A Santa Maria Maggiore l’apice della devozione romana
Una nebulosa punteggiata di venerazione
di Giovanni Carrù
All’indomani del concilio di Efeso (431), Papa Sisto III (432-440) promosse la costruzione della maestosa basilica intitolata alla Madonna sulla sommità dell’Esquilino, non lontano da una basilica che aveva fatto costruire Papa Liberio (352-366) presso il Macellum Liviae, di cui trattano le fonti, ma che non è ancora stata individuata dagli archeologi. Fu proprio Sisto III ad approvare gli Atti del concilio efesino che, avendo considerato il delicato e annoso dibattito sulla natura umana o divina del Cristo, si allargò a ragionare sul rapporto materno della Madre di Dio, ossia se Maria dovesse essere considerata «Madre di Cristo», in quanto uomo e Dio.
Ne discese l’attribuzione greca Theotòkos a Maria, che sottolineava il concetto del parto verginale e traduceva quello di Maria come «portatrice del divino». La basilica si propose subito come uno degli edifici di culto più importanti dell’Urbe, non lontana dall’episcopio, dalla cattedrale e dal battistero lateranense. Ancora oggi in Santa Maria Maggiore possiamo apprezzare lo sviluppo longitudinale, il ricco colonnato, la luminosità, i mosaici paleocristiani, proprio riferibili al periodo sistino.
Mentre nelle navate si distende una lunga teoria di quadri ispirati alle storie del Vecchio Testamento, nell’arco absidale si sovrappongono alcuni registri, dove sono narrati gli episodi relativi all’Infantia Salvatoris. In tutte queste scene, che trovano l’apice significativo nell’adorazione dei Magi, il significato cristocentrico, che aveva caratterizzato l’arte cristiana precedente, lascia il posto a quello mariologico, in perfetta coerenza con il dogma definito al concilio efesino.
Purtroppo è andata perduta la calotta absidale, eliminata per volontà di Papa Niccolò IV (1288- 1292), che inserì nel monumento mariano un solenne transetto, facendo arretrare l’abside e trasformando l’arco paleocristiano in arco trionfale. La nuova abside fu mirabilmente mosaicata da Jacopo Torriti.
Questa impresa, finanziata dal cardinale Giacomo Colonna e conclusa nel 1296, comporta un programma decorativo complesso, che vuole ascoltare la figura di Maria, incoronata dal Cristo in un clipeo stellato al centro della rappresentazione. Questo prezioso clipeo appare come sospeso tra l’Empireo e il Giordano, caratterizzato da animali e scenette naturalistiche. Il tutto è come trattenuto da due vigorosi tronchi di acanto che nascono dalle due estremità dell’abisde e accolgono, nei girali, pavoni, colombe, aquile ed altri volatili.
Sulla riva del Giordano, si riconoscono i principi degli apostoli e san Francesco che presentano Niccolò IV inginocchiato e in dimensioni meno importanti rispetto ai santi. A destra, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista e sant’Antonio presentano il cardinale Giacomo Colonna, ancora in piccole dimensioni e inginocchiato. Due ali di angeli adoratori, ai lati del clipeo della Incoronazione, e una conchiglia variopinta nello zenit della calotta chiudono la parte alta della decorazione, mentre nella fascia sottostante, fra le finestre, si riconoscono le scene dell’Annunciazione, della Natività, della Dormitio Virginis, della Presentazione al Tempio.
Tutto l’edificio parla una lingua mariana, come ribadiscono due iscrizioni, che commentano il mosaico torritiano. Nel libro aperto, tenuto con la destra dal Cristo che incorona la Madre, si legge: Veni electa mea et ponam in te thronum meum. Ai piedi del clipeo, su uno sfavillante fondo dorato, si distende un testo ancora più suggestivo: Maria Virgo assumpta est ad ethereum thalamum in quo rex regum stellato sedet solio; sul prato della sponda si legge, infine: Exaltata est sancta Dei genetrix super chorus angelorum ad coelestia regna.
Il mosaico torritiano mostra molti punti di contatto con il mosaico absidale della basilica di Santa Maria in Trastevere, l’altro grande edificio di culto mariano dell’Urbe. Ebbene, tale mosaico, realizzato al tempo di Innocenzo II (1130-1143), mostra, al centro, Cristo e Maria incoronata, assisi su un suntuoso trono, tra i santi Calepodio, Giulio, Cornelio, Pietro, Callisto, Lorenzo e il Pontefice committente, che sostiene il modellino della chiesa. Nel 1291, Pietro Cavallini, sotto al luminoso mosaico absidale, realizza, ancora a mosaico, sei riquadri che rappresentano episodi mariani, che fungono da antefatto e premessa alla Assunzione della Vergine. Questa devozione mariana di lunga durata, che, a Roma, inizia nella prima metà del III secolo nelle catacombe di Priscilla, con la prima scena della Natività, trova nel medioevo il momento di massima diffusione con la dedica a Maria di una nebulosa di piccoli e grandi edifici di culto, che documentano una venerazione sentita e commovente.
© L'Osservatore Romano 14 agosto 2011