lunedì 31 ottobre 2011

Quella beatitudine che attende ogni uomo (Inos Biffi)




Quella beatitudine che attende ogni uomo


di Inos Biffi

Ogni uomo nasce portando in sé, come motivo del suo esserci, quello di diventare conforme a Gesù Cristo, ossia la vocazione alla santità, che può essere esattamente definita come conformità a Gesù Cristo. D’altra parte, il motivo per cui Dio crea l’uomo è la sua associazione allo stesso destino del Signore, e quindi come predestinato in lui, anzi condestinato con lui. Nessun uomo è mai esistito, se non per questa ragione.

Non c’è mai stato spazio per un uomo puramente naturale, ideato fuori dalla grazia. Non che questa grazia sia necessaria. Sarebbe potuto esistere un uomo non in grazia; solo che noi ignoriamo come sarebbe stato, dal momento che un uomo estraneo al disegno di Cristo non è mai esistito, così come non è mai esistito un uomo con un duplice fine ultimo, quello che possiamo chiamare naturale e quello soprannaturale.

La beatitudine come comunione con la gloria di Gesù risorto è sempre stata l’unico fine dell’uomo, restando vero che ogni risorsa umana trova in essa la sua riuscita e il suo compimento. Il primo uomo è stato creato in grazia — scrive Tommaso d’Aquino — così come lo furono anche gli angeli (cfr. Summa Theologiae, I, 62,3; 95,1).

Ma sentiamo l’apostolo Paolo. Anzitutto egli afferma che Cristo «è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili»; che «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui»; che «egli è anche il capo del corpo della Chiesa»; ed «è principio di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose» (Colossesi, 1, 1-18). Senza relazione o riferimento a Cristo — va notato, infatti, che qui Paolo non parla del Verbo in sé, ma del Figlio di Dio risorto da morte — non esiste e non è mai esistito assolutamente nulla. Gesù rappresenta, noi diremmo, la causa strumentale («per mezzo di lui»), formale («in lui») e finale («in vista di lui») di tutto. Ogni cosa trova in lui la motivazione, il prototipo e il traguardo. Ed è precisamente quello che intendiamo dicendo che l’universo è creato in grazia, dal momento che Cristo è personalmente la Grazia.

In particolare, per quanto riguarda noi uomini, Paolo afferma che «siamo stati scelti in Cristo prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui, predestinandoci a essere per lui figli adottivi, mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà» (Efesini, 1, 4-5); il destino così assegnatoci da Dio è quello di essere «conformi all’immagine del Figlio suo», così che questi sia «il primogenito di molti fratelli» (Romani, 8, 29).

Tre cose allora risultano chiare: che la santità, prima di essere un proposito e una iniziativa dell’uomo, è una vocazione di Dio iscritta nella sua stessa creazione dell’uomo; che Dio stesso determina e delinea i tratti della santità, quale conformità a Gesù Cristo; e, infine, che nessuno è escluso, ma tutti vi sono chiamati, dal momento che — sono ancora parole di Paolo — «Cristo Gesù ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Timoteo, 2, 6). Dio non fa preferenze (cfr. 1 Pietro, 1, 17; Atti degli apostoli, 10, 34): quando un uomo è da lui creato, lo è unicamente perché sia suo figlio nel Figlio; del resto — come noterà san Tommaso — «il sangue di Cristo» è «la sola e unica causa di salvezza di ogni uomo» (Summa Theologiae, III¸60, 3, ob. 2).

Se la chiamata alla santità è inclusa nella natura e nel fine stesso dell’uomo, nessuna situazione storica, come tale, la può compromettere, nel senso che la grazia di essere santi è offerta a tutti, qualunque sia l’epoca o la cultura in cui si nasce, il popolo o la stirpe a cui si appartiene, le inclinazioni o il temperamento che uno si ritrova ad avere, fossero anche quelli meno umanamente felici e desiderabili.

Anzi, è proprio della potenza di Dio — che è poi la potenza della Croce — operare e riuscire nei grovigli più intricati e nelle circostanze più compromesse, più desolate, che il peccato originale ha lasciato come suo segno e sua eredità nello stato dell’uomo. Non vi è assolutamente nulla all’esterno dell’uomo o nel suo intimo che possa intralciare o compromettere l’eterna intenzione divina che lo vuole come suo figlio adottivo.

Il legame di amore, che in Cristo Gesù tiene stretto Dio all’uomo, fa stravincere l’uomo su tutto. A infrangerlo non riuscirebbero — direbbe Paolo — «né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura» (Romani, 8, 38-39). La santità non proviene da un frangente nativo che le risulti particolarmente propizio — un bel carattere, un ricco patrimonio di doti, un contesto sociale o familiare qualificati, o altro. Essa è sempre e per tutti un miracolo assoluto dell’onnipotenza divina, sufficiente in ogni circostanza, secondo le parole di Gesù: «Ti basta la mia grazia» (2 Corinzi, 12, 9): una grazia che sa tessere la trama del disegno divino, passando tra gli orditi umani che sembrano i meno adatti e convenienti. È così che avviene il prodigio di una santità multiforme. Nessun santo risulta uguale a un altro.

Ciascuno ha la sua fisionomia quale sintesi della propria nativa povertà e della onnipotente e illimitata fantasia di Dio, che non fa i santi in serie. Per questo non c’è motivo di rammarico, e non vi è ragione di invidiare qualcuno o essere gelosi di chi ci appare maggiormente provveduto di doti e di risorse; è stato l’identico amore di Dio che ci ha fatto nascere plasmati diversamente, ma allo stesso modo colmi della sua illimitata misericordia, della quale siamo tutti ugualmente, anche se differentemente, frutto.

Anzi, il primo e difficile atto di fede consiste nell’accettarci dalla mano di Dio con serenità, così come siamo, anche se sgraziati e sconnessi dal profilo umano, persuasi che la sua azione non viene affatto impedita dalle nostre carenze né compromessa dalle nostre scarsezze, e che alla sua volontà riesce l’impossibile. Tutto concorre al loro bene (cfr. Romani, 8, 28). E il Paradiso sarà così il luogo dove eternamente si canteranno le sue misericordie.

Che tutto sia grazia lo aveva, per così dire, scoperto Teresa di Lisieux, prima che Bernanos lo affermasse nel Journal d’un curé de campagne. A qualche mese dalla morte aveva osservato: «Se un mattino mi trovaste morta, non angustiatevi. Senza dubbio è una grande grazia ricevere i Sacramenti; ma, quando il buon Dio non lo permette, è bene lo stesso: tutto è grazia» (Derniers entretiens, 5 giugno 1897). Ma qui viene in mente anche la drammatica considerazione di Baudelaire, che Mauriac porta in esergo allo sconcertante romanzo Thérèse Desqueyroux: «Signore, abbi pietà, pietà di quelli e di quelle che sono folli! O Creatore! possono esistere dei mostri agli occhi di Colui che sa perché esistono, come essi “si sono fatti” e come avrebbero potuto “non farsi”?». Agli occhi degli uomini sì, ma a quelli di Dio non esistono dei miserabili. Ed ecco allora le parole di Teresa d’Avila, ancora una volta in esergo al non meno inquietante Le neud de vipères sempre di Mauriac: «O Dio, considerate che noi non comprendiamo noi stessi e che non sappiamo quello che vogliamo, e che ci allontaniamo infinitamente da quello che desideriamo».

Abbiamo detto che nessun impaccio è capace di inceppare l’intenzione salvifica di Dio: In realtà vi può essere un impedimento, quello rappresentato dallo sconcertante rigetto dell’uomo, che la può rifiutare. Ma allora non santo non è chi sia nato umanamente troppo limitato e carente, ma chi si è deliberatamente sottratto alla grazia. Solo Dio, comunque, vede chi è santo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi» (2 Timoteo, 2, 19).

Quanto alla Chiesa, induce la santità da alcuni sintomi significativi. Proponendo, poi, con la canonizzazione qualche cristiano a modello, non intende affatto escludere che ce ne siano altri anche più santi, e che essa ignora; né si propone di insegnare che quel discepolo di Cristo debba essere semplicemente «copiato», o che sia imitabile in tutto quello che ha fatto, ma soltanto che, secondo il suo giudizio illuminato dallo Spirito Santo, l’insieme conclusivo della sua vita può essere un esempio e un riferimento anche per noi. Ognuno ha la propria via alla santità. Soltanto Gesù Cristo è assolutamente imitabile in tutto e in ogni momento della sua vita.

© L'Osservatore Romano 1 novembre 2011

Tutti i Santi (s) 1 novembre



1 NOVEMBRE


Calendario Liturgico 2011 - Pag. 4 di 4 - Messale Romano e Liturgia delle Ore

Affrettiamoci verso i fratelli che ci aspettano

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)

A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E' chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro.

Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri.

Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all'assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.

Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell'anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l'aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non è certo disdicevole, perché una tale fame di gloria è tutt'altro che pericolosa.

Vi è un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed è quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati.

Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo.

Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita è nascosta con lui in Dio.

Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostri corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che è lui stesso.

Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci è necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere.

domenica 30 ottobre 2011

Benedetto XVI alla Recita dell'Angelus in Piazza San Pietro (30 ottobre 2011)




BENEDETTO XVI

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 30 ottobre 2011

Cari fratelli e sorelle!

Nella liturgia di questa domenica, l’apostolo Paolo ci invita ad accostare il Vangelo «non come parola di uomini, ma come è veramente, quale Parola di Dio» (1 Ts 2,13). In questo modo possiamo accogliere con fede gli ammonimenti che Gesù rivolge alla nostra coscienza, per assumere un comportamento conforme ad essi. Nel brano odierno, Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore. Gesù sottolinea che costoro «dicono e non fanno» (Mt 23,3); anzi, «legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). La buona dottrina va accolta, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente. Per questo Gesù dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere» (Mt 23,3). L’atteggiamento di Gesù è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui (cfr Mt 11,29-30).

Pensando ai maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità, San Bonaventura indica chi è l’autentico Maestro, affermando: «Nessuno può insegnare e nemmeno operare, né raggiungere le verità conoscibili senza che sia presente il Figlio di Dio» (Sermo I de Tempore, Dom. XXII post Pentecosten, Opera omnia, IX, Quaracchi, 1901, 442). «Gesù siede sulla “cattedra” come il Mosè più grande, che estende l’Alleanza a tutti i popoli» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 89). È Lui il nostro vero e unico Maestro! Siamo, pertanto, chiamati a seguire il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, che esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso. Scrive il beato Antonio Rosmini: «Il primo maestro forma tutti gli altri maestri, come pure forma gli stessi discepoli, perché [sia gli uni che gli altri] esistono soltanto in virtù di quel primo tacito, ma potentissimo magistero» (Idea della Sapienza, 82, in: Introduzione alla filosofia, vol. II, Roma 1934, 143). Gesù condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare «per essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5) pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona.

Cari amici, il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore. Dal suo esempio scaturisce la proposta di vita: «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Mt 23,11). Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima e preghiamo, in particolare, per quanti nella comunità cristiana sono chiamati al ministero dell’insegnamento, affinché possano sempre testimoniare con le opere le verità che trasmettono con la parola.



Dopo l'Angelus


Cari fratelli e sorelle,

vorrei esprimere la mia vicinanza alle popolazioni della Thailandia colpite da gravi inondazioni, come pure, in Italia, a quelle della Liguria e della Toscana, recentemente danneggiate dalle conseguenze di forti piogge. Assicuro per loro la mia preghiera.

Je suis heureux de saluer ce matin les pèlerins de langue française, particulièrement la paroisse Saint-Nicolas, de la Principauté de Monaco. Alors que s’achève le mois du Rosaire, je vous invite à vous tourner avec confiance vers la Vierge Marie. À son école, apprenons à connaître Jésus, son Fils, afin de marcher à sa suite sur les chemins de l’Évangile. Que la tendresse maternelle de la Mère du Seigneur apporte à chacun réconfort et soutien, en particulier aux personnes qui souffrent ou qui sont dans l’épreuve ! Bon dimanche à tous !

I am pleased to greet the English-speaking visitors and pilgrims present. In the Gospel of today’s liturgy, Christ urges us to combine humility with our charitable service towards our brothers and sisters. Indeed, may we always imitate his perfect example of service in our daily lives. I invoke God’s blessings upon all of you!

Von Herzen grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Im heutigen Evangelium verbindet der Herr wahre menschliche Größe mit der Haltung des Dienens. Der Dienende macht deutlich, wie wir auf Gottes Liebe antworten können. Im Dienen öffnen wir unser Herz für den Herrn, der selbst gekommen ist, nicht um bedient zu werden, sondern um zu dienen. Zugleich werden wir zu den Menschen gesandt, um auch ihnen mit unserer Liebe zu dienen. Gott befähigt uns dazu, daß in allem, was wir tun, seine Liebe zu uns durchscheinen kann. Bitten wir darum, Diener Gottes und damit Diener der Menschen sein zu können. – Dazu schenke der Herr euch allen seinen Segen.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de la parroquia de Santa María Magdalena, de La Nou de Gaià. En el Evangelio de este domingo, el Señor nos exhorta a comportarnos siempre con rectitud de espíritu, entregándonos de corazón al servicio de nuestros hermanos como verdaderos hijos de Dios. Pidamos a la Virgen María, nuestra Madre celestial, que interceda por nosotros para que, cada vez más unidos interiormente a Cristo, sepamos dar un testimonio eficaz de su amor. Feliz domingo.

Saúdo agora os peregrinos de língua portuguesa, de modo especial os fiéis brasileiros da Paróquia de São Cristovão, da Diocese de São João da Boa Vista. Possa esta visita a Roma confirmar a vossa fé, como os Apóstolos Pedro e Paulo, na Boa Nova de Jesus Cristo! Por ela, sabemos que somos filhos no Filho e entramos no seio da Santíssima Trindade. Desça, sobre vós e vossas famílias, a minha Bênção Apostólica.

Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. W dzisiejszej Ewangelii słyszymy: „Jeden jest Ojciec wasz, Ten w niebie i jeden jest wasz Nauczyciel, Chrystus” (por. Mt 23, 8-9). To On uczy nas jak żyć miłością Ojca. Dlatego pochodzące od Ojca zasady moralne Ewangelii, nie mogą być przedmiotem wątpliwości, przetargów, dyskusji. Ewangelia wiedzie nas do konkretnych czynów, w których przejawia się miłość pochodząca od Boga Ojca. Na ich wypełnianie z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Nel Vangelo odierno abbiamo sentito: “Uno solo è il Padre vostro, quello celeste e uno solo è il vostro Maestro, il Cristo (cfr. Mt 23, 8-9). È Lui che ci insegna come vivere l’amore del Padre. Per questo i principi morali provenienti dal Padre non possono essere oggetto di dubbio, di contrattazione, di discussione. Il Vangelo ci conduca alle opere concrete, nelle quali si manifesta l’amore che proviene da Dio Padre. Per questo impegno vi benedico di cuore.]

Rivolgo un cordiale saluto alle Religiose Figlie di Cristo Re, insieme con i collaboratori laici che condividono il loro carisma e la loro missione. Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Commessaggio, i ragazzi dell’Oratorio di Petosino, il gruppo di anziani di Brunello e gli alunni della Scuola “Settanni” di Rutigliano. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie. Buona domenica!

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sabato 29 ottobre 2011

XXXI Domenica del Tempo Ordinario, Anno A - Dómini Nostri Iesu Christi Regis- Domínica ultima octobris (30 ottobre 2011)



DOMENICA, 30 OTTOBRE 2011



Calendario Liturgico 2011 - Pag. 4 di 4 - Messale Romano e Liturgia delle Ore

Promuovere la pace

Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Nn. 78)

La pace non è semplicemente assenza di guerra, né si riduce solamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze contrastanti e neppure nasce da un dominio dispotico, ma si definisce giustamente e propriamente «opera della giustizia» (Is 32, 17). Essa è frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo fondatore. E' un bene che deve essere attuato dagli uomini che anelano ad una giustizia sempre più perfetta.

Il bene comune del genere umano è regolato nella sua sostanza dalla legge eterna, ma, con il passare del tempo, è soggetto, per quanto riguarda le sue esigenze concrete, a continui cambiamenti. Perciò la pace non è mai acquisita una volta per tutte, ma la si deve costruire continuamente. E siccome per di più la volontà umana è labile e, oltre tutto, ferita dal peccato, l'acquisto della pace richiede il costante dominio delle passioni di ciascuno e la vigilanza della legittima autorità.

Tuttavia questo non basta ancora. Una pace così configurata non si può ottenere su questa terra se non viene assicurato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi in tutta libertà e fiducia le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. Per costruire la pace, poi sono assolutamente necessarie la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli, l'impegno di ritener sacra la loro dignità e, infine, la pratica continua della fratellanza. Così la pace sarà frutto anche dell'amore, che va al di là quanto la giustizia da sola può dare.

La pace terrena, poi, che nasce dall'amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo che promana da Dio Padre. Infatti lo stesso Figlio di Dio, fatto uomo, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio e, ristabilendo l'unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha distrutto nella sua carne l'odio (cfr. Ef 2, 16; Col 1, 20. 22). Nella gloria della sua risurrezione ha diffuso nei cuori degli uomini lo Spirito di amore.

Perciò tutti i cristiani sono fortemente chiamati a «vivere secondo la verità nella carità» (Ef 4, 15) e a unirsi con gli uomini veramente amanti della pace per implorarla e tradurla in atto.

Mossi dal medesimo Spirito, non possiamo non lodare coloro che, rinunziando ad atti di violenza nel rivendicare i loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono del resto alla portata anche dei più deboli, purché questo si possa fare senza ledere i diritti e i doveri degli altri o della comunità.

venerdì 28 ottobre 2011

Congedo del Santo Padre Benedetto XVI (Piazza San Francesco, 27 ottobre 2011)




CONGEDO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Assisi, Piazza San Francesco
Giovedì, 27 ottobre 2011



Illustri Ospiti,
cari Amici,

Al termine di questa intensa giornata desidero ringraziare voi tutti. Viva gratitudine va a coloro che hanno reso possibile l’incontro odierno. Ringraziamo in particolare chi, ancora una volta, ci ha ospitato: la città di Assisi, la comunità di questa Diocesi con il suo Vescovo, i figli di San Francesco, che custodiscono la preziosa eredità spirituale del Poverello di Assisi. Un grazie anche ai numerosi giovani che hanno compiuto il pellegrinaggio a piedi da Santa Maria degli Angeli per testimoniare come, tra le nuove generazioni, siano in tanti ad impegnarsi per superare violenze e divisioni, ed essere promotori di giustizia e di pace.

Today’s event is an image of how the spiritual dimension is a key element in the building of peace. Through this unique pilgrimage we have been able to engage in fraternal dialogue, to deepen our friendship, and to come together in silence and prayer.

After renewing our commitment to peace and exchanging with one another a sign of peace, we feel even more profoundly involved, together with all the men and women from the communities that we represent, in our common human journey.

We are not being separated; we will continue to meet, we will continue to be united in this journey, in dialogue, in the daily building of peace and in our commitment to a better world, a world in which every man and woman and every people can live in accordance with their own legitimate aspirations.

From my heart I thank all of you here present for having accepted my invitation to come to Assisi as pilgrims of truth and peace and I greet each one of you in Saint Francis’ own words: May the Lord grant you peace – “il Signore ti dia pace”.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

giovedì 27 ottobre 2011

Santi Simone e Giuda, apostoli (f) 28 ottobre



28 OTTOBRE


Calendario Liturgico 2011 - Pag. 4 di 4 - Messale Romano e Liturgia delle Ore

Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi

Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo
(Lib. 12, 1; PG 74, 707-710)

Nostro Signore Gesù Cristo stabilì le guide, i maestri del mondo e i dispensatori dei suoi divini misteri. Volle inoltre che essi risplendessero come luminari e rischiassero non soltanto il paese dei Giudei, ma anche tutti gli altri che si trovano sotto il sole e tutti gli uomini che popolano la terra. E' verace perciò colui che afferma: «Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio» (Eb 5, 4). Nostro Signore Gesù Cristo ha rivestito gli apostoli di una grande dignità a preferenza di tutti gli altri discepoli.

I suoi apostoli furono le colonne e il fondamento della verità. Cristo afferma di aver dato loro la stessa missione che ebbe dal Padre. Mostrò così la grandezza dell'apostolato e la gloria incomparabile del loro ufficio, ma con ciò fece comprendere anche qual è la funzione del ministero apostolico.

Egli dunque pensava di dover mandare i suoi apostoli allo stesso modo con cui il Padre aveva mandato lui. Perciò era necessario che lo imitassero perfettamente e per questo conoscessero esattamente il mandato affidato al Figlio dal Padre. Ecco perché spiega molte volte la natura della sua missione. Una volta dice: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione (cfr. Mt 9, 13). Un'altra volta afferma: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6, 38). Infatti «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 17).

Riassumendo perciò in poche parole le norme dell'apostolato, dice di averli mandati come egli stesso fu mandato dal Padre, perché da ciò imparassero che il loro preciso compito era quello di chiamare i peccatori a penitenza, di guarire i malati sia di corpo che di spirito, di non cercare nell'amministrazione dei beni di Dio la propria volontà, ma quella di colui da cui sono stati inviati e di salvare il mondo con il suo genuino insegnamento.

Fino a qual punto gli apostoli si siano sforzati di segnalarsi in tutto ciò, non sarà difficile conoscerlo se si leggeranno anche solo gli Atti degli Apostoli e gli scritti di san Paolo.

Intervento del Santo Padre Benedetto XVI (Basilica di Santa Maria degli Angeli, 27 ottobre 2011)




INTERVENTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Assisi, Basilica di Santa Maria degli Angeli
Giovedì, 27 ottobre 2011



Cari fratelli e sorelle,
distinti Capi e rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali e delle religioni del mondo,
cari amici,

sono passati venticinque anni da quando il beato Papa Giovanni Paolo II invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni del mondo ad Assisi per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenuto da allora? A che punto è oggi la causa della pace? Allora la grande minaccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta in due blocchi contrastanti tra loro. Il simbolo vistoso di questa divisione era il muro di Berlino che, passando in mezzo alla città, tracciava il confine tra due mondi. Nel 1989, tre anni dopo Assisi, il muro cadde – senza spargimento di sangue. All’improvviso, gli enormi arsenali, che stavano dietro al muro, non avevano più alcun significato. Avevano perso la loro capacità di terrorizzare. La volontà dei popoli di essere liberi era più forte degli arsenali della violenza. La questione delle cause di tale rovesciamento è complessa e non può trovare una risposta in semplici formule. Ma accanto ai fattori economici e politici, la causa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale. La volontà di essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenza che non aveva più alcuna copertura spirituale. Siamo riconoscenti per questa vittoria della libertà, che fu soprattutto anche una vittoria della pace. E bisogna aggiungere che in questo contesto si trattava non solamente, e forse neppure primariamente, della libertà di credere, ma anche di essa. Per questo possiamo collegare tutto ciò in qualche modo anche con la preghiera per la pace.

Ma che cosa è avvenuto in seguito? Purtroppo non possiamo dire che da allora la situazione sia caratterizzata da libertà e pace. Anche se la minaccia della grande guerra non è in vista, tuttavia il mondo, purtroppo, è pieno di discordia. Non è soltanto il fatto che qua e là ripetutamente si combattono guerre – la violenza come tale è potenzialmente sempre presente e caratterizza la condizione del nostro mondo. La libertà è un grande bene. Ma il mondo della libertà si è rivelato in gran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene fraintesa anche come libertà per la violenza. La discordia assume nuovi e spaventosi volti e la lotta per la pace deve stimolare in modo nuovo tutti noi.

Cerchiamo di identificare un po’ più da vicino i nuovi volti della violenza e della discordia. A grandi linee – a mio parere – si possono individuare due differenti tipologie di nuove forme di violenza che sono diametralmente opposte nella loro motivazione e manifestano poi nei particolari molte varianti. Anzitutto c’è il terrorismo, nel quale, al posto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devono colpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza alcun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudelmente uccise o ferite. Agli occhi dei responsabili, la grande causa del danneggiamento del nemico giustifica ogni forma di crudeltà. Viene messo fuori gioco tutto ciò che nel diritto internazionale era comunemente riconosciuto e sanzionato come limite alla violenza. Sappiamo che spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il carattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la crudeltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto a motivo del “bene” perseguito. La religione qui non è a servizio della pace, ma della giustificazione della violenza.

La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da dove sapete quale sia la vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dal fatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteranno: ma esiste veramente una natura comune della religione, che si esprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste domande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo realistico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi. Qui si colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso – un compito che da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato. Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è “Dio dell’amore e della pace” (2 Cor 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo.

Se una tipologia fondamentale di violenza viene oggi motivata religiosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circa la loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una seconda tipologia di violenza dall’aspetto multiforme ha una motivazione esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò. I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa una fonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quindi la scomparsa della religione. Ma il “no” a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio.

Qui non vorrei però soffermarmi sull’ateismo prescritto dallo Stato; vorrei piuttosto parlare della “decadenza” dell’uomo, in conseguenza della quale si realizza in modo silenzioso, e quindi più pericoloso, un cambiamento del clima spirituale. L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l’uomo, ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degenera, ad esempio, in una brama sfrenata e disumana quale si manifesta nel dominio della droga con le sue diverse forme. Vi sono i grandi, che con essa fanno i loro affari, e poi i tanti che da essa vengono sedotti e rovinati sia nel corpo che nell’animo. La violenza diventa una cosa normale e minaccia di distruggere in alcune parti del mondo la nostra gioventù. Poiché la violenza diventa cosa normale, la pace è distrutta e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso.

L’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo. Ma dov’è Dio? Lo conosciamo e possiamo mostrarLo nuovamente all’umanità per fondare una vera pace? Riassumiamo anzitutto brevemente le nostre riflessioni fatte finora. Ho detto che esiste una concezione e un uso della religione attraverso il quale essa diventa fonte di violenza, mentre l’orientamento dell’uomo verso Dio, vissuto rettamente, è una forza di pace. In tale contesto ho rimandato alla necessità del dialogo, e parlato della purificazione, sempre necessaria, della religione vissuta. Dall’altra parte, ho affermato che la negazione di Dio corrompe l’uomo, lo priva di misure e lo conduce alla violenza.

Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: “Non esiste alcun Dio”. Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile. Per questo ho appositamente invitato rappresentanti di questo terzo gruppo al nostro incontro ad Assisi, che non raduna solamente rappresentanti di istituzioni religiose. Si tratta piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto. In conclusione, vorrei assicurarvi che la Chiesa cattolica non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegno per la pace nel mondo. Siamo animati dal comune desiderio di essere “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Vi ringrazio.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana


mercoledì 26 ottobre 2011

Il cardinale Jean-Louis Tauran sulla giornata di Assisi "Chiarezza, fiducia e prudenza cardini del dialogo tra le religioni"




Il cardinale Jean-Louis Tauran sulla giornata di Assisi

Chiarezza, fiducia e prudenza
cardini del dialogo tra le religioni

di Mario Ponzi

Chiarezza, dolcezza, fiducia e prudenza. Sono le quattro caratteristiche del dialogo tra le religioni, indicate da Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam del 1964. A quelle parole fa riferimento il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, per spiegare — in questa intervista al nostro giornale — su quali direttrici si muove oggi il dialogo tra i credenti di diverse religioni. Un dialogo che appare sempre più importante in questi anni tormentati, perché «quando i fanatismi rischiano di sfigurare le religioni — dice il porporato — è ancor più necessario che i credenti, tutti i credenti, cerchino di conoscersi meglio e di comprendersi reciprocamente».

Assisi propone di nuovo la questione del dialogo tra cristiani e altre religioni. Quali sono i motivi che portano i cristiani ad accettare di dialogare con persone di altre religioni?

Partiamo da una considerazione molto semplice: viviamo in società pluralistiche, con etnie, culture e religioni diverse. Ma al di là di queste differenze, tutte le persone, credenti o non credenti, si pongono — secondo quanto diceva Kant — tre domande fondamentali: «cosa posso conoscere, cosa devo fare, cosa posso sperare». È in questo contesto che si colloca il dialogo interreligioso. Quando i fanatismi rischiano di sfigurare le religioni, diventa ancor più necessario che i credenti cerchino di comprendersi reciprocamente, di condividere il loro patrimonio spirituale, rispettando la libertà di ciascuno, al fine di considerare che cosa possono fare insieme per il bene comune. Siccome nella storia le religioni non hanno sempre favorito la concordia e la pace, è più che mai necessario, in tempi di globalizzazione, dimostrare che tutte le religioni, in realtà, sono chiamate a essere messaggeri di fraternità. Passando a considerazioni più elaborate, dobbiamo ricordare l’unità del genere umano, creato da un Dio unico. Inoltre, essendo la ragione lo specifico dell’uomo, la ricerca della verità accomuna credenti e uomini di buona volontà. Come dice la Nostra aetate, «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». In un mondo che favorisce il «meticciato» — per riprendere un espressione cara al cardinale Scola — e la diversità, la Chiesa cattolica non cessa di promuovere il rispetto, l’incontro e la solidarietà.

Come si articola il dialogo con i non cristiani?

Il dialogo interreligioso ha lo scopo di conoscere la religione altrui, di considerare ciò che ci accomuna e ciò che ci divide, e di vedere come i credenti possano mettere a disposizione dell’intera società le energie che vengono dal fatto di credere. Per noi cattolici, esiste una fraternità fondamentale tra tutti i membri della famiglia umana e una volontà di salvezza di Dio per tutta l’umanità, offerta nel Cristo. Noi cristiani non possiamo rinunciare all’annuncio, alla proposta, e allo stesso tempo dobbiamo riconoscere che Cristo è anche presente ed attivo in maniera misteriosa nelle realtà umane e nelle tradizioni religiose dell’umanità. La testimonianza dialogante dei credenti si realizza concretamente attraverso quattro modalità: il dialogo della vita; il dialogo delle opere; il dialogo teologico; il dialogo dello scambio delle esperienze religiose. Abbiamo un dialogo con gli ebrei (del quale si occupa il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani), con i musulmani, con i buddisti, con gli indù, e speriamo di sviluppare quello con le religioni tradizionali africane. È importante ricordare che il dialogo interreligioso non è un dialogo teorico tra le religioni, ma un dialogo tra i credenti, e questo dialogo, secondo Paolo VI, deve possedere quattro caratteristiche: la chiarezza, la dolcezza, la fiducia e la prudenza, come si legge nell’enciclica Ecclesiam suam.

Qual è il senso della preghiera che si tiene ad Assisi?

Prima di tutto, conviene osservare che credenti che pregano, ciascuno nel rispetto della propria tradizione religiosa e delle tradizioni altrui — non si tratta di dare l’impressione che cerchiamo di far nascere una specie di religione universale — ricordano che l’uomo non vive di solo pane. Nel silenzio, al quale Benedetto XVI vuol dare particolare rilievo, essi potranno ricordarsi che il Dio unico è all’opera in ogni uomo e donna di questa terra, che ha un piano su tutta l’umanità e che desidera che la terra sia la terra di tutti: «I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra, e hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce», come afferma la Nostra aetate. Benedetto XVI ha anche invitato rappresentanti degli uomini e delle donne in cerca di Dio, che sono ancora nel «cortile dei gentili». Non possiamo dimenticare l’atteggiamento di san Paolo nei loro riguardi nell’aeropago di Atene, nonché quanto scriveva: «In Gesù Cristo non c’è più straniero né schiavo, né uomini liberi, ma tutti siamo salvati da Gesù Cristo». Così Paolo si farà giudeo coi giudei e pagano coi pagani per la salvezza loro. Paolo VIene da Tarso, ove la cultura era greco-romana, ha studiato a Gerusalemme ove la cultura era ebraica, ha poi dedicato la sua vita a predicare un cristianesimo davvero universale. La Chiesa è universale fin dall’inizio.

Significativa la presenza dei musulmani nonostante la coincidenza con il pellegrinaggio alla Mecca e la conferenza di Doha

Sì, questa volta i musulmani sono più numerosi che le altre volte, ma potrebbero esserlo ancora di più se l’incontro non coincidesse proprio con questi appuntamenti. Con loro ricorderemo che, come si legge nella Nostra aetate, «la Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». Questi momenti di amicizia vissuti con i nostri amici musulmani saranno un’occasione per fare luce sulle cause che tante volte impediscono un progresso sostenuto nelle nostre relazioni. Tanta ignoranza da una parte e dall’altra è spesso alla base delle difficoltà che incontriamo. Tanto rimane da fare al livello delle scuole e delle università, perché le religioni vengano presentate nella loro integrità e in maniera equanime. Mi pare che tutto il significato dell’incontro di Assisi, sia riassunto nelle parole pronunciate dal Papa all’Angelus del 1° gennaio di quest’anno: «Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio».

© L'Osservatore Romano 27 ottobre 2011

Benedetto XVI: Preghiera in preparazione all'Incontro di Assisi (26 ottobre 2011)



BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 26 ottobre 2011




Preghiera in preparazione all'Incontro di Assisi

Pellegrini della Verità, Pellegrini della Pace


Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi nella Basilica di San Pietro e di rivolgere il mio cordiale benvenuto a tutti voi che purtroppo non avete trovato posto nell’Aula Paolo VI. Vi incoraggio a rafforzare la vostra adesione al Vangelo per essere sempre disponibili e pronti a compiere la volontà del Signore. Con questi voti, di cuore imparto a tutti voi la mia Benedizione, che volentieri estendo alle vostre famiglie e alle persone care.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

oggi il consueto appuntamento dell’Udienza generale assume un carattere particolare, poiché siamo alla vigilia della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, che si terrà domani ad Assisi, a venticinque anni dal primo storico incontro convocato dal Beato Giovanni Paolo II. Ho voluto dare a questa giornata il titolo “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”, per significare l’impegno che vogliamo solennemente rinnovare, insieme con i membri di diverse religioni, e anche con uomini non credenti ma sinceramente in ricerca della verità, nella promozione del vero bene dell’umanità e nella costruzione della pace. Come ho già avuto modo di ricordare, “Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio”.

Come cristiani, siamo convinti che il contributo più prezioso che possiamo dare alla causa della pace è quello della preghiera. Per questo motivo ci ritroviamo oggi, come Chiesa di Roma, insieme ai pellegrini presenti nell’Urbe, nell’ascolto della Parola di Dio, per invocare con fede il dono della pace. Il Signore può illuminare la nostra mente e i nostri cuori e guidarci ad essere costruttori di giustizia e di riconciliazione nelle nostre realtà quotidiane e nel mondo.

Nel brano del profeta Zaccaria che abbiamo appena ascoltato è risuonato un annuncio pieno di speranza e di luce (cfr Zc 9,10). Dio promette la salvezza, invita ad “esultare grandemente” perché questa salvezza si sta per concretizzare. Si parla di un re: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso” (v. 9), ma quello che viene annunciato non è un re che si presenta con la potenza umana, la forza delle armi; non è un re che domina con il potere politico e militare; è un re mansueto, che regna con l’umiltà e la mitezza di fronte a Dio e agli uomini, un re diverso rispetto ai grandi sovrani del mondo: “cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”, dice il profeta (ibidem). Egli si manifesta cavalcando l’animale della gente comune, del povero, in contrasto con i carri da guerra degli eserciti dei potenti della terra. Anzi, è un re che farà sparire questi carri, spezzerà gli archi di battaglia, annuncerà la pace alle nazioni (cfr v. 10).


Ma chi è questo re di cui parla il profeta Zaccaria? Andiamo per un momento a Betlemme e riascoltiamo ciò che l’Angelo dice ai pastori che vegliavano di notte facendo guardia al proprio gregge. L’Angelo annuncia una gioia che sarà di tutto il popolo, legata ad un segno povero: un bambino avvolto in fasce, posto in una mangiatoia (cfr Lc 2,8-12). E la moltitudine celeste canta “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (v. 14), agli uomini di buona volontà. La nascita di quel bambino, che è Gesù, porta un annuncio di pace per tutto il mondo. Ma andiamo anche ai momenti finali della vita di Cristo, quando Egli entra in Gerusalemme accolto da una folla festante. L’annuncio del profeta Zaccaria dell’avvento di un re umile e mansueto tornò alla mente dei discepoli di Gesù in modo particolare dopo gli eventi della passione, morte e risurrezione, del Mistero pasquale, quando riandarono con gli occhi della fede a quel gioioso ingresso del Maestro nella Città Santa. Egli cavalca un asina, presa in prestito (cfr Mt 21,2-7): non è su di una ricca carrozza, non è a cavallo come i grandi. Non entra in Gerusalemme accompagnato da un potente esercito di carri e di cavalieri. Egli è un re povero, il re di coloro che sono i poveri di Dio. Nel testo greco appare il termine praeîs, che significa i mansueti, i miti; Gesù è il re degli anawim, di coloro che hanno il cuore libero dalla brama di potere e di ricchezza materiale, dalla volontà e dalla ricerca di dominio sull’altro. Gesù è il re di quanti hanno quella libertà interiore che rende capaci di superare l’avidità, l’egoismo che c’è nel mondo, e sanno che Dio solo è la loro ricchezza. Gesù è re povero tra i poveri, mite tra quelli che vogliono essere miti. In questo modo Egli è re di pace, grazie alla potenza di Dio, che è la potenza del bene, la potenza dell’amore. E’ un re che farà sparire i carri e i cavalli da battaglia, che spezzerà gli archi da guerra; un re che realizza la pace sulla Croce, congiungendo la terra e il cielo e gettando un ponte fraterno tra tutti gli uomini. La Croce è il nuovo arco di pace, segno e strumento di riconciliazione, di perdono, di comprensione, segno che l’amore è più forte di ogni violenza e di ogni oppressione, più forte della morte: il male si vince con il bene, con l’amore.

E’ questo il nuovo regno di pace in cui Cristo è il re; ed è un regno che si estende su tutta la terra. Il profeta Zaccaria annuncia che questo re mansueto, pacifico, dominerà “da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra” (Zc 9,10). Il regno che Cristo inaugura ha dimensioni universali. L’orizzonte di questo re povero, mite non è quello di un territorio, di uno Stato, ma sono i confini del mondo; al di là di ogni barriera di razza, di lingua, di cultura, Egli crea comunione, crea unità. E dove vediamo realizzarsi nell’oggi questo annuncio? Nella grande rete delle comunità eucaristiche che si estende su tutta la terra riemerge luminosa la profezia di Zaccaria. E’ un grande mosaico di comunità nelle quali si rende presente il sacrificio di amore di questo re mansueto e pacifico; è il grande mosaico che costituisce il “Regno di pace” di Gesù da mare a mare fino ai confini del mondo; è una moltitudine di “isole della pace”, che irradiano pace. Dappertutto, in ogni realtà, in ogni cultura, dalle grandi città con i loro palazzi, fino ai piccoli villaggi con le umili dimore, dalle possenti cattedrali alle piccole cappelle, Egli viene, si rende presente; e nell’entrare in comunione con Lui anche gli uomini sono uniti tra di loro in un unico corpo, superando divisione, rivalità, rancori. Il Signore viene nell’Eucaristia per toglierci dal nostro individualismo, dai nostri particolarismi che escludono gli altri, per formare di noi un solo corpo, un solo regno di pace in un mondo diviso.

Ma come possiamo costruire questo regno di pace di cui Cristo è il re? Il comando che Egli lascia ai suoi Apostoli e, attraverso di loro, a tutti noi è: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli… Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19). Come Gesù, i messaggeri di pace del suo regno devono mettersi in cammino, devono rispondere al suo invito. Devono andare, ma non con la potenza della guerra o con la forza del potere. Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù invia settantadue discepoli alla grande messe che è il mondo, invitandoli a pregare il Signore della messe perché non manchino mai operai nella sua messe (cfr Lc 10,1-3); ma non li invia con mezzi potenti, bensì “come agnelli in mezzo ai lupi” (v. 3), senza borsa, bisaccia, né sandali (cfr v. 4). San Giovanni Crisostomo, in una delle sue Omelie, commenta: “Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore” (Omelia 33, 1: PG 57, 389). I cristiani non devono mai cedere alla tentazione di diventare lupi tra i lupi; non è con il potere, con la forza, con la violenza che il regno di pace di Cristo si estende, ma con il dono di sé, con l’amore portato all’estremo, anche verso i nemici. Gesù non vince il mondo con la forza delle armi, ma con la forza della Croce, che è la vera garanzia della vittoria. E questo ha come conseguenza per chi vuole essere discepolo del Signore, suo inviato, l’essere pronto anche alla passione e al martirio, a perdere la propria vita per Lui, perché nel mondo trionfino il bene, l’amore, la pace. E’ questa la condizione per poter dire, entrando in ogni realtà: “Pace a questa casa” (Lc 10,5).

Davanti alla Basilica di San Pietro, si trovano due grandi statue dei santi Pietro e Paolo, facilmente identificabili: san Pietro tiene in mano le chiavi, san Paolo invece tiene nelle mani una spada. Per chi non conosce la storia di quest’ultimo potrebbe pensare che si tratti di un grande condottiero che ha guidato possenti eserciti e con la spada ha sottomesso popoli e nazioni, procurandosi fama e ricchezza con il sangue altrui. Invece è esattamente il contrario: la spada che tiene tra le mani è lo strumento con cui Paolo venne messo a morte, con cui subì il martirio e sparse il suo proprio sangue. La sua battaglia non fu quella della violenza, della guerra, ma quella del martirio per Cristo. La sua unica arma fu proprio l’annuncio di “Gesù Cristo e Cristo crocifisso” (1Cor 2,2). La sua predicazione non si basò “su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza” (v. 4). Dedicò la sua vita a portare il messaggio di riconciliazione e di pace del Vangelo, spendendo ogni sua energia per farlo risuonare fino ai confini della terra. E questa è stata la sua forza: non ha cercato una vita tranquilla, comoda, lontana dalle difficoltà, dalle contrarietà, ma si è consumato per il Vangelo, ha dato tutto se stesso senza riserve, e così è diventato il grande messaggero della pace e della riconciliazione di Cristo. La spada che san Paolo tiene nelle mani richiama anche la potenza della verità, che spesso può ferire, può far male; l’Apostolo è rimasto fedele fino in fondo a questa verità, l’ha servita, ha sofferto per essa, ha consegnato la sua vita per essa. Questa stessa logica vale anche per noi, se vogliamo essere portatori del regno di pace annunciato dal profeta Zaccaria e realizzato da Cristo: dobbiamo essere disposti a pagare di persona, a soffrire in prima persona l’incomprensione, il rifiuto, la persecuzione. Non è la spada del conquistatore che costruisce la pace, ma la spada del sofferente, di chi sa donare la propria vita.

Cari fratelli e sorelle, come cristiani vogliamo invocare da Dio il dono della pace, vogliamo pregarlo che ci renda strumenti della sua pace in un mondo ancora lacerato da odio, da divisioni, da egoismi, da guerre, vogliamo chiedergli che l’incontro di domani ad Assisi favorisca il dialogo tra persone di diversa appartenenza religiosa e porti un raggio di luce capace di illuminare la mente e il cuore di tutti gli uomini, perché il rancore ceda il posto al perdono, la divisione alla riconciliazione, l’odio all’amore, la violenza alla mitezza, e nel mondo regni la pace. Amen.



APPELLO

Cari fratelli e sorelle, prima di salutarvi nelle diverse lingue, comincio con un appello. In questo momento, il pensiero va alle popolazioni della Turchia duramente colpite dal terremoto, che ha causato gravi perdite di vite umane, numerosi dispersi e ingenti danni. Vi invito ad unirvi a me nella preghiera per coloro che hanno perso la vita e ad essere spiritualmente vicini a tante persone così duramente provate. L’Altissimo dia sostegno a tutti coloro che sono impegnati nell’opera di soccorso. Adesso saluto nelle diverse lingue.






Saluti:

Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier les membres de l’Association internationale Foi et Lumière, ainsi que le groupe de Cambrai avec l’archevêque, Monseigneur François Garnier, les paroisses et les jeunes venant de France et de Suisse. Je vous invite à prier pour la rencontre qui aura lieu demain à Assise avec des représentants des communautés chrétiennes, de diverses religions et des personnalités du monde de la culture et de la science. Puisse ce pèlerinage de la vérité et de la paix nous encourager à marcher toujours vers Dieu, et renforcer notre engagement au service de la paix. Bon séjour à tous !

I am happy to welcome all the English-speaking pilgrims and visitors here today. I ask you to accompany me in prayer as I journey tomorrow to Assisi for the celebration of the Day of Reflection, Dialogue and Prayer for Peace and Justice in the World, together with representatives of different religions. I extend special greetings to the pilgrims from the Diocese of Niigata in Japan celebrating their centenary. I also welcome those present from England, Denmark, Indonesia, the Philippines, South Korea, Vietnam and the United States. May Almighty God bless all of you!

Liebe Brüder und Schwestern aus den Ländern deutscher Sprache! Danke! Einen herzlichen Gruß richte ich zunächst an die Teilnehmer der Romwallfahrt des Internationalen Kolpingwerks. Seit der Seligsprechung von Adolph Kolping sind zwanzig Jahre vergangen. Wir hoffen alle, daß die Heiligsprechung nahe ist, aber wir brauchen noch Gebet dazu, damit wir das Wunder erhalten, das nötig ist. Aber ich freue mich, daß so viele gekommen sind, und ich sehe darin doch die Kraft des Kolpingwerks, welche eine Kraft des Glaubens in unserem Land ist. Wie ihr wißt und soeben gehört habt, werde ich morgen in Assisi zusammen mit Vertretern verschiedener Religionen einen Tag der Reflexion, des Gesprächs und des Gebets für den Frieden und die Gerechtigkeit in der Welt halten. Ich möchte euch einladen, euch im Gebet mit mir zu verbinden und den Herrn um seinen Segen für ein friedliches Miteinander aller Menschen und Völker zu bitten. Der dreifaltige Gott begleite uns bei unserem Reden und Tun und lasse uns stets seiner Nähe gewiß sein. Euch allen wünsche ich einen frohen Aufenthalt in Rom.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los venidos de España, México, Costa Rica, Argentina y otros países latinoamericanos. Invito a todos a ser incansables en construir la paz, y pedir al Señor que este don de su gracia reine en las naciones y en el corazón de todos los hombres.

Uma saudação amiga e encorajadora para todos os peregrinos de língua portuguesa, com menção especial dos grupos brasileiros de Aracajú, Cachoeira Paulista, Gama, Recife e Rio de Janeiro. Conto com a vossa oração pelos Representantes das várias Religiões que amanhã se reúnem em Assis, a bem da justiça e da paz sobre a terra. Sobre vós e vossos familiares, desça a minha Bênção.

Saluto in lingua polacca:

Drodzy Polacy, Bracia i Siostry. Serdecznie pozdrawiam was obecnych tu w Bazylice Świętego Piotra przy grobach apostolskich, przy ołtarzu błogosławionego Jana Pawła II. Niech waszą wiarę umocni spotkanie w tym świętym miejscu. Z serca wam błogosławię.

[Cari fratelli e sorelle polacchi. Saluto cordialmente voi qui presenti nella Basilica di San Pietro accanto ai sepolcri degli apostoli e all’altare del beato Giovanni Paolo II. Che la presenza in questo santo posto rafforzi la vostra fede. Vi benedico di cuore.]

Słowa pozdrowienia kieruję do polskich pielgrzymów. Jutro w Asyżu odbędzie się spotkanie z przedstawicielami religii świata na rzecz pokoju. W związku z tym organizowane jest w Polsce, w Bydgoszczy, sympozjum europejskich ekspertów na temat dialogu pomiędzy kulturami, cywilizacjami i religiami. Życzę im owocnej refleksji. Wam wszystkim tu obecnym i waszym bliskim z serca błogosławię.

Traduzione italiana:

Rivolgo una parola di saluto ai pellegrini polacchi. Domani ad Assisi si svolgerà l’incontro con i rappresentanti delle religioni del mondo per la causa della pace. In concomitanza viene organizzato in Polonia, a Bydgoszcz, un simposio degli esperti europei sul tema del dialogo tra culture, civiltà e religioni. Auguro loro una fruttuosa riflessione. Benedico di cuore voi, qui presenti, e i vostri cari.

Saluto in lingua croata:

Od srca pozdravljam sve hrvatske hodočasnike. Dragi prijatelji, okupljeni na nedjeljnom euharistijskom slavlju oko stola Gospodnjeg, hranite se Njegovim tijelom i krvlju kako biste živjeli u zajedništvu s Njime. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Saluto di cuore i pellegrini Croati. Cari amici, radunati intorno all’altare del Signore per l’Eucaristia domenicale, nutritevi con il Suo Corpo e Sangue affinché viviate in comunione con Lui. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua ceca:

Srdečně zdravím české poutníky. Drazí přátelé, žádám i vás, abyste duchovně provázeli Den reflexí, dialogu a modlitby za pokoj a spravedlnost ve světě, který se zítra bude konat v Assisi. Všem vám žehnám. Chvála Kristu.

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua ceca. Cari amici, anche a voi chiedo di accompagnare spiritualmente la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo che si terrà domani ad Assisi. A tutti la mia Benedizione. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Srdečne pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne zo Skalice, Blatného, Bystričian, Turčianskeho Petra, Trnavy a Žiliny.
Bratia a sestry, pozývam vás zjednotiť sa duchovne v modlitbe za Deň reflexie a dialógu, ktorý sa bude konať zajtra v Assisi. S láskou žehnám vás i vašich drahých.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi, specialmente quelli provenienti da Skalica, Blatné, Bystričany, Turčiansky Peter, Trnava e Žilina.
Fratelli e sorelle, vi invito ad unirvi spiritualmente alla preghiera per la Giornata di riflessione e dialogo che si svolgerà domani ad Assisi. Con affetto benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Lepo pozdravljam romarje iz Martjancev v Sloveniji!
Naj vam sveta apostola Peter in Pavel, ki sta svoje zaupanje v Gospoda Jezusa ohranila vse do mučeniške smrti, izprosita tako močno vero, da je ne bodo omajale nobene preizkušnje. Naj bo z vami moj blagoslov!

Traduzione italiana:

Rivolgo un caro saluto ai pellegrini provenienti da Martjanci in Slovenia!
I santi Apostoli Pietro e Paolo che conservarono la loro fiducia nel Signore Gesù fino al loro martirio, intercedano per voi affinché otteniate una fede così salda che nessuna prova potrà mai far vacillare. Vi accompagni la mia benedizione!

* * *

E infine rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i giovani dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, accompagnati dal loro Pastore Mons. Giovan Battista Pichierri, e gli alunni della scuola “Sacro Cuore” di Roma. Su tutti invoco, per intercessione della Vergine Maria, ogni desiderato bene e formulo fervidi voti che ciascuno possa rendere una generosa testimonianza cristiana.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. L’esempio di San Francesco d’Assisi, sulla cui tomba sosterò domani in preghiera, sostenga voi, cari giovani, nell'impegno di quotidiana fedeltà a Cristo; incoraggi voi, cari ammalati, a seguire sempre Gesù nel cammino della prova e della sofferenza; aiuti voi, cari sposi novelli, a fare della vostra famiglia il luogo del costante incontro con l'amore di Dio e dei fratelli. Grazie a voi tutti. Buona giornata.

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