martedì 9 novembre 2010

Il cardinale Julián Herranz racconta l'esperienza vissuta accanto al Pontefice nel viaggio a Santiago de Compostela e a Barcellona


Il cardinale Julián Herranz racconta l'esperienza vissuta accanto al Pontefice
nel viaggio a Santiago de Compostela e a Barcellona

Un momento di grazia

di Mario Ponzi

Un tempo di grazia del quale la Spagna deve approfittare per riflettere sul proprio destino e sul proprio futuro. Dunque anche se è vero che il magistero del Papa mira al bene comune di tutti gli uomini, "è un bene che gli spagnoli abbiano colto i discorsi di Benedetto XVI come se fossero diretti a loro, ne siano rimasti colpiti al punto da aprire un dibattito pubblico". Sono le prime impressioni percepite dall'esperienza vissuta accanto al Papa dal cardinale Julián Herranz, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nel viaggio in Spagna. Nativo di Baena in diocesi di Cordoba il cardinale è un profondo conoscitore della sua gente. Egli ritiene "estremamente positiva" la visita del Papa proprio perché si augura che essa possa riaccendere i focolai di una fede sopita mai però spenta, nei cuori degli spagnoli. "E l'accoglienza riservata a Benedetto XVI - sostiene il cardinale in questa intervista rilasciata al nostro giornale durante il viaggio di rientro a Roma - è un chiaro segnale in questo senso".

Quali sensazioni ha provato nel ritrovarsi accanto al Pontefice nella sua terra?

La prima sensazione che ho avvertito è stato il bisogno di ringraziare Dio per aver concesso al mio Paese un tempo di grazia così intenso. La Spagna con questa visita si è arricchita con l'affetto e soprattutto con il magistero di Benedetto XVI. Sappiamo bene della capacità del Papa di offrire la profondità del suo insegnamento con una intelligibilità straordinaria. Inoltre egli sa sempre dire la parola giusta al momento giusto. È un suo dono particolare. In Spagna ha detto le cose giuste al momento giusto.

Secondo lei che tipo di discorso si è sviluppato tra la Spagna e il Papa?

Il magistero del Papa è, come la dottrina di Cristo, profondamente costruttivo. Egli cerca sempre ciò che è bene per l'uomo, armonizzando cose che devono essere armonizzate e non contrapposte. Se lui continua a insistere sull'armonia tra scienza e fede per esempio, evidentemente è quello di cui ha bisogno oggi il mondo. Così come non è la prima volta che parla della sfida posta dal secolarismo, e rinnova l'invito a un confronto costruttivo. Naturale perciò che queste tematiche abbiano avuto rilievo anche in questo viaggio in Spagna. Del resto il Paese, come tutta l'Europa, è attraversato da un'ondata di secolarismo difficile da negare. Dunque è meglio confrontarsi partendo dal presupposto che il dialogo è sempre possibile.

Come mai Benedetto XVI ha scelto proprio la visita in Spagna per ribadire questi concetti?

La visita contemplava due mete particolari come Santiago de Compostela, per rendere omaggio al giubileo dell'apostolo dell'Europa, e Barcellona per la dedicazione della Sagrada Familia. Chiare dunque sin dall'inizio le tematiche europee e le implicanze per la famiglia. Dunque il Papa parlava alla Spagna perché si trovava in Spagna, ma sarebbe riduttivo rinnegare la dimensione europea dei suoi discorsi. Sottolineava alcune evidenze, ma non parlava di una società in particolare. Senza poi considerare che nell'esercitare il suo ministero Egli si pone sempre al di sopra dei sistemi politici. Si schiera dalla parte del Signore, della vita e di tutti quanti difendono valori assoluti, oggettivi, che si oppongono ad una soggettività che cerca di convertire in leggi quelli che sono soltanto desideri, causando tanti mali. Il Papa si fa difensore dei diritti che scaturiscono dalla dignità della persona umana, dunque diritti innegabili. Ma il suo è un magistero sempre costruttivo, mai polemico. Dunque tutti gli argomenti affrontati in questo viaggio vanno letti e interpretati in un'ottica molto ampia. A Compostela si è rivolto all'Europa, come del resto fece prima di lui Giovanni Paolo II. E come lui ha parlato delle radici cristiane d'Europa. Altrettanto significativamente alla Sagrada Familia ha parlato della dignità della famiglia naturale, cellula fondamentale della società come sempre si dice, e non solo per la Spagna. Sebbene sia evidente che la famiglia anche in Spagna attraversa un periodo molto critico.


Che tipo di messaggio ha lasciato?

Direi che il suo discorso si è sviluppato fondamentalmente su tre punti. Innanzitutto ha richiamato la necessità di armonizzare fede e ragione, un argomento che ha assunto una dimensione europea proprio perché sviluppato in un luogo che richiama molto l'evangelizzazione europea, come Santiago de Compostela. Poi il secondo a Barcellona dove ha sottolineato due argomenti fondamentali: la ricchezza della famiglia, e l'armonia tra arte e fede. Lo ha fatto cogliendo l'occasione di trovarsi in un luogo che è un poema di pietra, l'opera di un architetto che era soprattuto un uomo profondamente cristiano, capace di trasferire la fede nell'arte, cosa che in realtà è accaduta regolarmente in questi duemila anni di storia della fede, producendo un patrimonio d'arte mondiale.
Il terzo momento lo ha dedicato alla difesa della vita. Secondo una visione puramente materialista la vita può sembrare povera, soprattutto in riferimento a quanti sono chiamati a viverla in condizioni estremamente disagiate, come possono essere quelle dei diversamente abili con i quali il Papa ha voluto fermarsi prima di lasciare Barcellona. Sono tutti figli di Dio. Ma anche per quanti non credono in Dio ogni uomo è una creatura al di sopra di ogni altra cosa e dunque merita il massimo del rispetto. E questo è il messaggio che il Papa porta per il mondo.


Alla vigilia c'era qualche dubbio sul come la laica e secolarizzata Barcellona avrebbe accolto il Papa. Invece le cose sono andate positivamente.

Non è stata una sorpresa per me. So che nel profondo della loro anima gli spagnoli hanno fede. A Barcellona c'erano anche tanti altri fedeli giunti da ogni parte della Spagna. Quello che più mi ha fatto piacere è stato constatare che per la maggior parte si trattava di giovani. Vuol dire che si rivolgono a lui per spegnere quella fame e la sete di ideali che avvertono, stanchi come sono di una cultura capace di offrire solo paradisi terreni che non soddisfano la loro ansia di cose più grandi. Soprattutto di un amore più grande che non si identifichi solo nella materialità. In Papa Ratzinger essi vedono una persona capace di mettere in loro l'entusiasmo della vita.

(©L'Osservatore Romano - 10 novembre 2010)