MESSE IN LATINO
Mi è capitato spesso di andare alla Messa in latino, la frequentatissima messa delle 11, nella chiesa di Sant’Agnese a New York. È meglio arrivare in anticipo. C’è una folla di persone di tutte le origini vestita a festa: le donne bianche spesso in tailleur e cappellino, le nere in sontuose tuniche drappeggiate, l’usciere portoricano col suo ampio sorriso, la messicana vestita di viola, con un grande fiocco di raso sulla schiena, inginocchiata di fronte all’immagine della Vergine di Guadalupe. La cerimonia è vivace e festosa, con musiche di grandi compositori e un coro raffinato. Qui in Italia, a Venezia, alla chiesa di San Simon Picolo, ho trovato invece un rito austero e semplice, meno appariscente, ma forse, forse più autentico.
Non sembrava un’eccezione domenicale, ma il perpetuarsi di parole e gesti antichi, carichi di significati secolari, che il celebrante ripercorreva con noi, pur voltato com’era verso l’altare, pur pronunciando le parole di una lingua perduta.
Le persone assistevano assorte, leggendo i libretti, coi testi in latino e in italiano. La musica e il canto stimolavano senza sovrapporsi: e la presenza del sacro mi parve sempre più intensa, come se altre antichissime voci affiancassero le nostre, voci dei morti e dei vivi, insieme fino alla Resurrezione.