venerdì 25 dicembre 2009

Omelia di Benedetto XVI per la Santa Messa della Notte nella Solennità della Natività del Signore




SANTE MESSE NEL NATALE DEL SIGNORE
VETUS ORDO  - NOVUS ORDO



Cari fratelli e sorelle,

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5). Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11). Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un “Dio con noi”. Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?

Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio musicale”. La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui. E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!


Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “'Andiamo fino a Betlemme' … Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola di san Benedetto dice: “Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)”. La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.


Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che “attraversare” (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, “attraversiamo”, andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.


Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avvenimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: “Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno” (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” (in Lc 22, 3).


Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.

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