, il punto d’approdo della ricerca: lì lo sguardo è di nuovo attratto in alto, al cuore del monastero. La perfetta assialità delle porte conduce al cuore; in vista di quel fuoco è costruito l’Escorial e serenamente si sviluppa in modo logico e simmetrico. L’iconografia dell’edificio ha la forma della graticola, lo strumento di passione del diacono Lorenzo. Oltrepassare tali soglie senza distrazione consente di percepire che in chiesa si arriva passando per la biblioteca: all’altare al tabernacolo si va per la dolce, e pur sempre faticosa ascesi dell’ascesa, della ricerca della verità, dello studio. Ciò era chiaro nella Spagna del siglo de oro «dove l’accurato studio del pensiero teologico e giuridico, ed il suo intimo rapporto con la scienza e con le arti dell’epoca, nelle sue espressioni più belle, trovava la propria ispirazione ed un atteggiamento intellettuale e spirituale caratterizzato dall’umiltà di ricercare Dio, più concretamente nell’adorazione di Gesù Cristo Sacramentato» e nella Messa (Antonio María Rouco Varela).

Le parole vere che a El Escorial si odono hanno la forza dei secoli: appaiono esse stesse accadimenti o monumento soprattutto alla presenza di Benedetto XVI, primo Pontefice in visita al monastero, il 19 agosto 2011. Il Papa ha parlato dell’edificio come di una «eloquente testimonianza nei secoli di una vita di preghiera e di studio. In questo luogo emblematico, ragione e fede si sono fuse armoniosamente nell’austera pietra per modellare uno dei monumenti più rinomati della Spagna». Ragione e fede all’Escorial sono di casa, anzi, sono diventate casa: biblioteca e chiesa, progetto culturale vergato nel granito e da cinquecento anni. I giovani docenti universitari qui raccolti hanno applaudito a lungo, soprattutto dopo quest’intenso passaggio: «È doveroso tenere in mente che il cammino verso la verità piena impegna anche l’intero essere umano: è un cammino dell’intelligenza e dell’amore, della ragione e della fede. Non possiamo avanzare nella conoscenza di qualcosa se non ci muove l’amore, e neppure possiamo amare qualcosa nella quale non vediamo razionalità, dato che “Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore” (Caritas in veritate, 30). Se verità e bene sono uniti, così lo sono anche conoscenza e amore».

Il Papa ha pronunciato queste parole mentre i giovani professori, che gremivano la navata mediana nelle loro variopinte toghe, avevano innanzi agli occhi l’immensa macchina d’immagini dell’altar maggiore alla cui realizzazione si pose mano a partire dal 1576. Vedevano l’altare con il tabernacolo, e il diacono Lorenzo vincere le fiamme con l’ardore amoroso della verità. La preziosità dei marmi, lo splendore dei dipinti, l’oro dei bronzi, tutto è a corona del tabernacolo dalle porte di cristallo che custodisce el Amor de los Amores come canta un popolare inno spagnolo. Ancora innanzi a quell’Amore Carlo V, Filippo II e i loro dignitari stanno inginocchiati dai loro cenotafi, da secoli.

La policromia dei marmi e delle pietre dure del retablo allude simbolicamente alle virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità. Il progetto di Juan de Herrera fu realizzato da Jacopo Nizzola detto Jacopo da Trezzo (1515-1589), Juan Bautista Comane, Leone e Pompeo Leoni (1509-1590; 1533-1608). Organizzato orizzontalmente in tre registri, secondo la classica sovrapposizione degli ordini, il retablo è coronato da un’edicola di stile composito. Nel primo registro, che potremmo chiamare dell’adorazione o della Fede, ai lati del tabernacolo si vede l’Adorazione dei Pastori e l’Adorazione dei Magi di Tibaldi. Nel secondo registro, del martirio o della Carità, riconosciamo la Flagellazione di Cristo di Federico Zuccari (1542-1609), il centrale Martirio di S. Lorenzo di Tibaldi, e Gesù sale il Calvario carico della croce di Zuccari. Infine, nel registro della gloria o della Speranza, contempliamo la Risurrezione di Cristo, l’Assunzione della Vergine, la Pentecoste ancora dello Zuccari. Alla sommità sta il gruppo bronzeo del Calvario dei Leoni in diretto rapporto con l’altare e con quanto su di esso si rinnova nella Messa. Ai lati del retablo sono disposti i bronzi, sempre dei Leoni, raffiguranti gli evangelisti, i dottori della Chiesa e i santi apostoli Giacomo, Andrea, Pietro e Paolo.

Cuore del retablo, della Basilica e dell’intero monastero, è il tabernacolo disegnato da de Herrera e realizzato da Jacopo da Trezzo (finito nel 1586). Una custodia, di quattro metri d’altezza, che ha la pianta centrale e la forma cilindrica di un tempio classico con tamburo e cupola provvista di lanterna. Il tabernacolo è cinto alla base da otto colonne corinzie di diaspro rosso con trabeazione ornata da otto statue bronzee degli apostoli, le altre quattro sono albergate nelle nicchie della thòlos. Le porte del tabernacolo sono di cristallo semicircolare e consentono la visione dell’Ostia dalla navata della basilica, dalle stanze di Filippo II, dove il re trascorse l’ultima parte della sua vita e morì, dell’infanta Isabel Clara Eugenia e dagli appartamenti reali attorno al patio de los Mascarones. Ai lati del presbiterio, entro architetture disegnate da de Herrera, nello stile e nella materia del retablo, i gruppi oranti dell’imperatore Carlo V, in cornu evangeli, e di Filippo II, in cornu epistolae, capolavori in bronzo di Pompeo Leoni, fungono da cenotafi e si configurano come perfetta dilatazione del registro dell’adorazione.

La direzione ascensionale a oriente ai piedi del presbiterio riceve un’improvvisa accelerazione e da orizzontale si fa verticale. Cuore e sguardo salgono veloci i gradini ad altare Dei e passando per il tabernacolo che custodisce il Corpus Domini, s’innalza allo scomparto con il tormento del corpo di Lorenzo e a quello col corpo assunto della Vergine, per riposarsi nella serenità del corpo crocifisso di Cristo coronato di spine, che elevato da terra attira a se tutti con i Sacramenti sgorgati dal suo fianco. Ma lo sguardo è attirato ancora più in su, fino al cielo, alla volta del presbiterio dove l’affresco di Luca Cambiaso (1527-1585) mostra la Trinità che incorona Maria regina. È allora che ci si accorge che le volte a botte della basilica sono letteralmente coperte di affreschi. Le superfici murarie in granito grigio-bruno delle navate scandite da pilastri poligonali movimentati da paraste doriche, nelle volte abbandonano il loro austero aspetto e squadernano visioni di paradiso. Il programma frescale delle volte della navata maggiore pur mostrandoci qualcosa della vita eterna futura, tuttavia, ci restituisce al presente all’ingresso: il Dono della manna di Luca Giordano nel bema, la Resurrezione dei corpi per il giudizio finale di Luca Giordano (1636-1705) nella nave centrale, il Paradiso di Cambiaso nel coro sovrastante la porta maggiore.

Il pellegrinare terreno dell’uomo che cerca ragionevolmente la verità, trova nella fede l’autentica possibilità di poterla raggiungere, nell’Eucaristia di poterla mangiare e adorare. All’Escorial questa stima dell’intelligenza per la fede è ben visibile. Il «farmaco d’immortalità» (sant’Ireneo) ricevuto con fede rende forti nell’amore e nella testimonianza, nella carità dell’intelligenza, come il diacono Lorenzo e fino al martirio, prepara i corpi per la gloria come è avvenuto per Maria, mostra la piena regalità di Cristo che regna in alto dalla croce. Ragione e fede c’innalzano al cielo e in pari tempo ci restituiscono con piena coscienza alla terra giacché fides quaerens intellectum (Anselmo d’Aosta). Tutto questo lo ha appena detto un giovane professore di storia medievale nel suo commovente indirizzo di saluto al Santo Padre: «Non pochi di noi qui riuniti hanno vissuto un’esperienza personale di conversione a Cristo in cui la ragione e la conoscenza sono state un aiuto efficace all’azione della grazia e non il contrario; possiamo così annunciare il Vangelo ed essere fermento di comunità che vivono in armonia e con reciproco amore la fede, sempre unita alla ricerca della verità nel campo del sapere umano».

© L'Osservatore Romano 28 agosto 2011