DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA
PRESENTAZIONE DEL XII VOLUME DELL’OPERA OMNIA DI JOSEPH RATZINGER
"Annunciatori della Parola e Servitori della vostra Gioia"
"Annunciatori della Parola e Servitori della vostra Gioia"
INTERVENTO DI
S.E. MONS. GERHARD LUDWIG MÜLLER
S.E. MONS. GERHARD LUDWIG MÜLLER
Vescovo di Regensburg, Membro del Pontificio Consiglio della Cultura
e Curatore dell’Opera omnia di J. Ratzinger
Presentazione del XII volume dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger
"L’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo, volge al termine. Dal Curato d’Ars ci siamo lasciati guidare, per comprendere nuovamente la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale. Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola «sacerdozio»."
Queste parole dell'omelia che Papa Benedetto XVI, a conclusione dell’Anno Sacerdotale, ha indirizzato alle migliaia di sacerdoti riunitisi in piazza San Pietro a Roma per la festività del Sacro Cuore [venerdì 11 giugno 2010], ben riassumono la teologia e la spiritualità del sacramento dell’Ordine, che con il titolo "Annunciatori della Parola e Servitori della vostra Gioia" costituiscono il tema del presente volume XII dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger.
Gli studi scientifici, le meditazioni e le prediche concernenti il ministero del vescovo, del presbitero/sacerdote e del diacono ricoprono un arco di quasi mezzo secolo, a partire dai primi testi che precedettero di alcuni anni l'apertura del Concilio Vaticano Secondo. A questo evento fondamentale della storia ecclesiastica più recente si è soliti associare, a seconda dei punti di vista, l’inizio di una trasformazione, consona allo spirito del tempo, oppure di una profonda crisi della Chiesa, e in particolare del sacerdozio. Il Concilio ha inserito la costituzione gerarchica della Chiesa, che si esplica nelle differenti mansioni del vescovo, del sacerdote e del diacono, in un’esauriente ecclesiologia innovata dalle fonti bibliche e patristiche (LG 18!29). Gli enunciati riguardanti il grado episcopale e presbiteriale della gerarchia sacerdotale tripartita furono approfonditi nei decreti Christus Dominus e Presbyterorum ordinis. Per quali ragioni allora, dopo il Concilio, potè verificarsi una crisi d'identità del sacerdozio cattolico storicamente paragonabile solo con le conseguenze della riforma protestante del XVI secolo?
Nella sezione A del volume, intitolata "Teologia del sacramento dell’Ordine", Joseph Ratzinger analizza le cause di tali dubbi e illustra positivamente il fondamento biblico ed il coerente sviluppo storico-dogmatico del sacramento dell’Ordine. Nella sezione B, intitolata "Servitori della vostra Gioia", il lettore troverà una raccolta di meditazioni sulla spiritualità sacerdotale, già pubblicata in precedenza come opera singola con il medesimo titolo. Un titolo che riprende il motto primiziale del novello sacerdote Joseph Ratzinger. La sezione C raccoglie infine diverse prediche tenute in occasione di consacrazioni sacerdotali e di diaconi, prime messe e giubilei. Qui non si tratta tanto di lirica religiosa, quanto della riscoperta delle sorgenti spirituali alle quali ogni sacerdote quotidianamente attinge per essere un buon operaio del Signore e un entusiastico servitore della Buona Novella di Cristo ) un pastore che non pasce se stesso, ma che come Cristo, il sommo Pastore, sacrifica la propria vita per il gregge di Dio. Dove crolla il fondamento dogmatico del sacerdozio cattolico, non si estingue soltanto la fonte da cui si alimenta un’esistenza al seguito di Gesù, ma vien meno anche la motivazione a rinunciare al matrimonio per amore del Regno dei Cieli (Mt 19,12), e con la forza dello Spirito Santo accettare con gioia e convinzione il celibato come un rimando escatologico al futuro mondo di Dio.
Se si trascura la relazione simbolica inerente al sacramento, il celibato sacerdotale scade a mero relitto di un passato ostile al corpo, ed è individuato ed osteggiato come unica causa della carenza di sacerdoti. Non da ultimo, scompare infine anche l'evidenza per la dottrina e la prassi della Chiesa di conferire il sacramento dell’Ordine soltanto agli uomini. Un ministero ecclesiale inteso in senso funzionale dà adito al sospetto di legittimare un potere che andrebbe peraltro motivato e limitato democraticamente.
La crisi del sacerdozio che ha colpito l’Occidente negli ultimi decenni, è anche il risultato di un fondamentale disorientamento del Cristiano di fronte a una filosofia che trasferisce l'intimo significato e l’obiettivo ultimo della storia e di ogni esistenza umana in una dimensione mondana, sbarrandogli in tal modo l’orizzonte trascendente e recidendone la prospettiva escatologica. Riporre ogni aspettativa in Dio e fondare l'intera esistenza su Colui che in Cristo ci ha dato tutto: solo questa può essere la logica di una scelta di vita che si pone con assoluta dedizione al seguito di Gesù e partecipa alla sua missione di Redentore del mondo, da lui adempiuta con la passione e crocifissione ed inequivocabilmente rivelata con la sua risurrezione dai morti.
Non vanno tuttavia trascurati anche altri fattori di natura interna alla Chiesa. Joseph Ratzinger, come mostrano i suoi primi interventi, aveva acutamente presagito le scosse che con impeto sempre crescente preannunciavano il terremoto: in primo luogo l’apertura all’esegesi protestante negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Spesso da parte cattolica non ci si rese affatto conto delle sistematiche premesse poste dalla Riforma alla base dell’esegesi. Fu così che la pesante critica del sacerdozio consacrato, apparentemente non motivabile biblicamente, investì la Chiesa cattolica (e ortodossa). Il sacerdozio sacramentale strettamente riferito al sacrificio eucaristico, come era stato affermato dal Concilio Tridentino, sembrava a prima vista non aver alcun riscontro nella Bibbia, né sotto il profilo terminologico, né per quanto concerne le particolari prerogative del sacerdote nei confronti dei laici, specialmente il mandato della consacrazione. La critica radicale del culto ! e quindi il vagheggiato superamento di un sacerdozio che limitava a se stesso la rivendicata funzione di intermediario – sembrava togliere terreno ad un mediatorato sacerdotale nella Chiesa.
Con la critica protestante nei confronti di un sacerdozio sacramentale che metterebbe in questione l’unicità del sommo sacerdozio di Cristo (secondo la lettera agli Ebrei) e relegherebbe ai margini il generale sacerdozio dei credenti secondo 1 Pt 2,5, si alleava infine il moderno concetto di autonomia, che guardava con sospetto ad ogni esercizio di autorità.
L’osservazione che, dal punto di vista della sociologia della religione, Cristo non era un ministro di culto e quindi ! in termini anacronistici ! era un laico, e il fatto che definendo i servizi e gli uffici nel Nuovo Testamento non si fosse impiegata una terminologia sacrale, ma si facesse invece ricorso a titoli ufficiali apparentemente profani, sembrarono comprovare l’ "impropria" trasformazione – prodottasi nella Chiesa primitiva a partire dal terzo secolo – dei funzionari comunali ricorrenti nella Bibbia in una nuova classe di ministri di culto.
Joseph Ratzinger analizza a sua volta criticamente la critica storica improntata alla teologia protestante, operando una distinzione tra le premesse filosofiche e teologiche e le metodiche storiche. In questo modo è in grado di dimostrare come, con le cognizioni dell’esegesi biblica moderna ed una puntuale analisi dello sviluppo storico dei dogmi, si possa fondatamente giungere agli enunciati dogmatici esposti soprattutto nel Concilio di Firenze, di Trento e nel Vaticano Secondo.
Il significato di Gesù nel rapporto dell’umanità e di tutto il creato con Dio, e dunque il riconoscimento di Cristo come redentore e mediatore di salvezza universale, che la lettera agli Ebrei qualifica nella categoria del Sommo Sacerdote, non ha mai posto come pregiudiziale la sua appartenenza alla classe sacerdotale levita. Il fondamento dell’essere e della missione di Gesù risiede piuttosto nel suo provenire dal Padre, nella cui casa e tempio egli deve essere (Lc 2,49). È la divinità della PAROLA ciò che fa di Gesù, nella natura umana da lui assunta, l’unico e vero Maestro, Pastore, Sacerdote, Mediatore e Redentore.
Di questa sua consacrazione e missione egli ci rende partecipi designando i Dodici. Da questi si costituisce il cerchio degli Apostoli, che come entità determinante instaurano la missione della Chiesa nella storia. Essi trasferiscono il proprio mandato ai capi e pastori locali e sovralocali della Chiesa universale e delle Chiese particolari. In un’ottica comparativa delle religioni, le antiche denominazioni d’ufficio di "episcopi", "presbiteri" e "diaconi" in comunità di gentili convertiti al Cristianesimo appaiono come termini profani. Nel contesto della Chiesa delle origini il loro riferimento cristologico ed il loro nesso con il ministero apostolico è vistosamente palese. Gli Apostoli e i loro discepoli e successori istituiscono i vescovi, presbiteri e diaconi mediante l'imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione (At 6,6; 14,23; 15,4; 1 Tm 4,14). Agendo in suo nome, essi sono i pastori che lo rappresentano visibilmente come il Pastore supremo e mediante i quali egli stesso diviene presente in qualità di Pastore. Da ciò consegue anche la spiritualità del presbitero e dell'episcopo, consacrati mediante l'imposizione delle mani dallo Spirito Santo stesso (At 20,28). Essa non è un atto aggiuntivo di religiosità privata, bensì la forma interiore della disponibilità di votarsi con tutto il proprio essere e la propria vita al servizio di Cristo e di indicarlo come perenne riferimento. La vera essenza del sacerdozio sacramentale consiste nel fatto che il vescovo e il presbitero sono servitori della Parola, che espletano il servizio della riconciliazione e la cura pastorale del gregge di Dio loro affidato. Nella misura in cui essi assolvono al mandato di Cristo, attraverso i loro atti e parole Cristo stesso diviene presente, come unico Sommo Sacerdote nella Chiesa di Dio radunata per la celebrazione del servizio divino.
La teologia cattolica può recepire la confutazione di una concezione di sacerdote, se questo sacerdote fosse inteso come mediatore in senso autonomo o anche solo complementare accanto o oltre il Cristo. Per questa ragione anche l'obiezione di Martin Lutero non tange tuttavia la dottrina, vincolante sotto il profilo dogmatico, del sacerdozio sacramentale. Il Concilio Tridentino, nel suo decreto sul sacramento dell'Ordine, si limitò a respingere le contestazioni del primo riformatore, rinunciando peraltro all'esposizione di un approccio teologico complessivo. Nei sovente trascurati decreti di riforma, tuttavia, come mette in rilievo Joseph Ratzinger, acquista risalto la concezione biblica del sacerdote come servitore della Parola e dei Sacramenti, nonché pastore e padre spirituale dei fedeli.
Nel dialogo ecumenico, naturalmente, al di là delle differenze di contenuto vanno tematizzati anche i principi formali della teologia: Scrittura, Tradizione e Magistero, che sono tra di loro differenti ma concorrono peraltro alla salvaguardia complessiva della rivelazione, che deve essere protetta da interpretazioni soggettive ed arbitrarie per conservare la propria pienezza e globalità. Qui diventano palesi anche le dimensioni del sacramento dell'Ordine, che trascendono gli uffici, per lo più a livello parrocchiale, del presbitero e dei diaconi. Si tratta della responsabilità che i vescovi, in quanto successori degli Apostoli, hanno nei confronti del proprio magistero e mandato pastorale per la Chiesa universale. In proposito, nell'ottica cattolica, anche il ministero del vescovo di Roma quale successore di Pietro è di fondamentale importanza. Joseph Ratzinger si richiama incessantemente a Ireneo di Lione, che con il suo inquadramento sistematico di Scrittura apostolica, Tradizione apostolica e Successione apostolica dei vescovi ha stabilito il parametro permanente. A ben vedere, prendendo le distanze dallo gnosticismo, esso contiene in sostanza anche la dottrina del primato papale, di modo che, partendo da Ireneo, anche lo sviluppo dottrinale successivo può essere analizzato nella sua vera intenzione.
Per recuperare l'identità sacerdotale nella relazione con Cristo, è indispensabile la disponibilità a considerare se stessi servitori della Parola e testimoni di Dio nella successione di Cristo, e a vivere in comunione con lui. A tal fine il sacerdote deve disporre di una buona formazione teologica e del permanente riferimento alla teologia scientifica. Joseph Ratzinger, con gli scritti raccolti nel presente volume, ha indicato una via d'uscita dalla crisi in cui il sacerdozio cattolico era caduto a causa di impostazioni teologiche e sociologiche carenti e di dichiarazioni atte a suscitare, in molti sacerdoti che avevano intrapreso con amore e zelo il loro cammino, una personale insicurezza e sconcerto a proposito del proprio ruolo in seno alla Chiesa.
Con il presente volume il curatore esaudisce il desiderio dell'autore di dedicare un intero tomo della Raccolta alla teologia del sacramento dell'Ordine. Papa Benedetto XVI vede nell'annuncio della Parola divina che precede ogni azione dell'uomo, il compito particolare del servizio episcopale e sacerdotale. Così quest'opera potrà essere consultata con profitto non solo come analisi del fondamento teologico-scientifico del sacramento dell'Ordine, ma servirà parimenti all'interiorizzazione della vocazione sacerdotale e come stimolo per esercizi spirituali, e quale annuncio di questo glorioso ministero nella Nuova Alleanza, che conduce allo Spirito e alla vita (cf. 2 Cor 3,6–9).
Testo in lingua tedesca
Präsentation von JRGS 12
„Das Priesterjahr, das wir 150 Jahre nach dem Tod des heiligen Pfarrers von Ars, dem Vorbild priesterlichen Dienens in unserer Welt, begangen haben, geht zu Ende. Vom Pfarrer von Ars haben wir uns führen lassen, um Größe und Schönheit des priesterlichen Dienstes neu zu verstehen. Der Priester ist nicht einfach ein Amtsträger wie ihn jede Gesellschaft braucht, damit gewisse Funktionen in ihr erfüllt werden können. Er tut vielmehr etwas, das kein Mensch aus sich heraus kann: Er spricht in Christi Namen das Wort der Vergebung für unsere Sünden und ändert so von Gott her den Zustand unseres Lebens. Er spricht über die Gaben von Brot und Wein die Dankesworte Christi, die Wandlungsworte sind – ihn selbst, den Auferstandenen, sein Fleisch und sein Blut gegenwärtig werden lassen und so die Elemente der Welt verändern: die Welt auf Gott hin aufreißen und mit ihm zusammenfügen. So ist Priestertum nicht einfach ‚Amt‘, sondern Sakrament: Gott bedient sich eines armseligen Menschen, um durch ihn für die Menschen da zu sein und zu handeln. Diese Kühnheit Gottes, der sich Menschen anvertraut, Menschen zutraut, für ihn zu handeln und da zu sein, obwohl er unsere Schwächen kennt – die ist das wirklich Große, das sich im Wort Priestertum verbirgt."
Mit diesen Worten der Ansprache Papst Benedikts XVI. an die vielen tausend Priester, die sich am Herz-Jesu-Freitag zum Abschluss des Priesterjahres auf dem Petersplatz in Rom versammelt hatten, lassen sich Theologie und Spiritualität des Weihesakramentes gut zusammenfassen, wie sie nun mit dem Titel „Künder des Wortes und Diener eurer Freude" als Band 12 der Joseph Ratzinger Gesammelten Schriften vorgelegt werden.
Die wissenschaftlichen Studien, Meditationen und Predigten zum Dienst des Bischofs, Presbyters/Priesters und Diakons umfassen einen Zeitrahmen von fast 50 Jahren und reichen einige Jahre vor den Beginn des II. Vatikanischen Konzils zurück. Mit diesem markantesten Ereignis der neueren Kirchengeschichte verbinden viele, je nach Standort, den Anfang einer zeitgeistgemäßen Umformung oder einer tiefreichenden Krise der Kirche, insbesondere des Priestertums. Das Konzil hat die hierarchische Verfassung der Kirche, die sich in den unterschiedlichen Aufgaben des Bischofs, Priesters und Diakons entfaltet, in eine umfassende, aus den biblischen und patristischen Quellen erneuerte, Ekklesiologie eingeordnet (LG 18!29). Die Aussagen zur episkopalen und presbyteralen Stufe des dreigliedrigen Weiheamtes wurden in den Dekreten Christus Dominus und Presbyterorum ordinis vertieft. Warum kam es dennoch nach dem Konzil zu einer historisch nur mit den Folgen der protestantischen Reformation des 16. Jahrhunderts vergleichbaren Identitätskrise des katholischen Priestertums?
Im Teil A setzt sich Joseph Ratzinger unter dem Titel „Theologie des Weihesakramentes" mit den Ursachen dieser Zweifel auseinander und zeigt positiv die biblische Grundlegung und konsequente dogmengeschichtliche Entfaltung des Weihesakraments. Im Teil B findet der Leser unter der Überschrift „Diener eurer Freude" eine Sammlung von Meditationen über die priesterliche Spiritualität, die unter dem gleichen Titel bereits als Einzelveröffentlichung erschienen ist. Der Titel greift den Primizspruch des Neupriesters Joseph Ratzinger auf. Dazu kommen im Teil C Predigten zu Priester- und Diakonenweihen, Primizen und Jubiläen. Hier geht es nicht um fromme Lyrik, sondern um Freilegung der geistlichen Quellen, aus denen jeder Priester täglich schöpft, um ein guter Knecht seines Herrn und be-geist-ernder Diener der Frohbotschaft Christi zu sein ) ein Hirt, der sich nicht selber weidet, sondern der wie Christus, der oberste Hirt, sein Leben hingibt für die Schafe der Herde Gottes. Wo die dogmatische Grundlage des katholischen Priestertums weg bricht, versiegt nicht nur die Quelle, aus der sich ein Leben in der Nachfolge Jesu speist, sondern fällt auch die Motivation weg, um des Himmelreiches willen (Mt 19,12) auf die Ehe zu verzichten und den Zölibat in der Kraft des Heiligen Geistes in Freude und Gewissheit als eschatologischen Verweis auf die kommende Welt Gottes durchzutragen.
Wenn die zum Wesen des Sakramentes gehörende zeichenhafte Relation ausgeblendet wird, wird der priesterliche Zölibat zum Relikt aus einer leibfeindlichen Vergangenheit, als alleinige Ursache für den Priestermangel ausgemacht und bekämpft. Nicht zuletzt verschwindet dann auch die Evidenz für die Lehre und Praxis der Kirche, nur Männern das Weihesakrament zu spenden. Ein funktional verstandenes Amt in der Kirche setzt sich dem Verdacht aus Herrschaft zu legitimieren, die freilich demokratisch begründet und begrenzt werden muss.
Die Krise des Priestertums in der westlichen Welt in den letzten Jahrzehnten ist auch Resultat einer grundlegenden Verunsicherung des Christlichen angesichts einer Philosophie, die den innersten Sinn und die letzte Zielbestimmung der Geschichte und jeder menschlichen Existenz in die Welt hinein verlegt, ihm somit den transzendenten Horizont verstellt und die eschatologische Perspektive abschneidet. Alles von Gott zu erwarten und sein ganzes Leben auf Gott zu bauen, der uns in Christus alles geschenkt hat, das allein kann die Logik einer Lebensentscheidung sein, die sich in vollkommener Hingabe auf den Weg der Nachfolge Jesu begibt in der Teilnahme an seiner Sendung als Retter der Welt, die er im Leiden und Kreuz erfüllt und in seiner Auferstehung von den Toten unhintergehbar geoffenbart hat.
Doch auch innerkirchliche Faktoren müssen in den Blick genommen werden. Joseph Ratzinger hatte, wie seine frühen Beiträge zeigen, ein waches Gespür für die immer stärker werdenden Erschütterungen, mit denen sich das Erdbeben ankündigte: Vor allem war es die Öffnung auf die protestantische Exegese in den 1950er und 1960er Jahren. Die systematischen Vorentscheidungen, die der Exegese von der Reformation her zugrunde lagen, wurden von katholischer Seite oft gar nicht erkannt. Somit brach die Wucht der Kritik am vermeintlich biblisch nicht begründbaren Weihepriestertum auf die katholische (und orthodoxe) Kirche herein. Das ganz auf das eucharistische Opfer bezogene sakramentale Priestertum, wie es im Konzil von Trient behauptet wurde, schien auf den ersten Blick weder terminologisch noch was die besonderen Prärogativen des Priesters gegenüber den Laien angeht, besonders die Konsekrationsvollmacht, biblisch ausgewiesen zu sein. Die radikale Kultkritik ! und damit die angezielte Überwindung eines Priestertums, das die beanspruchte Mittlerfunktion beschränkte – schien einem priesterlichen Mittlertum in der Kirche den Boden zu entziehen.
Mit der reformatorischen Kritik an einem sakramentalen Priestertum, das die Einzigkeit des Hohenpriestertums Christi (gemäß dem Hebräerbrief) in Frage stellt und das allgemeine Priestertum aller Gläubigen nach 1 Petr 2,5 an den Rand schob, verband sich schließlich das neuzeitliche Autonomiedenken, dem jede Autoritätsausübung verdächtig war.
Aus der Beobachtung, dass Jesus religionssoziologisch nicht Kultpriester und damit ! anachronistisch formuliert ! ein Laie war, und der Tatsache, dass für die Dienste und Ämter im Neuen Testament keine sakrale Terminologie, sondern vermeintlich profane Amtstitel herangezogen wurden, schien die „unsachgemäße" Umwandlung der in der Bibel anzutreffenden Gemeindebeamten zu einem neuen kultischen Priestertum in der frühen Kirche ab dem 3. Jahrhundert erwiesen.
Joseph Ratzinger unterzieht die protestantisch-theologisch vorgeprägte historische Kritik seinerseits der Kritik, indem er philosophische und theologische Vorentscheidungen und die Anwendung historischer Methoden unterscheidet. So aber kann er aufweisen, dass man mit den Erkenntnissen der modernen Bibelexegese und einer genauen Analyse der dogmengeschichtlichen Entwicklung wohl begründet zu den dogmatischen Aussagen gelangen kann, wie sie vor allem in den Konzilien von Florenz, Trient und im II. Vatikanum vorgelegt wurden.
Die Bedeutung Jesu für das Verhältnis aller Menschen und der ganzen Schöpfung zu Gott, also die Erkenntnis Christi als Erlöser und universaler Heilsmittler, die im Hebräerbrief in der Kategorie des Hohenpriesters entfaltet wird, bedurfte niemals der Bedingung seiner Zugehörigkeit zum levitischen Priesterstand. Die Grundlage von Sein und Sendung Jesu ist vielmehr in seiner Herkunft vom Vater gegeben, in dessen Haus und Tempel er sein muss (Lk 2,49). Die Gottheit des WORTES ist es, die Jesus in seiner angenommenen menschlichen Natur zum einzigen und wahren Lehrer, Hirten, Priester, Mittler und Erlöser macht.
An dieser seiner Weihe und Sendung gibt er Anteil, indem er die Zwölf beruft. Aus ihnen entsteht der Kreis der Apostel, die als entscheidende Größe die Sendung der Kirche in der Geschichte begründen. Ihre Vollmacht übertragen sie auf die überörtlich und örtlich tätigen Vorsteher und Hirten der Universalkirche und der Ortskirchen. Unter religionsvergleichendem Blickwinkel erscheinen die frühen Amtbezeichnungen von „Episkopen", „Presbytern" und „Diakonen" in heidenchristlichen Gemeinden als profane Termini. Im urkirchlichen Kontext sind ihr christologischer Bezug und ihr Zusammenhang mit dem Apostelamt unübersehbar. Die Apostel und ihre Schüler und Nachfolger setzen die Bischöfe, Presbyter und Diakone durch Handauflegung und Weihegebet ein (Apg 6,6; 14,23; 15,4; 1 Tim 4,14). Sie sind in seinem Namen die Hirten, die ihn als den höchsten Hirten sichtbar vertreten und durch die er selbst als Hirte gegenwärtig wird. Daraus ergibt sich auch die Spiritualität des durch Handauflegung vom Heiligen Geist selbst geweihten Presbyters bzw. Episkopen (Apg 20,28). Sie ist nicht zusätzliche Privatfrömmigkeit, sondern die innere Form der Bereitschaft, sich selbst mit seinem ganzen Sein und Leben in Christi Dienst zu stellen und auf ihn hin zu verweisen. Das eigentliche Wesen des sakramentalen Priestertums besteht darin, dass Bischof und Presbyter Diener des Wortes sind, dass sie den Dienst der Versöhnung vollziehen und als Hirten die Herde Gottes weiden. Indem sie den Auftrag Christi erfüllen, macht Christus sich selbst durch ihr Handeln und Sprechen als der einzige Hohepriester gegenwärtig in der zum Gottesdienst versammelten Kirche Gottes.
Die katholische Theologie kann den Widerspruch gegen ein Verständnis von Priester mitvollziehen, wenn dieser Priester als Mittler in einem eigenständigen oder auch nur in ergänzendem Sinne neben oder außer Christus verstanden wäre. Deswegen trifft aber auch Martin Luthers Einspruch nicht die dogmatisch verbindliche Lehre vom sakramentalen Priestertum. Das Konzil von Trient beschränkte sich in seinem Dekret zum Weihesakrament auf die Zurückweisung der Widersprüche des frühen Reformators, verzichtete aber auf die Darlegung eines umfassenden theologischen Ansatzes. In den zu Unrecht meist übersehenen Reformdekreten aber, darauf macht Joseph Ratzinger mit großem Nachdruck aufmerksam, kommt das biblische Verständnis des Priesters als Diener des Wortes und der Sakramente wie auch als des Hirten und Seelsorgers der Gläubigen zum Tragen.
Im ökumenischen Dialog müssen freilich über die inhaltlichen Differenzen hinaus auch die formalen Prinzipien der Theologie Thema werden: Schrift, Tradition und Lehramt, die unterschieden sind, aber auch zusammenwirken bei der Bewahrung der gesamten Offenbarung, die vor subjektivistischer und willkürlicher Auslegung beschützt werden muss, um ihre Fülle und ihren Gesamtanspruch zu bewahren. Hier werden auch die Dimensionen des Weihesakramentes deutlich, die über die meist gemeindebezogenen Ämter des Presbyters und der Diakone hinausgehen. Es geht um die Verantwortung der Bischöfe als Nachfolger der Apostel in ihrem universalkirchlichen Lehr- und Hirtenamt. Nach katholischer Auffassung ist dafür auch der Dienst des Bischofs von Rom als Nachfolger Petri von unerlässlicher Bedeutung. Joseph Ratzinger verweist immer wieder auf Irenäus von Lyon, der mit der Zuordnung der apostolischen Schrift, der apostolischen Tradition und der apostolischen Sukzession der Bischöfe den bleibenden Maßstab gesetzt hat. Im Grunde ist dort in Abgrenzung gegen die Gnosis auch die Lehre vom päpstlichen Primat im Wesentlichen enthalten, so dass auch die spätere Lehrentwicklung von Irenäus her in der eigentlichen Intention beleuchtet werden kann.
Zur Wiedergewinnung der priesterlichen Identität in der Relation zu Christus gehört die Bereitschaft, sich selbst als Diener des Wortes und Zeuge Gottes in der Nachfolge Christi zu verstehen und in der Gemeinschaft mit ihm zu leben. Dazu ist der Priester auf eine gute theologische Ausbildung und den bleibenden Bezug auf die wissenschaftliche Theologie verwiesen. Joseph Ratzinger hat mit dem vorliegenden Band der Gesammelten Schriften einen Weg gewiesen aus der Krise, in die das katholische Priestertum mit ungenügenden theologischen und soziologischen Ansätzen und Erklärungen hineingeraten war, die viele Priester, die mit Liebe und Eifer ihren Weg begonnen hatten, in eine persönliche Unsicherheit und Ratlosigkeit angesichts ihrer Rolle in der Kirche geführt hatten.
Mit diesem Band erfüllt der Herausgeber den Wunsch des Autors, der Theologie des Weihesakraments einen eigenen Band zu widmen. Papst Benedikt XVI. sieht in der Verkündigung des allem menschlichen Tun vorausgehenden Wortes Gottes die besondere Aufgabe des bischöflichen und priesterlichen Dienstes. So wird das vorliegende Werk nicht nur zur theologisch-wissenschaftlichen Grundlegung des Weihesakramentes stets mit Gewinn herangezogen werden, sondern auch zur Verinnerlichung der priesterlichen Berufung sowie als Anregung für Priesterexerzitien und zur Verkündigung über diesen „herrlichen Dienst im Neuen Bund, der zu Geist und Leben führt" (2 Kor 3,6).
© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana
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