Il sacerdozio alla luce dell’Eucaristia
di Robert Imbelli
Molti teologi avallano l’idea che una delle caratteristiche del cattolicesimo sia la tendenza a evidenziare l’et et. Professiamo Gesù sia come Dio sia come uomo. Affermiamo sia le Scritture sia la Tradizione. Insistiamo che la Chiesa vive sia della grazia invisibile sia dei sacramenti visibili. Tuttavia, nella pratica, i cattolici troppo spesso cadono in modalità di pensiero binario. Un diffuso pensiero di questo genere riguarda il sacerdozio. Ci viene detto di frequente che il concilio Vaticano II ha sostituito un «modello cultuale» di sacerdozio con un «modello di servizio», cadendo così in un inutile aut aut.
Il compianto Papa Giovanni Paolo II non ha mai scritto un’enciclica sul sacerdozio. Tuttavia, la sua ultima enciclica Ecclesia de Eucharistia ha sottolineato il rapporto intimo fra l’Eucaristia e la Chiesa. Egli ha insegnato che tutta la Chiesa «vive del Cristo eucaristico, da Lui è nutrita, da Lui è illuminata» (n. 6) e ha spesso ripetuto che l’Eucaristia è «centro e vertice della vita della Chiesa» (n. 31).
Se avesse scritto un’enciclica sul sacerdozio, Giovanni Paolo II l’avrebbe potuta intitolare Il sacerdote nella Chiesa la cui vita proviene da Cristo nell’Eucaristia. Infatti il sacerdote non è certo al di fuori della Chiesa. È uno dei fedeli: un membro della comunità dei battezzati che sono stati lavati nelle acque rigeneranti del Battesimo. Come tutte le sue sorelle e tutti i suoi fratelli è chiamato da Cristo alla santità di vita.
Nello stesso tempo, in virtù della sua ordinazione sacramentale, il sacerdote è ordinato all’Eucaristia in modo peculiare e distintivo. Dal punto di vista sacramentale rappresenta Gesù Cristo che, attraverso il suo mistero pasquale, è divenuto Eucaristia e continua a nutrire la sua Chiesa con il suo corpo glorificato. Come insegna il Vaticano II: il sacerdote ordinato «compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo» (Lumen gentium, 10). Il ministero sacerdotale non si limita alla celebrazione eucaristica in un senso strettamente cultuale. Piuttosto, l’Eucaristia centra e orienta tutta la vita e tutto il ministero del sacerdote. Tutto il resto proviene da essa e ad essa ritorna. Il sacerdote è soprattutto il servitore di Cristo nell’Eucaristia. Quindi sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno spesso esortato il sacerdote, che presiede l’Eucaristia, a porsi egli stesso alla «scuola» dell’Eucaristia per poter istruire il suo popolo nel modo eucaristico di Cristo. Suggerisco che il sacerdote lo faccia in tre modi: guidando una celebrazione devota dell’Eucaristia, formando una comunità eucaristica e promuovendo una pratica eucaristica.
Innanzitutto, con la sua celebrazione devota dell’Eucaristia il sacerdote svolge una funzione mistagogica. Attraverso il linguaggio fervido, riverente e silenzioso del corpo spinge l’assemblea al di là di se stessa per trovare il suo centro in Gesù Cristo, l’unico sposo della Chiesa. La collocazione dell’altare, ad orientem o versus populum, perde importanza di fronte al fervore del sacerdote nell’evocare il senso del mistero trascendente in cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo.
In secondo luogo, la rappresentazione sacramentale del sacerdote della presenza del Dio vivente nella comunità deve, per sua natura, ispirare e sostenere il ministero volto a favorire la crescita della comunità stessa rendendola comunità eucaristica. Ciò include, ma va anche oltre, la promozione della «partecipazione attiva» alla liturgia, tanto auspicata dal concilio. Questo implica il discernimento e l’incoraggiamento della condivisione dei molteplici doni dello Spirito presenti nella comunità. Il sacerdote ha la responsabilità speciale di promuovere nella comunità locale questa consapevolezza e condivisione eucaristiche. Infatti, lo scambio concreto di doni è criterio importante per discernere la vitalità delle nostre comunità.
Infine, il sacerdote, ponendosi con la sua comunità «alla scuola dell’Eucaristia» giungerà a comprendere di nuovo che la celebrazione e la contemplazione eucaristiche della comunità devono sfociare nella pratica eucaristica. La proclamazione liturgica «la Messa è finita andate in pace per amare e servire il Signore» è un’esortazione al servizio, in particolare verso i più bisognosi. Di certo, le azioni individuali di aiuto e di servizio alla famiglia, al prossimo e alla parrocchia sono le responsabilità più a portata di mano. Comunque, in un momento di crescente interdipendenza e globalizzazione, le comunità locali devono impegnarsi nel compito più esigente di discernimento strutturale: leggere i segni dei tempi alla luce del Vangelo. Vivere il sacerdozio ordinato alla luce dell’Eucaristia significa riscoprire il cuore mistico della vita e del ministero sacerdotali. Gesù Cristo, veramente presente nell’Eucaristia, capo datore di vita del suo Corpo, la Chiesa, è l’origine e il fine dell’esistenza sacerdotale. Presiedere e guidare, insegnare e apprendere nella comunità eucaristica è la vocazione onnicomprensiva del sacerdote ordinato. E la sua gioia infinita.
© L'Osservatore Romano 14 ottobre 2011