mercoledì 3 novembre 2010

"Carlo Borromeo un pastore dei nostri tempi" di Giovanni Coppa


La festa del santo arcivescovo di Milano nel quarto centenario della canonizzazione

Carlo Borromeo
un pastore dei nostri tempi

di Giovanni Coppa
Cardinale diacono di San Lino

San Carlo Borromeo è stato un altro grandissimo esempio di vita sacerdotale, anche lui con la vita e con le opere, e non si è risparmiato nel ministero pastorale e nella santificazione dei sacerdoti. La lettera del Papa per l'Anno sacerdotale fa in certo modo anche il suo ritratto, quando, parlando del Curato d'Ars, dice che "cercava di aderire totalmente alla propria missione e vocazione mediante un'ascesi severa... Egli teneva a freno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze alla sua anima sacerdotale". Così ha fatto anche san Carlo, vivendo il sacerdozio come totale conformazione a Cristo.

Sebbene vissuto solo 46 anni, san Carlo ebbe una vita intensissima, che i biografi dividono in quattro periodi. Nel primo entra giovanissimo nello stato ecclesiastico con laute prebende, e conduce, secondo lo spirito del tempo, una vita moralmente sana, ma fastosa e mondana. Aveva 21 anni, quando lo zio Giovan Angelo Medici è creato Papa col nome di Pio iv; Carlo è chiamato a Roma, e in pochi mesi, a 22 anni, è nominato cardinale diacono, cardinale prete e Amministratore della diocesi di Milano. Svolge importanti incarichi nella Curia e in Roma. Il secondo periodo comincia a 24 anni, con la morte improvvisa del fratello Federico, capitano generale della Chiesa. Carlo cambia vita, rinuncia a ogni vanità del mondo, lascia ai poveri i suoi redditi personali, e decide di consacrarsi definitivamente a Dio con la riforma della propria condotta e l'impegno più generoso al servizio della Chiesa.

A 25 anni è ordinato sacerdote, cinque mesi dopo vescovo, a 26 preconizzato arcivescovo di Milano. Prende parte all'ultima stagione del Concilio di Trento e aiuta lo zio Papa nell'attuazione fedele e decisa del Concilio. Pio iv lo ama molto, anche se non approva le sue austerità; lo tiene vicino a sé per la sua dedizione alla Chiesa, la saggezza dei consigli, la forza della disciplina; si dice che perfino chiamava Carlo "il suo occhio destro". Alla morte di Pio iv comincia il terzo periodo, quando, a 27 anni, può finalmente raggiungere Milano, dove vuol essere, a imitazione di Gesù, un vero Buon Pastore che precede tutti con l'esempio, disposto a dare anche la vita per il suo gregge. Visita instancabilmente la grande diocesi, mette ordine tra i canonici e il clero - un canonico gli sparerà un colpo di fucile, a 31 anni, mentre sta pregando in cappella - favorisce l'apostolato dei laici mediante le innumerevoli confraternite e istituzioni della diocesi, specie quelle dedicate al culto dell'Eucaristia e all'esercizio della carità; è sempre personalmente presente nelle iniziative pastorali; dedica moltissime ore alla preghiera; dorme quattro o cinque ore per notte.

A 38 anni, quando Milano è colpita dalla peste, inizia l'ultimo periodo della sua vita. Vede nell'epidemia, con i suoi 18.000 morti, un richiamo del Cielo a migliorare ancor più la diocesi, e un castigo dei peccati; egli si dà perciò a una vita ancora più austera, e al dovere della riparazione. Mentre tutte le autorità civili fuggono, egli rientra a Milano da una visita pastorale, si dedica anche di persona agli appestati, stabilisce un direttorio per la loro cura, indice una processione di penitenza, a cui partecipa a piedi scalzi, portando la croce con la reliquia del santo Chiodo. Da allora aumenta le penitenze, prende un solo pasto al giorno, eccetto nelle grandi feste, sta a pane, acqua, frutta e legumi. L'amore alla Passione del Signore lo fa andare da Milano a Torino a piedi, per ben quattro volte, a venerare la Sindone. La sua intensa preghiera alimenta la sua santità di vescovo, tutto preso dal Signore per il bene delle anime. San Carlo ha realizzato perciò in modo eroico l'ideale del vescovo-pastore dei tempi moderni, con una viva sensibilità per l'organizzazione efficiente della diocesi per diffondere il Vangelo nella società. In questo modo ha avuto un influsso enorme sulla Chiesa, non solo italiana, ma specialmente a Milano.

L'insegnamento di san Carlo Borromeo è di carattere schiettamente pastorale-legislativo: si doveva dare esecuzione al Concilio di Trento, e sistemare definitivamente la disciplina nella Chiesa. Esso consta di omelie tenute in sei concili provinciali; e in undici sinodi diocesani; di innumerevoli editti, decreti e istruzioni; di regole e costituzioni; di lettere pastorali. I temi trattati riguardano tutti gli aspetti della vita ecclesiale, dai più importanti, di carattere teologico-ascetico, a dettagli minuti come gli arredi sacri e la suppellettile liturgica. Le sue opere furono pubblicate appena cinquant'anni dopo la morte, a Milano e ad Augsburg. In edizioni parziali moderne si trovano le lettere, documenti riguardanti ordini religiosi, e soprattutto le omelie, che dànno preziosi insegnamenti ai vescovi nei concili provinciali, e ai sacerdoti nei sinodi diocesani. Paolo vi ne fece pubblicare 12, in un volume che donò ai padri conciliari del Vaticano ii (S. Caroli Borromaei orationes XII, Romae 1963). Da questo volume ecco alcuni passi più importanti.

Parlando ai vescovi nel concilio provinciale del 1576, san Carlo traccia, a 38 anni, il programma della sua missione episcopale: "Certamente, se amiamo Cristo, com'è nostro dovere; se serviamo la gloria di Cristo; se desideriamo la propagazione del regno di Cristo; se vogliamo far piacere a Cristo; siamo tenuti a dimostrarlo con una insigne carità verso il gregge a noi affidato, non solo a parole, ma con i fatti. E questo faremo, Padri, se non ci lasceremo atterrire dalle fatiche, indebolire dalle difficoltà, fiaccare dalla lotta con Satana nostro nemico, e se non lasceremo mai di svolgere l'opera iniziata; ma, infiammati dall'amore di Dio, e preoccupati di essere Vescovi virtuosi, ci sforzeremo sempre di migliorare il popolo a noi affidato, di illuminarlo, di perfezionarlo, e, col continuo sforzo della perfezione, di introdurlo nelle dimore celesti".

Nei sinodi san Carlo si rivolge ai suoi sacerdoti per stimolarli ai loro doveri con insistenti richieste. Li esorta allo studio. La più bella omelia da lui tenuta è quella in cui ricorda ai sacerdoti i loro obblighi quali la preparazione alla Messa, lo studio serio per la predicazione. San Carlo, afferrato totalmente da Cristo, è stato un innamorato del sacerdozio, il dono più grande che Dio abbia fatto agli uomini. "Nulla è più gradito a Dio, che diventiamo i collaboratori del suo Figlio; nulla fa più piacere a Cristo, che trovare chi porti insieme con Lui questo giogo; nulla rafforza di più la santa madre Chiesa, che vedere i suoi figli partorire in tal modo le anime. In fin dei conti, i sacerdoti svuotano l'inferno, abbattono il demonio, distruggono il peccato, aprono il Paradiso, riempiono i seggi vuoti del Cielo, allietano gli Angeli, glorificano la Santissima Trinità, e preparano a se stessi corone eterne, che non marciscono".

(©L'Osservatore Romano - 4 novembre 2010)