mercoledì 3 agosto 2011

I segreti della Sagrada Família di Gaudí svelati da Armand Puig i Tàrrech "Guidati per mano in un arcobaleno di simboli" (Gianfranco Ravasi)



I segreti della Sagrada Família di Gaudí svelati da Armand Puig i Tàrrech

Guidati per mano
in un arcobaleno di simboli

Dal libro La Sagrada Família secondo Gaudí. Comprendere un simbolo (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2011, pagine 241, euro 22) pubblichiamo la presentazione scritta dal cardinale presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e, sotto, brevi stralci della prefazione e del primo capitolo.


di Gianfranco Ravasi

«Ho trovato tra le mie carte un foglio: in esso definivo l’architettura come una musica cristallizzata». Così Goethe si confidava con l’amico e segretario Johann Peter Eckermann, evocando una definizione dell’architettura che verrà attribuita anche a Madame de Staël e persino a Napoleone. È, comunque, suggestiva l’idea secondo la quale nelle forme architettoniche nobili si possa concentrare quasi un pentagramma di armonie, una sorta di pergamena i cui messaggi sono diventati marmi, cristalli e pietre preziose.


Questa immagine attraversò la mia mente quando, nel gennaio 2010, accompagnato dal cardinale arcivescovo di Barcellona, Lluís Martínez Sistach, e dall’erede della continuazione dell’opera di Gaudí, Jordi Bonet, salii sulle altezze vertiginose della Sagrada Família, ne percorsi gli spazi grandiosi, assistetti al fervido lavoro delle maestranze, che stavano allestendo l’edificio per la visita che Benedetto XVI avrebbe compiuto nel novembre successivo.

L’intuizione di Goethe è implicitamente alla base anche della straordinaria «ermeneutica» della basilica che ora ci offre il biblista catalano Armand Puig i Tàrrech, un autore ormai da tempo noto anche in Italia per i suoi raffinati scritti esegetici (i più recenti perlustrano il pianeta affascinante degli apocrifi neotestamentari). Egli sa sempre intrecciare alla finezza dell’analisi il respiro della visione d’insieme, colloca il dato e il particolare nel tessuto della pagina, dipana il contenuto mostrandone tutte le iridescenze tematiche, unisce l’acribia filologica alla sensibilità estetica. Ebbene, egli ora apre davanti al lettore un testo divenuto pietra, lo scorre foglio per foglio e ne svela i segreti e le meraviglie in un vero e proprio arcobaleno di messaggi che trasformano ogni visitatore-lettore in un pellegrino della fede e dell’arte.

Infatti, se è vero che nella loro intima struttura arte e fede sono sorelle perché entrambe tendono al trascendente e rappresentano l’Invisibile che è nel visibile — per usare un’espressione di un altro grande artista catalano, Joan Miró, che echeggiava le parole di Paul Klee — a maggior ragione questo incontro si compie nell’opera di Gaudí.


Significativa in questo senso è stata l’omelia che Benedetto XVI tenne il 7 novembre 2010 durante la solenne celebrazione della dedicazione del tempio. La Sagrada Família, secondo il Papa, si presenta infatti non solo come una «summa ammirabile di tecnica, di arte, di fede», ma anche come «un segno visibile del Dio invisibile», perché in essa si aprono i tre grandi codici della rivelazione divina: «Il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura, il libro della liturgia». Si compie, allora, in questo capolavoro architettonico — che, proprio per la continuità pluridecennale della sua realizzazione, si manifesta come una creatura vivente — il connubio supremo tra teologia e arte, divenendo così una «catechesi» divina bella e vera.

È curioso leggere negli Statuti degli artisti senesi del Trecento questa dichiarazione programmatica: «Noi siamo manifestatori, agli uomini che non sanno lettura, delle cose miracolose operate per virtù della fede». Un agnostico feroce come lo scrittore franco-rumeno Emile Cioran non esitava a riconoscere, dopo aver ascoltato Bach, questa sua resa personale: «Quando voi ascoltate Bach, vedete nascere Dio... Dopo un oratorio, una cantata o una “Passione”, Dio deve esistere... E pensare che tanti teologi e filosofi hanno sprecato notti e giorni a cercare prove dell’esistenza di Dio, dimenticando la sola!» (così, in Lacrime e santi).

Ebbene, Puig i Tàrrech compie un esercizio analogo con questa sua accuratissima «esegesi» di un’opera che è epifania di arte e di fede. Egli decifra l’intera mappa simbolica di questo messaggio fatto pietra, ove appunto bellezza, natura, spiritualità si abbracciano.


Il lettore vedrà, così, fiorire davanti a sé un arcobaleno di simboli, a partire dalla mistica delle cifre ove impera sorprendentemente quel 7,5 che è un ponte tra la pienezza storica del 7 e la consumazione escatologica di questa stessa nell’8. Scoprirà nella geometria — un po’ come accadeva nel Divina proportione rinascimentale di Luca Pacioli, che nella sezione aurea isolava una metafora trinitaria — la «parabola» della Trinità espressa appunto nel paraboloide adottato da Gaudí come figura architettonica basica. Il lettore, guidato dall’acribia dell’interprete che lo conduce per mano, giungerà di fronte alla selva di colonne che si trasformeranno in alberi destinati a ramificarsi nel cielo della contemplazione dei misteri divini. E la costante e dominante verticalità dell’edificio ci farà ascendere verso la Gerusalemme celeste, divenendone in qualche modo (anche attraverso la simbologia numerica del 12) un suo riflesso terreno.

Puig i Tàrrech apre il libro lapideo della basilica come se fosse un vero e proprio trattato di cristologia: nascita del Signore nella facciata della Natività, morte e risurrezione nella facciata della Passione, escatologia nella facciata della Gloria. Essa, quindi, si trasforma in una «basilica confessante», nella quale il Credo risuona in tutta la sua verità trinitaria, cristologica, antropologica, ecclesiologica ed escatologica. Si compie, in tal modo, quell’armonia, non sempre spontanea nell’architettura sacra contemporanea, tra arte e liturgia: l’architetto Gaudí è anche il fedele Gaudí, che riesce a unire, nel tempio che erige, tecnica e mistica, spazio e infinito, vista e contemplazione, voce e lode, ascolto e meditazione, parole e Parola, epifania e teofania.

Questo libro diventa per tale via una suggestiva riflessione visiva sui misteri della fede, proprio perché la basilica della Sagrada Família è un’autentica sintesi del mistero cristiano. Nietzsche, nel Crepuscolo degli idoli, affermava che «l’architettura è una sorta di proclamazione della potenza per mezzo delle forme». Ebbene, nell’opera di Gaudí, svelata attraverso l’esegesi affascinante di Puig i Tàrrech — a cui vanno tutta la nostra ammirazione e gratitudine — è la potenza divina che si rivela e mostra tutta la sua verità, bellezza e salvezza.

Si avvera, così, quella suggestiva definizione dell’arte che, nel 1920, aveva coniato Hermann Hesse nel suo racconto Klein und Wagner: «Arte significa: in ogni cosa mostrare Dio». Gaudí, nelle forme del suo tempio, ha fatto brillare il Dio creatore del cosmo e il Dio trinitario cristiano redentore dell’umanità.

© L'Osservatore Romano 4 agosto 2011