un’esistenza nella Grazia
di Salvatore M. Perrella
Nel cuore del tempo liturgico dell’Avvento di nostro Signore, la Chiesa celebra con gioia e riconoscenza la solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, la creatura tota pulchra che continuamente richiama le grandi «opere di Dio» (cfr. Luca 1, 49), tra cui emerge il singolare dono di una «pienezza di grazia» (cfr. Luca 1, 28) che l’ha resa gradita a Dio e ammirata dagli uomini! Tale stato di permanente vicinanza al Dio di Gesù Cristo è stato sancito come dogma fidei l’8 dicembre 1854 da Pio IX (1846-1878), dopo una plurisecolare gestazione e controversia teologica. Per cui la Chiesa, non ignorando l’importaza del fondamento biblico, appellandosi al sensus fidei del popolo cristiano o al suo equivalente sensus Ecclesiae, ha voluto affermare sia la preservazione dal peccato originale, fin dal primo istante del concepimento di Maria, in vista del suo servizio alla persona e all’opera del Figlio di Dio da lei generato in concorso con lo Spirito Santo nella pienezza del tempo (cfr. Galati 4, 4), sia la sua santità originale intesa come «pienezza di redenzione». La Vergine Maria è santa perché ciò che si oppone alla santità, il peccato, la superbia, l’infedeltà, il vizio, l’idolatria, non l’hanno mai sfiorata; ella è la più vicina a Dio e per questo è anche «la più vicina agli uomini» (Paolo VI), la mai allontanata, per pura Grazia e per pertinace e umile corrispondenza, a Dio che l’ha chiamata a entrare in modo singolare come Madre e Serva della divina Parola nell’Alleanza dell’Unigenito del Padre. A tal riguardo, asserisce Benedetto XVI nella preghiera mariana con i fedeli convenuti in piazza San Pietro domenica 6 dicembre 2009: «La Parola di Dio è il soggetto che muove la storia, ispira i profeti, prepara la via al Messia, convoca la Chiesa[…]. Il fiore più bello germogliato dalla Parola di Dio è la Vergine Maria. Lei è la primizia della Chiesa, giardino di Dio sulla terra. Ma mentre Maria è immacolata […] nella Chiesa è sempre in atto una lotta tra il deserto e il giardino, tra il peccato che inaridisce la terra e la Grazia che la irriga perché produca frutti abbondanti di santità».
L’Immacolata Concezione di Maria è dono e frutto della sola Gratia, che mediante il Battesimo irrobustisce e accompagna la persona credente nel suo impegnativo itinerario storico e di fede, rendendola capace di non lasciarsi ammaliare dal peccato e dal male o di non edulcorarne la pericolosità e la perniciosità in virtù di una stucchevole quanto improponibile cristiana etica della bontà, che attinge da religioni «indifferentemente equivalenti» quei valori che servono ad una buona convivenza sociale. Come magistralmente scriveva il teologo domenicano H. De Lubac: «Se siamo cristiani, non possiamo dimenticare quella piccola cosa molto semplice e molto popolare […] che si chiama il peccato. È impossibile non tenerne conto, se si cerca seriamente la liberazione dell’uomo» (Il dramma dell’umanesimo ateo, Jaca Book, Milano 1992, p. 364). Lungi dal voler rinverdire una sorta di manicheismo antropologico o una più soffusa scissione tra natura e sopranatura, il sola Gratia ricorda all’uomo storico: — che a meno di Dio non si può proprio fare, e che questo Dio non può che essere personalmente incontrato come Colui che, salvando, dona un’identità vocazionale all’uomo e alla donna, chiamandoli contemporaneamente ad essere «pietra viva nella sua Chiesa» (cfr. 1 Pietro 2, 4-5); — la necessità della Grazia in ordine alla salvezza spinge i discepoli del Santo di Dio a non sottovalutare la necessità dell’annuncio, mettendo da parte ogni strumentale teorizzazione di un «cristianesimo anonimo» (e in fin dei conti di ogni soggettivismo empirico); — a non accontentarsi di un cristianesimo «culturale», ove la pregnanza della sequela e della conversione all’obbedienza della Parola vengano diluiti in un deismo di ritorno che si accontenta della pratica di virtù relazionali, ancorché di «matrice cristiana»; — che la morale cristiana è fortemente ancorata e fondata nella cristologia e essa non è da intendere come «opera meritoria», ma come il frutto di una vita gioiosa rigenerata dalla Spirito (cfr. Gàlati 5, 22), e quindi consequenziale rispetto alla preminenza della fede sgorgata come risposta all’Amore che risana e cristifica. Ma soprattutto, il sola Gratia insegnato e celebrato dalla Chiesa nel mistero dell’Immacolata, ammonisce ogni persona che il suo destino non è un abbandonarsi ad una vita costellata di colpe e di angoscia per non essere mai all’altezza del Dono. Tale liberazione interiore è causata da un incommensurabile e generoso perdono divino che chiede semplicemente di essere accolto con umiltà e gioia da un cuore sapiente e consapevole del suo essere contemporaneamente «vittima e carnefice» del male personale e sociale frutto di un ascolto e di una sequela sbagliata che non hanno voluto e saputo porsi dinanzi a Dio come la creatura Maria di Nazaret.
© L'Osservatore Romano 8 dicembre 2011
© L'Osservatore Romano 8 dicembre 2011