Intersezione di pietra
nel cuore del senza tempo
di Maria Antonietta Crippa
Nel piccolo e prezioso libro Il gioco di forme della liturgia (Vormenspel der liturgie in lingua originale, tradotto in italiano come: La forma. Natura, cultura e liturgia nella vita umana, Milano 2000), l'architetto olandese e monaco benedettino Hans van der Laan (1904-91) rinviene nella liturgia cristiana l'espressione della più nobile contiguità tra fede e mondo. Individuati tre livelli della realtà di vita del credente - la natura, la cultura e la liturgia - egli dimostra che la fede cristiana abilita la razionalità umana a metterli in rapporto tra loro e a comprenderli entro un unico orizzonte di senso, tramite svolgimento di un pensiero analogico. Quest'ultimo, base della predicazione evangelica di Gesù, come attestano le molte parabole, e fondamento del pensiero dei Padri della Chiesa, consente a chi lo sperimenta di ascendere dalle forme naturali, tramite quelle culturali, alle forme liturgiche; tuttavia non secondo passaggi automatici.
La funzione intermediaria delle forme culturali esige, infatti, il responsabile sviluppo di una espressività umana, senza la quale "la produzione di forme liturgiche necessariamente languisce per mancanza del suo sostrato nutritivo", scrive van der Laan. Se dunque la fede cristiana offre la chiave ermeneutica per stabilire il senso della natura, della cultura, della liturgia e del mondo invisibile al quale essa apre, è ancora la fede a esigere una ricerca espressiva da parte del credente impegnato a dar forma alla sua vita e al suo habitat, ricerca possibile nella nostra società solo se si realizzano "oasi di un sano gioco di forme culturali, unico clima e ambiente in cui la liturgia può prosperare".
Un altro prezioso scritto, La festa della fede. Saggi di teologia liturgica del 1984, dell'allora cardinal Joseph Ratzinger, invita a cogliere il cuore della liturgia nell'azione di Dio in mezzo agli uomini, cui l'uomo corrisponde celebrandola come festa di un incontro di salvezza di potenza incomparabile, come festa della fede.
La recente consacrazione della basilica della Sagrada Familia a Barcellona, il 7 novembre 2010, da parte di Papa Benedetto XVI è stata in senso pieno una festa della fede per chi si trovava al suo interno, per chi era all'esterno e per chi la guardava in modovisione. Diverse comunità in Barcellona hanno vegliato in preghiera il giorno prima, perché tale consacrazione fosse segno evangelico per il maggior numero possibile di uomini. L'edificio, come è stato reso noto dai molti servizi giornalistici e televisivi, è stato ideato e iniziato da un geniale architetto catalano vissuto tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, Antoni Gaudí (1852-1926), continuato fino a oggi, fino a divenire fruibile come chiesa, per l'impegno di una grande folla di architetti, artisti, artigiani, muratori. Se le offerte libere che ne hanno permesso la realizzazione continueranno, esso potrà essere completato secondo l'ideazione del suo progettista e con nuovi contributi figurali, opportunamente subordinati all'unità generale.
Tra la folla raccolta a Barcellona la gioia era palpabile, lo stupore illuminava gli sguardi protesi a osservare le possenti forme architettoniche e artistiche del monumento, evidenziate dai filmati che scorrevano sugli schermi e che consentivano di osservarne la mole esterna dall'alto e lo splendore, ricco di luci cangianti e di forme sorprendenti, dell'interno. I gesti della dedicazione, la celebrazione della liturgia eucaristica, le parole di Benedetto XVI, quelle del cardinale Martínez Sistach e dell'architetto Jordi Bonet, direttore del cantiere, i canti dei cori distribuiti nei settori a metà altezza, tutto concorreva a suscitare la percezione che la realtà terrena fosse in procinto di aprirsi verso il cielo, divenendo vestibolo, soglia dell'invisibile Chiesa dei beati, degli angeli, della Vergine, di Dio, in comunione con tutto il popolo cristiano della terra.
L'emozione sgorgava da una ragione semplice e profonda: da un senso religioso ravvivato dall'evento e dal contesto. Le intenzioni del grande architetto catalano diventavano evidenti, palpabili, condivise. "La liturgia cristiana - egli disse ai giovani architetti che gli facevano visita negli ultimi anni della vita - ci dà lezioni di estetica pura e delicatissima".
"Non ho letto niente di quel che dice Brehier, nelle summae, negli specula e nelle opere di simbolismo medievali. Ho appreso la liturgia viva seguendo il ciclo annuo della Chiesa con i quindici volumi spessi di Dom Guéranger"; "Quando il dottor Campins mi affidò il restauro della cattedrale di Maiorca, non andai a cercare le norme relative al mio lavoro nei trattati di liturgia, che a quel tempo cominciavano a essere pubblicati. Seguendo il metodo sperimentale, invece, trascorsi un anno osservando e annotando tutte le carenze che l'errata disposizione dell'arredo liturgico causava nel cerimoniale delle funzioni vescovili, privandole di significato e splendore"; "Il vangelo e san Paolo dicono che il senso dell'udito è quello della fede. Il senso della vista, quello della gloria, perché la gloria è plasticità (... ) Crediamo che spettino a noi la gloria di ciò che è buono, e i meriti che ognuno di noi, con il suo talento, si è guadagnato realizzando qualcosa di importante; in realtà la si deve a un'anima sconosciuta che prega per la riuscita di una persona più nota" (A. Gaudí, Idee per l'architettura, Milano 1995).
Il breve florilegio di pensieri dell'architetto catalano qui trascritto, dà ragione di una fede solida e semplice, coltivata in una costante attenzione e partecipazione alla liturgia, una fede che aveva investito il suo talento, anch'esso pazientemente coltivato, tradotto in cultura di costruttore e artista dalla singolare originalità espressiva che testimonia, con esemplarità unica fra le realizzazioni degli ultimi due secoli, la veridicità della procedura analogica del pensiero messa a fuoco da van der Laan.
Guardando la Sagrada Familia, infatti, standovi all'interno, si ricordano fenomeni e luoghi naturali come l'albero o il bosco, si coglie tuttavia anche l'espressione di una originale cultura artistica che li ha trasfigurati, si percepisce uno stretta parentela tra architettura e liturgia. Il pensiero corre di segno in segno, da quello naturale a quello culturale fino a quello liturgico, fusi nell'unico, solenne segno della chiesa di pietra, simbolo della Chiesa composta dalle pietre vive dei credenti.
Sappiamo che il progetto della cattedrale è l'asse portante di tutta la ricerca di Gaudí; tutte le sue opere più celebrate hanno visto infatti la luce all'interno dell'arco temporale nel quale egli è stato direttore di cantiere del tempio. La sua comprensione è quindi conditio sine qua non per interpretare l'intero itinerario artistico. Per questo la Sagrada Familia lancia all'uomo di oggi - ai costruttori, agli architetti e agli artisti in particolare - una sfida, inscritta nella sua forza simbolica e nella sua pregnanza testimoniale: in essa l'intero mondo visibile manifesta la propria natura di segno, il proprio essere un'unica, grande liturgia, un momento di evidente, tangibile intersezione del senza tempo con il tempo, come direbbe il poeta inglese Eliot.
(©L'Osservatore Romano - 18 novembre 2010)