giovedì 11 novembre 2010

Pubblicata l’Esortazione apostolica postsinodale “Verbum Domini” di Benedetto XVI



“Riscoprire la centralità della Parola di Dio” nella vita personale e della Chiesa e “l’urgenza e la bellezza” di annunciarla per la salvezza dell’umanità come “testimoni convinti e credibili del Risorto”: è questo, in sintesi, il messaggio di Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica postsinodale “Verbum Domini”, che raccoglie le riflessioni e le proposte emerse dal Sinodo dei Vescovi svoltosi in Vaticano nell’ottobre 2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Il servizio di Sergio Centofanti.

I
l documento, lungo quasi 200 pagine, presentato oggi in Sala Stampa vaticana, è un appassionato appello rivolto dal Papa ai pastori, ai membri della vita consacrata e ai laici a “diventare sempre più familiari con le sacre Scritture”, non dimenticando mai “che a fondamento di ogni autentica e viva spiritualità cristiana sta la Parola di Dio annunciata, accolta, celebrata e meditata nella Chiesa” (121).

“In un mondo che spesso sente Dio come superfluo o estraneo” – afferma il Papa - “non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza” (2). Benedetto XVI sottolinea con forza che “Dio parla e interviene nella storia a favore dell’uomo”. “La Parola di Dio, infatti non si contrappone all’uomo, non mortifica i suoi desideri autentici, anzi li illumina, purificandoli e portandoli a compimento … Nella nostra epoca purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia”. In realtà, “solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo!”. Per il Papa “è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la Parola di Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana” (22-23). In questo senso è importante educare i fedeli a riconoscere “la radice del peccato nel non ascolto della Parola del Signore” (26).

Ricordando “il grande impulso” dato dal Concilio Vaticano II per la riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa (3), si ribadisce la grande venerazione per le sacre Scritture, “pur non essendo la fede cristiana una ‘religione del Libro’: il cristianesimo è la ‘religione della Parola di Dio’, non di ‘una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente’” (7) alla cui luce “si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana” (6). Infatti, Gesù Cristo è la “Parola definitiva di Dio”: per questo “non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore”. In questo contesto occorre “aiutare i fedeli a distinguere bene la Parola di Dio dalle rivelazioni private”, il cui ruolo “non è quello... di ‘completare’ la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica”. La rivelazione privata è “un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso” (14).

Il Papa analizza lo stato attuale degli studi biblici, rilevando l’importante apporto dato “dall’esegesi storico critica” (32) ma segnala il grave rischio di “un dualismo” tra esegesi e teologia: da una parte, una esegesi che si limita al metodo storico-critico, diventando “un’ermeneutica secolarizzata”, dove tutto è ridotto “all’elemento umano”, fino a negare “la storicità degli elementi divini”; dall’altra, una teologia “che si apre alla deriva di una spiritualizzazione del senso delle Scritture che non rispetta il carattere storico della rivelazione”. Il Papa auspica “l’unità dei due livelli” interpretativi, che in definitiva presuppone “una armonia tra la fede e la ragione”, in modo che la fede “non degeneri mai in fideismo”, con la conseguenza di una lettura fondamentalista della Bibbia, e una ragione che “si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto ciò che eccede la propria misura” (33-36). Benedetto XVI esprime, quindi, l’auspicio che nell’ambito dell’interpretazione dei testi sacri “la ricerca … possa progredire” (19) e nello stesso tempo che si possa ampliare il dialogo tra pastori, esegeti e teologi (45) nella consapevolezza che spetta al Magistero “d’interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa” (33).

Osservando che “la rivelazione dell’Antico Testamento continua a valere per noi cristiani”, il Papa ribadisce che “la radice del Cristianesimo si trova nell’Antico Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a questa radice” (40). Di qui deriva un “legame peculiare … tra cristiani ed ebrei, un legame che non dovrebbe mai essere dimenticato”. “Desidero riaffermare ancora una volta - scrive - quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei” (43). Il documento sottolinea anche “la centralità degli studi biblici nel dialogo ecumenico” (46).

Il documento affronta poi il rapporto tra Parola di Dio e liturgia. Il Papa torna a formulare la richiesta di “una maggior cura della proclamazione della Parola di Dio”: i lettori “siano veramente idonei e preparati con impegno” (58). C’è poi un nuovo richiamo a “migliorare la qualità” delle omelie: “si devono evitare omelie generiche ed astratte … come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico” (59). Si ribadisce l’opportunità di un Direttorio omiletico(60). Si sottolinea il valore del silenzio nelle celebrazioni, in un tempo che “non favorisce il raccoglimento e a volte si ha l’impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per un momento, dagli strumenti di comunicazione di massa” (66). Ci sono poi alcune esortazioni: “non si trascuri mai l’acustica” per “aiutare i fedeli ad una maggiore attenzione” (68); “le letture tratte dalla sacra Scrittura non siano mai sostituite con altri testi” (69); siano favoriti i canti “di chiara ispirazione biblica”. Viene ricordata l’importanza del canto gregoriano (70); si raccomanda “un’attenzione particolare” a non vedenti e non udenti (71).

C’è poi la richiesta di incrementare la “pastorale biblica”, che varrà anche a rispondere al fenomeno della “proliferazione di sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra Scrittura”, e di favorire “la diffusione di piccole comunità” per promuovere “la conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa” (73). E’ necessaria “un’adeguata formazione dei cristiani e, in particolare, dei catechisti”, riservando attenzione “all’apostolato biblico” (75). “Il Sinodo auspica che ogni casa abbia la sua Bibbia e la custodisca in modo dignitoso, così da poterla leggere e utilizzare per la preghiera”. Viene quindi evidenziato il contributo del “genio femminile” negli studi biblici, nonché il “ruolo indispensabile delle donne nella famiglia, nell’educazione, nella catechesi e nella trasmissione dei valori”. Il documento invita alla pratica della lectio divina (86-87).

Nel documento c’è l’appello a “rinvigorire nella Chiesa la coscienza missionaria”, nella consapevolezza “che quanto è rivelato in Cristo è realmente la salvezza di tutte le genti”. “Non possiamo tenere per noi le parole di vita eterna … esse sono per tutti ... Ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio … A noi la responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta, per grazia, abbiamo ricevuto” (91-92). “Non si tratta di annunciare una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione” (93). Viene ribadito che la missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i battezzati. “Questa consapevolezza deve essere ridestata in ogni famiglia, parrocchia, comunità, associazione e movimento ecclesiale”. Il Sinodo riconosce “con gratitudine” l’impegno dei movimenti ecclesiali nell’evangelizzazione (94). “In nessun modo – si afferma - la Chiesa può limitarsi ad una pastorale di ‘mantenimento’, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale”. E’ necessario un “annuncio esplicito”: “la Chiesa deve andare verso tutti con la forza dello Spirito e continuare profeticamente a difendere il diritto e la libertà delle persone di ascoltare la Parola di Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla, anche a rischio della persecuzione”. Il Papa rivolge con commozione il suo pensiero a tutti i perseguitati a causa di Cristo. In particolare – scrive - “ci stringiamo con profondo e solidale affetto ai fedeli di tutte quelle comunità cristiane, in Asia e in Africa … che in questo tempo rischiano la vita o l’emarginazione sociale a causa della fede … Nel contempo non cessiamo di alzare la nostra voce perché i governi delle Nazioni garantiscano a tutti libertà di coscienza e di religione, anche di poter testimoniare la propria fede pubblicamente” (95-98).

Benedetto XVI ricorda inoltre come l’ascolto della Parola conduca ad un forte impegno a “rendere il mondo più giusto … È la stessa Parola di Dio a denunciare senza ambiguità le ingiustizie e promuovere la solidarietà e l’uguaglianza”. “L’impegno per la giustizia e la trasformazione del mondo è costitutivo dell’evangelizzazione”. “Certo – si ribadisce - non è compito diretto della Chiesa creare una società più giusta, anche se a lei spetta il diritto ed il dovere di intervenire sulle questioni etiche e morali che riguardano il bene delle persone e dei popoli. È soprattutto compito dei fedeli laici … intervenire direttamente nell’azione sociale e politica”. La Parola di Dio è anche “fonte di riconciliazione e di pace”. “Ancora una volta – afferma il Papa - desidero ribadire che la religione non può mai giustificare intolleranza o guerre. Non si può usare la violenza in nome di Dio!” (99-103).

Si affronta poi la questione dell’annuncio ai giovani, ai migranti, ai sofferenti e ai poveri. L’attenzione al mondo giovanile “implica il coraggio di un annuncio chiaro”. I movimenti migratori “offrono rinnovate possibilità per la diffusione della Parola di Dio”: i migranti “hanno il diritto di ascoltare il kerygma, che viene loro proposto, non imposto”. Si esorta alla vicinanza ai sofferenti. Infine, i poveri: “la diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei santi misteri. La Chiesa non può deludere i poveri: ‘I pastori sono chiamati ad ascoltarli, ad imparare da essi, a guidarli nella loro fede e a motivarli ad essere artefici della propria storia’”. Viene quindi espresso anche il legame tra ascolto della Parola e salvaguardia del Creato (104-108).

Il documento lancia un appello a un “rinnovato incontro tra Bibbia e culture”: “vorrei ribadire a tutti gli operatori culturali – scrive il Papa - che non hanno nulla da temere dall’aprirsi alla Parola di Dio; essa non distrugge mai la vera cultura, ma costituisce un costante stimolo per la ricerca di espressioni umane sempre più appropriate e significative”. Inoltre, “va pienamente ricuperato il senso della Bibbia come grande codice per le culture”. Si auspica anche la promozione della conoscenza della Bibbia nelle scuole e università, “vincendo antichi e nuovi pregiudizi”. Si esprime apprezzamento, stima e ammirazione di tutta la Chiesa per gli artisti “innamorati della bellezza”, che si sono lasciati ispirare dai testi sacri, aiutando “a rendere in qualche modo percepibile nel tempo e nello spazio le realtà invisibili ed eterne”. Si sollecita “un impegno ancora più ampio e qualificato” nel mondo dei media rilevando il ruolo crescente di internet, “che costituisce un nuovo forum in cui far risuonare il Vangelo, nella consapevolezza, però, che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il mondo reale” (109-113).

Parlando di inculturazione si osserva che “non va scambiata con processi di adattamento superficiale e nemmeno con la confusione sincretista che diluisce l’originalità del Vangelo per renderlo più facilmente accettabile”. “La Parola divina … trasfigura i limiti delle singole culture creando comunione tra popoli diversi” (114-116) .D’altra parte, “la Chiesa riconosce come parte essenziale dell’annuncio della Parola l’incontro, il dialogo e la collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, in particolare con le persone appartenenti alle diverse tradizioni religiose dell’umanità, evitando forme di sincretismo e di relativismo” (117). Ribadendo che la Chiesa vede “con stima” i musulmani, il Sinodo auspica lo sviluppo di un dialogo basato sull’approfondimento di valori come “il rispetto della vita”, “i diritti inalienabili dell’uomo e della donna e la loro pari dignità”, nonché l’apporto delle religioni al bene comune, tenendo conto “della distinzione tra l’ordine socio-politico e l’ordine religioso” (118). Il Papa esprime quindi “il rispetto della Chiesa per le antiche religioni e tradizioni spirituali dei vari continenti” (119). Tuttavia – si sottolinea – “il dialogo non sarebbe fecondo se questo non includesse” il riconoscimento della “libertà di professare la propria religione in privato e in pubblico, nonché la libertà di coscienza” (120).

La nostra epoca – conclude il Papa – “dev’essere sempre più il tempo di un nuovo ascolto della Parola di Dio e di una nuova evangelizzazione”, perché “ancora oggi Gesù risorto ci dice ‘Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura’”(122).