martedì 9 novembre 2010

San Leone Magno, Papa e Dottore della Chiesa (m) 10 novembre


10 NOVEMBRE
SAN LEONE MAGNO
Papa efesta

V
escovo di Roma dal 440, quando era minacciata dai barbari, Leone meritò il titolo di «grande» (magnus). Fuse mirabilmente insieme dignità e modestia, ebbe viva coscienza dell’ufficio di Successore di Pietro e fu incrollabile nell’adesione alla fede secondo la tradizione apostolica. Mostrò molta abilità nelle relazioni con l’Oriente, chiarezza e maturità di giudizio nelle controversie. Convocò il Concilio di Calcedonia (451) che definì l’esistenza della natura umana e divina nell’unica persona di Cristo. La dottrina da lui formulata ebbe grande influsso nella redazione della liturgia romana del Natale, preparata da lui stesso.

Salvò Roma dall’invasione degli Unni guidati da Attila (452) e riuscì a mitigare il saccheggio dei Vandali di Genserico (455).

I 96 sermoni che possediamo sono omelie ricche di contenuto dottrinale chiaro, esposto in un linguaggio semplice e nitido; formano la prima raccolta di «discorsi» di un papa e preludono quel « magistero » papale che ha avuto tanta importanza nella guida della Chiesa. Di lui restano anche 173 lettere che rivelano profondo equilibrio e senso di responsabilità nel servizio a tutto il popolo di Dio.

Le nostre assemblee cristiane devono a questo grande papa alcune delle loro più belle preghiere, e la Liturgia delle ore ha tratto dai suoi scritti letture ammirabili per espressione e contenuto. Lo stile di san Leone Magno rivive nella revisione dei libri liturgici in atto ai nostri giorni.




Il servizio specifico del nostro ministero

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 4, 1-2; PL 54, 148-149
)

Tutta la Chiesa di Dio è ordinata in gradi gerarchici distinti, in modo che l'intero sacro corpo sia formato da membra diverse. Ma, come dice l'Apostolo, tutti noi siamo uno in Cristo (cfr. Gal 3, 28). La divisione degli uffici non è tale da impedire che ogni parte, per quanto piccola, sia collegata con il capo.

Per l'unità della fede e del battesimo c'è dunque fra noi, o carissimi, una comunione indissolubile sulla base di una comune dignità. Lo afferma l'apostolo Pietro: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5), e più avanti: «Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdote regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2, 9).

Tutti quelli che sono rinati in Cristo conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l'unzione dello Spirito Santo poi sono consacrati sacerdoti. Non c'è quindi solo quel servizio specifico proprio del nostro ministero, perché tutti i cristiani sono rivestiti di un carisma spirituale e soprannaturale, che li rende partecipi della stirpe regale e dell'ufficio sacerdotale. Non è forse funzione regale il fatto che un'anima, sottomessa a Dio, governi il suo corpo? Non è forse funzione sacerdotale consacrare al Signore una coscienza pura e offrirgli sull'altare del cuore i sacrifici immacolati del nostro culto? Per grazia di Dio queste funzioni sono comuni a tutti. Ma da parte vostra è cosa santa e lodevole che vi rallegriate per il giorno della nostra elezione come di un vostro onore personale. Così tutto il corpo della Chiesa riconosce che il carattere sacro della dignità pontificia è unico. Mediante l'unzione santificatrice, esso rifluisce certamente con maggiore abbondanza nei gradi più alti della gerarchia, ma discende anche in considerevole misura in quelli più bassi.

La comunione di tutti con questa nostra Sede è, quindi, o carissimi, il grande motivo della letizia. Ma gioia più genuina e più alta sarà per noi se non vi fermerete a considerare la nostra povera persona, ma piuttosto la gloria del beato Pietro apostolo.

Si celebri dunque in questo giorno venerando soprattutto colui che si trovò vicino alla sorgente stessa dei carismi e da essa ne fu riempito e come sommerso. Ecco perché molte prerogative erano esclusive della sua persona e, d'altro canto, niente è stato trasmesso ai successori che non si trovasse già in lui.

Allora il Verbo fatto uomo abitava già in mezzo a noi. Cristo aveva già dato tutto se stesso per la redenzione del genere umano.