sabato 28 aprile 2012

IV Domenica di Pasqua, Anno B - Domínica tértia post Pascha ( 29 aprile 2012)




29 APRILE 2012






Nel nome di Gesù Cristo la salvezza

Il dinamismo della potenza divina e liberatrice del Risorto, in forza del «nome di Gesù Cristo», continua ad agire attraverso coloro che egli ha costituito pastori della sua Chiesa perché, nel suo nome, conducano gli uomini alla salvezza. È in questa prospettiva che Pietro afferma la necessità dell’unico gregge sotto un solo pastore: «In nessun altro c'è salvezza» (prima lettura).

Un solo gregge e un solo pastore
La forza operatrice di unità che viene da Cristo è presentata nel vangelo di Giovanni sotto l'allegoria del buon pastore che da la vita per le pecore. Di ciò profeterà Caifa decidendo la morte di Gesù e l'evangelista commenterà: «... come sommo sacerdote, fece una profezia: disse che Gesù sarebbe morto per la nazione, e non soltanto per la nazione, ma anche per unire i figli di Dio dispersi» (cf Gv 11,49-52). È dunque Gesù stesso a far conoscere la relazione vitale che intercorre tra il pastore e le pecore e ad indicare alla Chiesa il cammino da percorrere per il conseguimento dell'unità.
Il buon pastore conosce le sue pecore ed esse conoscono lui, «come il Padre conosce me e io conosco il Padre» (vangelo). È una conoscenza profonda, reciproca, interpersonale che riflette la più intima unione possibile, quella esistente tra le persone del Padre, del Figlio e dello Spirito in seno alla vita trinitaria. Questa è la sorgente che attirerà al vero ovile di Cristo le pecore che ancora non vi appartengono e le renderà attente e capaci di riconoscere la sua voce, la voce di colui che dona la propria vita per la salvezza di tutti.

Unità e unicità della Chiesa
In forza dello Spirito — «per mezzo del quale il Signore Gesù chiamò e riunì nell'unità della fede, della speranza e della carità il popolo della nuova Alleanza» (UR 2) — tutte le Chiese sono sospinte nella ricerca dell'unità, per porre fine allo scandalo delle separazioni di chi si appella all'unico nome di Cristo: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo» perché, fatto uomo, con la redenzione rinnovasse il genere umano e lo radunasse insieme (cf 1 Gv 4,9; Col 1,18-20; Gv 11,52). Anche oggi «Gesù Cristo per mezzo della fedele predicazione del Vangelo, dell’amministrazione dei sacramenti e del governo amorevole da parte degli Apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi con a capo il successore di Pietro, sotto l'azione dello Spirito Santo, vuole che il suo popolo cresca e perfezioni la sua comunione nella unità: nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio.
Così la Chiesa, unico gregge di Dio, quale vessillo levato tra i popoli (cf Is 11,10-12), servendo a tutto il genere umano il Vangelo della pace (cf Ef 2,17-18; Mc 16,15) compie nella speranza il suo pellegrinaggio alla meta della patria celeste (cf Pt 1,3-9).
Questo è il sacro mistero dell'unità della Chiesa, in Cristo e per mezzo di Cristo, mentre lo Spirito Santo opera la varietà dei doni. Il supremo modello e principio di questo mistero è la unità nella Trinità delle persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo» (UR 2).

Eucaristia: segno e prefigurazione dell'unica Chiesa
Con il battesimo siamo diventati figli di Dio e tali siamo già adesso vivendo nel mondo: questa è la realtà radicale del nostro essere cristiani di fronte alla quale ci pone l'apostolo Giovanni (seconda lettura). La nostra assemblea eucaristica è dunque segno che già è avvenuta la riunione dei figli di Dio dispersi.
Nell'Eucaristia continua a costruirsi l'unità della Chiesa sul fondamento della Pasqua di Cristo: «La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo» (salmo responsoriale). Ci troviamo davanti a un succedersi di immagini le quali ci dicono che il Signore e il suo Spirito sono all'opera perché, attraverso l'economia del già e del non ancora, le singole Chiese avanzino progressivamente verso la ricomposizione dell'unità nell'unica Chiesa.
Per questo nella preghiera eucaristica ricordiamo «tutti gli uomini che cercano Dio con cuore sincero» e tutti coloro «dei quali solo Dio ha conosciuto la fede» (Preghiera eucaristica IV). Così pure, mentre invochiamo lo Spirito per essere da lui «riuniti in un solo corpo», pensiamo anche a «tutti gli uomini di buona volontà nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia» e ai quali lo stesso Spirito dà «la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (GS 22). Accettare questo mistero significa entrare in relazione con il Signore, conoscerlo, ascoltare la sua voce per giungere con sicurezza ai pascoli eterni del ciclo, accanto al Padre (cf colletta e orazione dopo la comunione). (CC Salesiano).




Cristo, buon pastore

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno papa
(Om. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130)

«Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le mie pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente: corrispondono all'amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre l'amore della verità.

Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non solo della conoscenza della fede, ma anche di quella dell'amore; non del solo credere, ma anche dell'operare. L'evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1 Gv 2, 4).

Perciò in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore «(Gv 10, 15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io conosco il Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore; cioè io dimostro in quale misura amo il Padre dall'amore con cui muoio per le pecore.

Di queste pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna (cfr. Gv 10, 14-16). Di esse aveva detto poco prima: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 9). Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall'atto di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel banchetto eterno.

Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli intimi gaudi del paradiso, ch'è eterna primavera? Infatti pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre lo si contempla senza paura di perderlo, l'anima si sazia senza fine del cibo della vita.

Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S'infervori la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s'infiammino per i beni superni. In tal modo amare sarà già un camminare.

Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno desidera raggiungere la metà stabilita, nessuna asperità del cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare.