“Dimmi come leggi la Bibbia e ti dirò chi sei”
Potrebbe essere il titolo della Verbum Domini,
il testo papale che chiude il Sinodo sulla parola di Dio.
Parla il cardinale Cottier
di Paolo Rodari
Dimmi come leggi la Bibbia e ti dirò chi sei. Potrebbe intitolarsi così la “Verbum Domini”, il poderoso testo – più di cento pagine, presentate ieri nella sala stampa della Santa Sede – firmato da Papa Benedetto XVI come conclusione del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio svoltosi in Vaticano nell’ottobre di due anni fa. E’ un leitmotiv caro a Papa Ratzinger tanto da ricorrere più volte nel suo magistero: la chiesa si fonda sulla parola di Dio, nasce e vive in essa e, dunque, dirimente è come questa parola viene interpretata. Molte teologie errate, infatti, sono nate da una esegesi scorretta del testo biblico: “Là dove non si formano i fedeli a una conoscenza della Bibbia secondo la fede della chiesa nell’alveo della sua tradizione viva, di fatto si lascia un vuoto pastorale in cui realtà come le sette possono trovare terreno per mettere radici”, ha scritto Benedetto XVI.
Il cardinale Georges Cottier è teologo emerito della Casa pontificia. Domenicano svizzero, per anni il suo compito è stato quello di leggere e dare il ‘nihil obstat’ a tutti i testi preparati dai collaboratori del Pontefice: documenti, discorsi, messaggi, omelie. Dice: “L’esortazione post sinodale mostra quale sia il debito che il teologo Joseph Ratzinger, come tantissimi altri teologi tra cui il sottoscritto, deve al teologo evangelico tedesco Rudolf Karl Bultmann. Secondo Bultmann ogni metodo che vuole interpretare il testo sacro è in qualche modo un preconcetto. Lo è anche il metodo storico-critico, la ricerca di ciò che è soltanto scientificamente provabile all’interno della scrittura. Ogni metodo dice della volontà di privilegiare un aspetto piuttosto che un altro. Ratzinger, come Bultmann, chiede invece di andare oltre questa lettura parziale. Che significa che l’approccio storico-critico deve essere accompagnato da un approccio teologico-spirituale che affermi l’unità delle scritture e riconosca che l’interpretazione che la chiesa ha dato delle scritture stesse è verità”.
Benedetto XVI da tempo insiste su questo punto. Nell’introduzione alla prima parte del libro “Gesù di Nazaret” di questo ha parlato, della necessità di superare letture parziali, e dunque “fondamentaliste” del testo sacro, in favore della cosiddetta “esegesi canonica”: la lettura dei singoli testi della Bibbia nel quadro della sua interezza. Questa esegesi, ha scritto il Papa, “non è in contraddizione con il metodo storico-critico, ma lo sviluppa in maniera organica e lo fa divenire vera e propria teologia”. “Il cristianesimo non è una religione del libro, anche se la necessità di comunicare e trasmettere la parola l’ha subito resa una tradizione religiosa legata ai libri”, ha scritto ieri sull’Osservatore Romano Gian Maria Vian.
Una corretta conoscenza della scrittura permette anche ai sacerdoti di predicare in modo corretto. E’ un passaggio importante del testo papale. Benedetto XVI richiama gli uomini di chiesa a “migliorare la qualità” delle omelie e, insieme, a non predicare come fossero delle star. “Si devono evitare – dice – omelie generiche e astratte come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico”. Dice ancora il cardinale Cottier: “Ratzinger sa bene come un’omelia ben preparata aiuti la comprensione dei testi. E’ con questo fine che ha scritto di volere un Direttorio sull’omelia cosicché i predicatori possano trovare in esso un aiuto utile per prepararsi nell’esercizio del ministero”.
Pubblicato sul Foglio venerdì 12 novembre 2010