venerdì 18 dicembre 2009

Benedetto XVI: agli universitari romani, "QUALE SAPIENZA INVOCHIAMO"


CELEBRAZIONE DEI VESPRI
CON LA PARTECIPAZIONE DEGLI UNIVERSITARI ROMANI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Giovedì, 17 dicembre 2009




Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!

Quale sapienza nasce a Betlemme? Questa domanda vorrei porre a me e a voi in questo tradizionale incontro pre-natalizio con il mondo universitario romano. Oggi, invece della Santa Messa, celebriamo i Vespri, e la felice coincidenza con l’inizio della novena di Natale ci farà cantare tra poco la prima delle Antifone dette Maggiori:


"O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo,

ti estendi ai confini del mondo,
e tutto disponi con soavità e con forza:
vieni, insegnaci la via della saggezza"

(Liturgia delle Ore, Vespri del 17 dicembre).


Questa stupenda invocazione è rivolta alla "Sapienza", figura centrale nei libri dei Proverbi, della Sapienza e del Siracide che da essa sono detti appunto "sapienziali" e nei quali la tradizione cristiana scorge una prefigurazione del Cristo. Tale invocazione diventa davvero stimolante e, anzi, provocante, quando ci poniamo di fronte al Presepe, cioè al paradosso di una Sapienza che, uscita "dalla bocca dell’altissimo", giace avvolta in fasce dentro una mangiatoia (cfr Lc 2,7.12.16).


Possiamo già anticipare la risposta alla domanda iniziale: quella che nasce a Betlemme è la Sapienza di Dio. San Paolo, scrivendo ai Corinzi, usa questa espressione: "la sapienza di Dio, che è nel mistero" (1 Cor 2,7), cioè in un disegno divino, che è rimasto a lungo nascosto e che Dio stesso ha rivelato nella storia della salvezza. Nella pienezza dei tempi, questa Sapienza ha assunto un volto umano, il volto di Gesù, il quale – come recita il Simbolo apostolico – "fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò da morte, salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, di là verrà a giudicare i vivi e i morti". Il paradosso cristiano consiste proprio nell’identificazione della Sapienza divina, cioè il Logos eterno, con l’uomo Gesù di Nazaret e con la sua storia. Non c’è soluzione a questo paradosso se non nella parola "Amore", che in questo caso va scritta naturalmente con la "A" maiuscola, trattandosi di un Amore che supera infinitamente le dimensioni umane e storiche. Dunque, la Sapienza che questa sera invochiamo è il Figlio di Dio, la seconda persona della Santissima Trinità; è il Verbo, che, come leggiamo nel Prologo di Giovanni, "era in principio presso Dio", anzi, "era Dio", che con il Padre e lo Spirito Santo ha creato tutte le cose e che "si è fatto carne" per rivelarci quel Dio che nessuno può vedere (cfr Gv 1,2-3.14.18).


Cari amici, un professore cristiano, o un giovane studente cristiano, porta dentro di sé l’amore appassionato per questa Sapienza! Legge tutto alla sua luce; ne coglie le tracce nelle particelle elementari e nei versi dei poeti; nei codici giuridici e negli avvenimenti della storia; nelle opere artistiche e nelle espressioni matematiche. Senza di Lei niente è stato fatto di tutto ciò che esiste (cfr Gv 1,3) e dunque in ogni realtà creata se ne può intravedere un riflesso, evidentemente secondo gradi e modalità differenti. Tutto ciò che viene recepito dall’intelligenza umana può esserlo perché, in qualche modo e misura, partecipa della Sapienza creatrice. Qui, in ultima analisi, sta anche la possibilità stessa dello studio, della ricerca, del dialogo scientifico in ogni campo del sapere.


A questo punto non posso evitare una riflessione forse un po’ scomoda ma utile per noi che siamo qui e che apparteniamo per lo più all’ambiente accademico. Domandiamoci: chi c’era – la notte di Natale – alla grotta di Betlemme? Chi ha accolto la Sapienza quando è nata? Chi è accorso per vederla, l’ha riconosciuta e adorata? Non dottori della legge, scribi o sapienti. C’erano Maria e Giuseppe, e poi i pastori. Che significa questo? Gesù un giorno dirà: "Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza" (Mt 11,26): hai rivelato il tuo mistero ai piccoli (cfr Mt 11,25). Ma allora non serve studiare? O addirittura è nocivo, controproducente per conoscere la verità? La storia di duemila anni di cristianesimo esclude quest’ultima ipotesi, e ci suggerisce quella giusta: si tratta di studiare, di approfondire le conoscenze mantenendo un animo da "piccoli", uno spirito umile e semplice, come quello di Maria, la "Sede della Sapienza". Quante volte abbiamo avuto paura di avvicinarci alla Grotta di Betlemme perché preoccupati che ciò fosse di ostacolo alla nostra criticità e alla nostra "modernità"! Invece, in quella Grotta, ciascuno di noi può scoprire la verità su Dio e quella sull’uomo. In quel Bambino, nato dalla Vergine, esse si sono incontrate: l’anelito dell’uomo alla vita eterna ha intenerito il cuore di Dio, che non si è vergognato di assumere la condizione umana.


Cari amici, aiutare gli altri a scoprire il vero volto di Dio è la prima forma di carità, che per voi assume la qualifica di carità intellettuale. Ho appreso con piacere che il cammino di quest’anno della pastorale universitaria diocesana avrà per tema: "Eucaristia e carità intellettuale". Una scelta impegnativa ma appropriata. Infatti, in ogni Celebrazione eucaristica Dio viene nella storia in Gesù Cristo, nella sua Parola e nel suo Corpo, donandoci quella carità che ci permette di servire l’uomo nella sua concreta esistenza. Il progetto "Una cultura per la città", poi, offre una promettente proposta di presenza cristiana nell’ambito culturale. Mentre auspico che sia fruttuoso tale vostro itinerario, non posso non invitare tutti gli Atenei ad essere luoghi di formazione di autentici operatori della carità intellettuale. Da essi dipende largamente il futuro della società, soprattutto nell’elaborazione di una nuova sintesi umanistica e di una nuova capacità progettuale (cfr Enc. Caritas in veritate, 21). Incoraggio tutti i responsabili delle istituzioni accademiche a proseguire insieme, collaborando alla costruzione di comunità in cui tutti i giovani possano formarsi ad essere uomini maturi e responsabili per realizzare la "civiltà dell’amore".


Al termine di questa Celebrazione, la delegazione universitaria australiana consegnerà a quella africana l’icona di Maria Sedes Sapientiae. Affidiamo alla Vergine Santa tutti gli universitari del continente africano e l’impegno di cooperazione che in questi mesi, dopo il Sinodo Speciale per l’Africa, si va sviluppando tra gli Atenei di Roma e quelli africani. Rinnovo il mio incoraggiamento a questa nuova prospettiva di cooperazione ed auguro che da essa possano nascere e crescere progetti culturali capaci di promuovere un vero sviluppo integrale dell’uomo. Possa, cari amici, il prossimo Natale portare gioia e speranza a voi, alle vostre famiglie e a tutto l’ambiente universitario, a Roma e nel mondo intero.


© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana