mercoledì 3 novembre 2010

CATECHESI DEL SANTO PADRE ALL'UDIENZA GENERALE - 3 novembre 2010


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 3 novembre 2010


Margherita d'Oingt

Cari fratelli e sorelle,

con Margherita d'Oingt, di cui vorrei parlarvi oggi, siamo introdotti nella spiritualità certosina, che si ispira alla sintesi evangelica vissuta e proposta da san Bruno. Non ci è nota la sua data di nascita, benché qualcuno la collochi intorno al 1240. Margherita proviene da una potente famiglia di antica nobiltà del Lionese, gli Oingt. Sappiamo che la madre si chiamava pure Margherita, che aveva due fratelli - Guiscardo e Luigi - e tre sorelle: Caterina, Isabella e Agnese. Quest’ultima la seguirà in monastero, nella Certosa, succedendole poi come priora.

Non abbiamo notizie circa la sua infanzia, ma dai suoi scritti possiamo intuire che sia trascorsa tranquilla, in un ambiente familiare affettuoso. Infatti, per esprimere l’amore sconfinato di Dio, ella valorizza molto immagini legate alla famiglia, con particolare riferimento alle figure del padre e della madre. In una sua meditazione prega così: “Bel dolce Signore, quando penso alle speciali grazie che mi hai fatto per tua sollecitudine: innanzi tutto, come mi hai custodita fin dalla mia infanzia, e come mi hai sottratta dal pericolo di questo mondo e mi hai chiamata a dedicarmi al tuo santo servizio, e come mi hai provvista in tutte quelle cose che mi erano necessarie per mangiare, bere, vestire e calzare, (e lo hai fatto) in tal modo che non ho avuto occasione di pensare in tutte queste cose che alla tua grande misericordia” (Margherita d’Oingt, Scritti spirituali, Meditazione V, 100, Cinisello Balsamo 1997, p. 74).
Margherita d'Oingt
Sempre dalle sue meditazioni, intuiamo che entrò nella Certosa di Poleteins in risposta alla chiamata del Signore, lasciando tutto e accettando la severa regola certosina, per essere totalmente del Signore, per stare sempre con Lui. Ella scrive: “Dolce Signore, io ho lasciato mio padre e mia madre e i miei fratelli e tutte le cose di questo mondo per tuo amore; ma questo è pochissimo, poiché le ricchezze di questo mondo non sono che spine pungenti; e chi più ne possiede più è sfortunato. E per questo mi sembra di non aver lasciato altro che miseria e povertà; ma tu sai, dolce Signore, che se io possedessi mille mondi e potessi disporne a mio piacimento, abbandonerei tutto per amore tuo; e quand'anche tu mi dessi tutto ciò che possiedi in cielo e in terra, non mi riterrei appagata finché non avessi te, perché tu sei la vita dell'anima mia, né ho né voglio avere padre e madre fuori di te” (ibid., Meditazione II, 32, p. 59).

Anche della sua vita nella Certosa possediamo pochi dati. Sappiamo che nel 1288 ne divenne la quarta priora, incarico che mantenne fino alla morte, avvenuta l’11 febbraio 1310. Dai suoi scritti, comunque, non emergono particolari svolte nel suo itinerario spirituale. Ella concepisce tutta la vita come un cammino di purificazione fino alla piena configurazione a Cristo. Cristo è il Libro che va scritto, va inciso quotidianamente nel proprio cuore e nella propria vita, in particolare la sua passione salvifica. Nell’opera Speculum, Margherita, riferendosi a se stessa in terza persona, sottolinea che per grazia del Signore “aveva inciso nel suo cuore la santa vita che Dio Gesù Cristo condusse sulla terra, i suoi buoni esempi e la sua buona dottrina. Ella aveva messo così bene il dolce Gesù Cristo nel suo cuore che le sembrava perfino che questi le fosse presente e che tenesse un libro chiuso nella sua mano, per istruirla” (ibid., I, 2-3, p. 81). “In questo libro ella trovava scritta la vita che Gesù Cristo condusse sulla terra, dalla sua nascita all'ascesa al cielo” (ibid., I, 12, p. 83).

Quotidianamente, fin dal mattino, Margherita si applica allo studio di questo libro. E, quando l’ha ben guardato, inizia a leggere nel libro della propria coscienza, che rivela le falsità e le menzogne della sua vita (cfr ibid., I, 6-7, p. 82); scrive di sé per giovare agli altri e per fissare più profondamente nel proprio cuore la grazia della presenza di Dio, per far sì, cioè, che ogni giorno la sua esistenza sia segnata dal confronto con le parole e le azioni di Gesù, con il Libro della vita di Lui. E questo perché la vita di Cristo sia impressa nell’anima in modo stabile e profondo, fino a poter vedere il Libro all’interno, ossia fino a contemplare il mistero di Dio Trinità (cfr ibid., II, 14-22; III, 23-40, p. 84-90).

Attraverso i suoi scritti, Margherita ci offre qualche spiraglio sulla sua spiritualità, permettendoci di cogliere alcuni tratti della sua personalità e delle sue doti di governo. È una donna molto colta; scrive abitualmente in latino, la lingua degli eruditi, ma scrive pure in franco provenzale e anche questo è una rarità: i suoi scritti sono, così, i primi, di cui si ha memoria, redatti in questa lingua. Vive un’esistenza ricca di esperienze mistiche, descritte con semplicità, lasciando intuire l’ineffabile mistero di Dio, sottolineando i limiti della mente nell’afferrarlo e l’inadeguatezza della lingua umana nell’esprimerlo. Ha una personalità lineare, semplice, aperta, di dolce carica affettiva, di grande equilibrio e acuto discernimento, capace di entrare nelle profondità dello spirito umano, di coglierne i limiti, le ambiguità, ma pure le aspirazioni, la tensione dell’anima verso Dio. Mostra una spiccata attitudine al governo, coniugando la sua profonda vita spirituale mistica con il servizio alle sorelle e alla comunità. In questo senso è significativo un passo di una lettera a suo padre: “Mio dolce padre, vi comunico che mi trovo tanto occupata a causa dei bisogni della nostra casa, che non mi è possibile applicare lo spirito in buoni pensieri; infatti ho tanto da fare che non so da quale lato girarmi. Noi non abbiamo raccolto grano nel settimo mese dell'anno e i nostri vigneti sono stati distrutti dalla tempesta. Inoltre, la nostra chiesa si trova in così cattive condizioni che siamo obbligati in parte a rifarla” (ibid., Lettere, III, 14, p. 127).


Una monaca certosina delinea così la figura di Margherita: “Attraverso la sua opera ci rivela una personalità affascinante, dall’intelligenza viva, orientata verso la speculazione e, allo stesso tempo, favorita da grazie mistiche: in una parola, una donna santa e saggia che sa esprimere con un certo umorismo un’affettività tutta spirituale” (Una Monaca Certosina, Certosine, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, Roma 1975, col. 777). Nel dinamismo della vita mistica, Margherita valorizza l’esperienza degli affetti naturali, purificati dalla grazia, quale mezzo privilegiato per comprendere più profondamente ed assecondare con più prontezza e ardore l'azione divina. Il motivo risiede nel fatto che la persona umana è creata ad immagine di Dio, e perciò è chiamata a costruire con Dio una meravigliosa storia d’amore, lasciandosi coinvolgere totalmente dalla sua iniziativa.

Il Dio Trinità, il Dio amore che si rivela nel Cristo l’affascina, e Margherita vive un rapporto di amore profondo verso il Signore e, per contrasto, vede l’ingratitudine umana fino alla viltà, fino al paradosso della croce. Ella afferma che la croce di Cristo è simile alla tavola del parto. Il dolore di Gesù sulla croce è paragonato a quello di una madre. Scrive: “La madre che mi portò in grembo, soffrì fortemente, nel darmi alla luce, per un giorno o per una notte, ma tu, bel dolce Signore, per me sei stato tormentato non una notte o un giorno soltanto ma per più di trent'anni […]; quanto amaramente hai patito a causa mia per tutta la vita! E allorché giunse il momento del parto, il tuo travaglio fu tanto doloroso che il tuo santo sudore divenne come gocce di sangue che scorrevano per tutto il tuo corpo fino a terra” (ibid., Meditazione I, 33, p. 59).

Margherita, evocando i racconti della Passione di Gesù, contempla questi dolori con profonda compassione: “Tu sei stato deposto sul duro letto della croce, in modo tale da non poterti muovere o girare o agitare le tue membra così come suol fare un uomo che patisce un grande dolore, poiché sei stato completamente steso e ti sono stati conficcati i chiodi […] e […] sono stati lacerati tutti i tuoi muscoli e le tue vene. […] Ma tutti questi dolori […] ancora non ti bastavano, tanto che volesti che il tuo fianco venisse squarciato dalla lancia così crudelmente da far sì che il tuo docile corpo fosse del tutto arato e straziato; e il tuo prezioso sangue sgorgava con tanta violenza da formare una larga strada, quasi fosse un grande ruscello”. Riferendosi a Maria afferma: “Non c'era da meravigliarsi che la spada che ti ha spezzato il corpo sia anche penetrata nel cuore della tua gloriosa madre che tanto amava sostenerti […] poiché il tuo amore è stato superiore a tutti gli altri amori” (ibid., Meditazione II, 36-39.42, p 60s).

Cari amici, Margherita d’Oingt ci invita a meditare quotidianamente la vita di dolore e di amore di Gesù e quella di sua Madre, Maria. Qui è la nostra speranza, il senso del nostro esistere. Dalla contemplazione dell’amore di Cristo per noi nascono la forza e la gioia di rispondere con altrettanto amore, mettendo la nostra vita a servizio di Dio e degli altri. Con Margherita diciamo anche noi: “Dolce Signore, tutto ciò che hai compiuto, per amore mio e di tutto il genere umano, mi provoca ad amarti, ma il ricordo della tua santissima passione dona un vigore senza eguali alla mia potenza d'affetto per amarti. E’ per questo che mi sembra […] di aver trovato ciò che ho così tanto desiderato: non amare niente altro che te o in te o per amore tuo” (ibid., Meditazione II, 46, p. 62).

A prima vista questa figura di certosina medievale, come pure tutta la sua vita, il suo pensiero, appaiono molto lontani da noi, dalla nostra vita, dal nostro modo di pensare e di agire. Ma se guardiamo all'essenziale di questa vita, vediamo che tocca anche noi e dovrebbe divenire essenziale anche nella nostra esistenza.

Abbiamo sentito che Margherita ha considerato il Signore come un libro, ha fissato lo sguardo sul Signore, lo ha considerato come uno specchio nel quale appare anche la propria coscienza. E da questo specchio è entrata luce nella sua anima: ha lasciato entrare la parola, la vita di Cristo nel proprio essere e così è stata trasformata; la coscienza è stata illuminata, ha trovato criteri, luce ed è stata pulita. Proprio di questo abbiamo bisogno anche noi: lasciare entrare le parole, la vita, la luce di Cristo nella nostra coscienza perché sia illuminata, capisca ciò che è vero e buono e ciò che è male; che sia illuminata e pulita la nostra coscienza. La spazzatura non c'è solo in diverse strade del mondo. C'è spazzatura anche nelle nostre coscienze e nelle nostre anime. È solo la luce del Signore, la sua forza e il suo amore che ci pulisce, ci purifica e ci dà la retta via. Quindi seguiamo santa Margherita in questo sguardo verso Gesù. Leggiamo nel libro della sua vita, lasciamoci illuminare e pulire, per imparare la vera vita. Grazie.


Saluti:

J’accueille avec joie les pèlerins francophones présents ce matin, en particulier le Collège Hellénique de Thessalonique, en Grèce. Recueillant le message de Sainte Marguerite d’Oingt, je vous invite à contempler chaque jour la vie de Jésus et de sa Mère, Marie. Vous y trouverez le sens de l’existence, et vous aurez la force et la joie de vous mettre au service de Dieu et du prochain. Bon pèlerinage à tous!

As I welcome all the English-speaking visitors this morning, I am especially pleased to greet the delegation from the Anti-Defamation League, as well as the representatives of Pittsburgh’s Jewish and Catholic communities. Upon them and upon all the English-speaking visitors present at today’s Audience, especially the pilgrim groups from Ireland, Denmark, Sweden, Japan, the Philippines, Canada and the United States of America, I invoke the Almighty’s abundant blessings of grace and peace.

Ganz herzlich begrüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache, und natürlich heute besonders die Seminaristen des Erzbischöflichen Studienseminars St. Michael in Traunstein, mein eigenes Seminar, wie ihr wißt. Marguerite d’Oingt sei uns ein Vorbild, der Liebe Gottes zu uns mit einem freudigen Einsatz für unsere Mitmenschen zu antworten. Der Herr begleite euch auf allen euren Wegen.


Saludo a los grupos de lengua española, en particular a los peregrinos de Alcobendas, así como a los demás fieles provenientes de España, México y otros países latinoamericanos. Os invito a que me acompañéis con vuestra ferviente oración durante el próximo fin de semana, en el que realizaré una visita pastoral a Santiago de Compostela, uniéndome así a los peregrinos que llegan hasta los pies del Apóstol en este Año Santo. Iré también a Barcelona, donde tendré la alegría de dedicar el maravilloso templo de la Sagrada Familia, obra del genial arquitecto Antoni Gaudí. Voy como testigo de Cristo Resucitado, con el deseo de llevar a todos su Palabra, en la que pueden encontrar luz para vivir con dignidad y esperanza para construir un mundo mejor. Muchas gracias.

Prezados peregrinos de língua portuguesa, a minha saudação amiga para todos, de modo particular para os fiéis brasileiros das dioceses de Bragança Paulista e de Passo Fundo. Sei que buscais a imensidade de Deus para os horizontes demasiado estreitos, onde a vida por vezes se perde e agoniza. Cristo é o caminho para o infinito que buscais: pode parecer estreita a passagem, mas o resultado é maravilhoso, como no-lo asseguram os Santos. De coração vos dou a minha Bênção, extensiva às vossas famílias.

Saluto in lingua polacca:

Serdecznie witam polskich pielgrzymów. Minione dni, w których wspominaliśmy wszystkich świętych i wszystkich wiernych zmarłych, uświadomiły nam na nowo, że nasze życie „zmienia się, ale się nie kończy”, a wszyscy jesteśmy wezwani do świętości. Oby każdy dzień przeżywany w miłości Boga i bliźniego przybliżał nas do chwały świętych w niebie. Na tej drodze niech wam towarzyszy Boże błogosławieństwo.

Traduzione italiana:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini polacchi. I giorni scorsi, nei quali abbiamo commemorato tutti i santi e tutti i fedeli defunti, di nuovo ci hanno ricordato che la nostra vita “non è tolta ma trasformata”, e che tutti siamo chiamati alla santità. Ogni giorno vissuto nell’amore di Dio e del prossimo ci avvicini alla gloria dei santi in cielo. In questo cammino vi accompagni sempre la benedizione di Dio.

Saluto in lingua ungherese:

Isten hozta a magyar zarándokokat! Szeretettel köszöntelek Benneteket, elsősorban a győri, a bágyogszováti és a szombathelyi csoportot. Tegnapelőtt tartottuk Mindenszentek ünnepét, megemlékezve mindazokról, akik számunkra utat mutatnak a mennyei dicsőség felé. Az ő példájuk nyomán törekedjünk mi is az evangélium melletti tanúságtételre.§
Apostoli áldásommal. Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Il mio saluto ai pellegrini ungheresi, specialmente ai membri dei gruppi venuti da Győr, Bágyogszovát e da Szombathely. L’altroieri abbiamo celebrato la solennità di Tutti i santi che ci hanno preceduto nella gloria celeste. Possa il loro esempio spingerci ad una vita di autentica testimonianza del Vangelo. Volentieri vi imparto la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Radosno pozdravljam i blagoslivljam sve hrvatske hodočasnike! U vjeri i ljubavi proživite ovozemaljski život čineći dobro te se jednom pridružili Svima Svetima u nebeskoj slavi. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Con gioia saluto e benedico tutti i pellegrini Croati. Vivete su questa terra nella fede e nell’amore, facendo il bene, affinché un giorno possiate unirvi a tutti i santi nella gloria celeste. Siano lodati Gesù e Maria!

* * *

Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alla delegazione della città di Manoppello, guidata dal Vescovo di Chieti-Vasto, Mons. Bruno Forte, e alle Suore della Presentazione di Maria Santissima al Tempio. Cari amici, vi ringrazio di cuore per la vostra presenza, ed auspico che quest’incontro rafforzi in voi generosi propositi di testimonianza evangelica e di impegno nel servizio del bene comune.

Rivolgo il mio saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. La Solennità di Tutti i Santi e la Commemorazione dei fedeli defunti, che abbiamo appena celebrato, come pure la prossima memoria di San Carlo Borromeo, di cui ricorre il quarto anniversario della canonizzazione, ci offrono l’opportunità di riflettere, ancora una volta, sull’autentico significato dell’esistenza terrena e sul suo valore per l’eternità.

Questi giorni di riflessione e di preghiera costituiscano per voi, cari giovani, un invito a imitare l’eroismo dei Santi, che hanno speso la vita a servizio di Dio e del prossimo. Siano di grande conforto per voi, cari ammalati, associati al mistero della passione di Cristo. Diventino un’occasione propizia per voi, cari sposi novelli, per comprendere sempre meglio che siete chiamati a testimoniare con la vostra reciproca fedeltà l’amore infinito con cui Dio circonda ogni uomo.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana









martedì 2 novembre 2010

Il dolore dei cristiani di Baghdad. I funerali dei due sacerdoti uccisi e di alcuni fedeli


Celebrati nella chiesa caldea di San Giuseppe i funerali dei due sacerdoti uccisi e di alcuni fedeli

Il dolore dei cristiani di Baghdad

Baghdad, 2 novembre. Si sono svolti oggi pomeriggio, nella chiesa caldea di San Giuseppe, nel quartiere Karrada a Baghdad, i funerali dei padri Tha'ir Saad e Boutros Wasim, e di alcune delle vittime della strage provocata dal blitz delle forze irachene intervenute domenica scorsa per liberare dai terroristi islamici la cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso. Poco prima un commando di Al-Qaeda, dopo aver innescato l'esplosione di un'autobomba davanti al luogo di culto, aveva fatto irruzione all'inizio della messa uccidendo subito i due sacerdoti presenti e tenendo in ostaggio numerosi fedeli. Il tragico bilancio - riferisce l'agenzia Awsat al-Iraq, che cita fonti della sicurezza - è di cinquantotto morti e settantacinque feriti, ma si teme possa aggravarsi viste le condizioni disperate di alcune delle persone ricoverate negli ospedali.

Una fonte del ministero dell'Interno - citata dalla France Presse - parla invece di quarantasei morti, soprattutto donne e bambini, e di sessanta feriti, dei quali una ventina in gravi condizioni. Nella battaglia scatenatasi dopo l'irruzione delle "teste di cuoio" irachene sono morti anche sette agenti delle forze di sicurezza e tutti e cinque i componenti del commando di Al-Qaeda. Il ministero dell'Interno ha annunciato che il presunto coordinatore dell'attacco è stato arrestato: sarebbe - riferisce l'Ansa - un uomo di origine giordana, Abu Qattada al-Hasrafy, che avrebbe già ammesso di far parte di Al-Qaeda.


"La situazione è molto tesa, c'è preoccupazione nella comunità cristiana per quanto accaduto", ha spiegato a "L'Osservatore Romano" l'arcivescovo di Baghdad dei Siri, Athanase Matti Shaba Matoka, il quale ha partecipato oggi ai funerali, assieme all'arcivescovo di Baghdad dei Caldei, cardinale Emmanuel III Delly, e all'arcivescovo di Mossul dei Siri, Basile Georges Casmoussa. Grande la commozione manifestata dai cattolici di Baghdad alle esequie. "I cristiani in Iraq oggi soffrono una enorme pressione psicologica - rivela una fonte vicina all'arcidiocesi - e i nostri cuori sono pieni di collera. Una domanda continua ad assillarci: quanto ancora dovremo sopportare questa carneficina, e perché?". Dal canto suo il vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei, Shlemon Warduni, ha espresso "sconforto", affermando che in Iraq "le persone devono avere una fede talmente forte da essere pronte, come cristiani, anche alla testimonianza estrema, alla morte". Una comunità, quella cristiana, continuamente attaccata negli ultimi anni, che tuttavia resiste nonostante molti abbiano preferito abbandonare momentaneamente la loro patria.


L'attacco alla chiesa è stato rivendicato dallo "Stato islamico in Iraq", un cartello di gruppi terroristici guidati dal ramo iracheno di Al-Qaeda. "Un gruppo di mujaheddin in collera fra i fedeli di Allah - è scritto nel comunicato diffuso on line - ha effettuato un raid in uno dei rifugi osceni dell'idolatria (...) per aiutare le nostre povere sorelle musulmane prigioniere (...) in Egitto". Segue la minaccia alla Chiesa copto-ortodossa egiziana: 48 ore di tempo per liberare due donne, mogli di due sacerdoti, "detenute nei monasteri dell'infedeltà" in Egitto perché, secondo i terroristi, una di loro si è convertita all'islam e l'altra starebbe per farlo. Parole che le autorità del Cairo hanno preso molto seriamente, tanto da predisporre il rafforzamento della sicurezza per tutte le chiese del Paese. "Le minacce di Al-Qaeda non sono solo contro la Chiesa copta ma contro tutto l'Egitto", ha commentato il vescovo Morcos, presidente della commissione per l'informazione della cattedrale copta di San Marco al Cairo. "Non abbiamo paura di questa minoranza perché Dio ci protegge", ha affermato in un comunicato, aggiungendo che i copti-ortodossi non hanno chiesto un rafforzamento della sicurezza di chiese, monasteri e capi religiosi cristiani. "La Chiesa copta - ha poi sottolineato - non detiene nessuno nei suoi monasteri", smentendo dunque l'accusa mossa dallo "Stato islamico in Iraq" che due donne copte sono state sequestrate dopo avere manifestato l'intenzione di convertirsi all'islam.


Alcune fonti mettono poi in collegamento l'ultimatum alla Chiesa copto-ortodossa in Egitto con le dichiarazioni rilasciate poco più di un mese fa dal vescovo Anba Bishoy, segretario del sinodo, che in una conferenza pubblica - riferisce il sito Terrasanta.net - aveva sostenuto che un versetto del Corano sulla natura di Gesù sarebbe stato inserito nel libro sacro, dopo la morte del profeto Maometto, da un suo successore. Tali dichiarazioni avevano provocato lo sdegno della comunità musulmana egiziana, costringendo il capo della Chiesa copto-ortodossa, Shenuda III, a scusarsi nel corso di un'intervista televisiva andata in onda il 27 settembre. Secondo alcuni osservatori, nonostante la vicenda risalga ad alcuni mesi fa, l'attentato compiuto domenica da Al-Qaeda potrebbe spingere gli estremisti che si trovano in Egitto a emulare i terroristi iracheni entrando in azione. Secondo la polizia egiziana - citata dal giornale locale "al-Masri al-Youm" - Bishoy sarebbe in pericolo perché elementi vicini ad Al-Qaeda e al salafismo più estremo potrebbero attentare alla sua vita proprio in seguito alle sue affermazioni.


Ferma la condanna dell'Europa e di alcuni Paesi arabi, come la Giordania e l'Egitto. L'Italia - si legge in un comunicato del ministero degli Affari esteri - ha espresso "la forte solidarietà alle autorità irachene per l'attentato terroristico perpetrato da Al-Qaeda contro la chiesa cattolica di Baghdad e per sottolineare nuovamente la particolare importanza che da parte italiana si attribuisce al rispetto dei diritti e delle garanzie di sicurezza delle minoranze religiose in Iraq e in particolare della minoranza cristiana". Anche gli Stati Uniti condannano con forza "questo atto senza senso basato sulla violenza e sul sequestro di ostaggi da parte di terroristi legati ad Al-Qaeda che domenica ha provocato l'uccisione di tanti iracheni innocenti", ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs. E il più influente dignitario sciita iracheno, l'ayatollah Ali Sistani, ha espresso il suo dolore per "l'azione criminale contro nostri fratelli cristiani", appellandosi alle istituzioni affinché mantengano la sicurezza dei cittadini.

Il Consiglio ecumenico delle Chiese si è detto "profondamente turbato dalla continua sofferenza dei cristiani in Iraq" ed esprime la sua solidarietà "a tutte le Chiese che stanno attraversando periodi bui e difficili e non cessano di testimoniare l'amore e la pace di Dio in Gesù Cristo anche in mezzo all'odio e all'aggressività".

E sul portale dell'ebraismo italiano la storica Anna Foa manifesta preoccupazione per "una strategia terrorista anticristiana che ha già causato molto sangue", invitando gli ebrei "a esprimere la loro vicinanza a quanti piangono oggi l'efferata uccisione di esseri umani colpevoli di professare la loro religione e di essersi riuniti in preghiera".

Infine, la Francia, in una nota del ministro dell'Immigrazione Eric Besson, si è detta pronta ad accogliere centocinquanta cristiani iracheni, a partire dalle "persone ferite nell'attentato e le loro famiglie".

(©L'Osservatore Romano - 2-3 novembre 2010)

Benedetto XVI condanna il gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad


In un messaggio per le esequie delle vittime e all'Angelus Benedetto XVI
condanna il gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad

Una feroce violenza contro persone inermi

I cristiani sono oggetto di efferati attacchi
che vogliono minare la fiducia e la convivenza civile

Da anni in Iraq i cristiani "sono divenuti oggetto di efferati attacchi" che "vogliono minare la fiducia e la civile convivenza". Lo scrive Benedetto XVI nel messaggio inviato a monsignor Athanase Matti Shaba Matoka, arcivescovo di Baghdad dei Siro-Cattolici, in occasione delle esequie - celebrate oggi, martedì 2 novembre - delle vittime del gravissimo attacco terroristico sferrato domenica scorsa contro la cattedrale siro-cattolica della capitale irachena. Secondo le ultime notizie, la battaglia, durata tre ore, tra i miliziani del gruppo Stato islamico in Iraq, considerato espressione dell'organizzazione terroristica internazionale Al Qaeda, e le forze di pronto intervento irachene, ha provocato 58 morti, tra i quali donne e bambini, oltre a due giovani sacerdoti. Ottanta sarebbero i feriti. Di seguito il testo del messaggio.

Profondamente commosso per la violenta morte di tanti fedeli e dei Rev.di Sacerdoti Tha'ir Saad e Boutros Wasim, desidero, in occasione del Sacro Rito delle esequie, farmi spiritualmente partecipe, mentre prego che questi fratelli e sorelle siano accolti dalla misericordia di Cristo nella Casa del Padre.
Da anni questo amato Paese soffre indicibili pene e anche i cristiani sono divenuti oggetto di efferati attacchi che, in totale disprezzo della vita, inviolabile dono di Dio, vogliono minare la fiducia e la civile convivenza.
Rinnovo il mio appello affinché il sacrificio di questi nostri fratelli e sorelle possa essere seme di pace e di vera rinascita e perché quanti hanno a cuore la riconciliazione, la fraterna e solidale convivenza, trovino motivo e forza per operare il bene.
A tutti voi, cari fratelli e figli, giunga la mia confortatrice Benedizione Apostolica, che volentieri estendo ai feriti e alle vostre famiglie così duramente provate.


BENEDICTUS PP. XVI


Già lunedì scorso durante l'Angelus nella solennità di Tutti i Santi, il Papa aveva condannato "la feroce violenza contro persone inermi" a Baghdad.

Ieri sera, in un gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Bagdad, ci sono state decine di morti e feriti, fra i quali due sacerdoti e un gruppo di fedeli riuniti per la Santa Messa domenicale. Prego per le vittime di questa assurda violenza, tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio, che è casa di amore e di riconciliazione. Esprimo inoltre la mia affettuosa vicinanza alla comunità cristiana, nuovamente colpita, e incoraggio pastori e fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza. Davanti agli efferati episodi di violenza, che continuano a dilaniare le popolazioni del Medio Oriente, vorrei infine rinnovare il mio accorato appello per la pace: essa è dono di Dio, ma è anche il risultato degli sforzi degli uomini di buona volontà, delle istituzioni nazionali e internazionali. Tutti uniscano le loro forze affinché termini ogni violenza!

(©L'Osservatore Romano - 2-3 novembre 2010)


Opera Omnia (vol. XI) Teologia della Liturgia "Prefazione al volume iniziale dei miei scritti" di Joseph Ratzinger


La prefazione di Joseph Ratzinger al Volume dell'Opera Omnia dedicato agli scritti liturgici
(Volume XI, il primo ad essere stato pubblicato © Libreria Editrice Vaticana
 )

Prefazione al volume iniziale dei miei scritti

di Joseph Ratzinger

Il Concilio Vaticano II iniziò i suoi lavori con la discussione dello schema sulla sacra liturgia, che poi venne solennemente votato il 4 dicembre 1963 come primo frutto della grande assise della Chiesa, con il rango di una costituzione. Che il tema della liturgia si trovasse all’inizio dei lavori del Concilio e che la costituzione sulla liturgia divenisse il suo primo risultato venne considerato a prima vista piuttosto un caso. Papa Giovanni aveva convocato l'assemblea dei vescovi con una decisione da tutti condivisa con gioia, per ribadire la presenza del cristianesimo in una epoca di profondi cambiamenti, ma senza proporre un determinato programma. Dalla commissione preparatoria era stata messa insieme un’ampia serie di progetti. Ma mancava una bussola per poter trovare la strada in questa abbondanza di proposte. Fra tutti i progetti il testo sulla sacra liturgia sembrò quello meno controverso. Così esso apparve subito adatto: come una specie di esercizio, per così dire, con il quale i Padri potessero apprendere i metodi del lavoro conciliare.

Ciò che a prima vista potrebbe sembrare un caso, si rivela, guardando alla gerarchia dei temi e dei compiti della Chiesa, come la cosa anche intrinsecamente più giusta. Cominciando con il tema "liturgia", si mise inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità del tema "Dio". Dio innanzitutto, così ci dice l’inizio della costituzione sulla liturgia. Quando lo sguardo su Dio non è determinante ogni altra cosa perde il suo orientamento. Le parole della regola benedettina "Ergo nihil Operi Dei praeponatur" (43, 3: "Quindi non si anteponga nulla all’Opera di Dio") valgono in modo specifico per il monachesimo, ma hanno valore, come ordine delle priorità, anche per la vita della Chiesa e di ciascuno nella sua rispettiva maniera. È forse utile qui ricordare che nel termine "ortodossia" la seconda metà della parola, "doxa", non significa "opinione", ma "splendore", "glorificazione": non si tratta di una corretta "opinione" su Dio, ma di un modo giusto di glorificarlo, di dargli una risposta. Poiché questa è la domanda fondamentale dell’uomo che comincia a capire se stesso nel modo giusto: come debbo io incontrare Dio? Così, l’apprendere il modo giusto dell’adorazione – dell’ortodossia – è ciò che ci viene donato soprattutto dalla fede.

Quando ho deciso, dopo qualche esitazione, di accettare il progetto di una edizione di tutte le mie opere, mi è stato subito chiaro che vi dovesse valere l’ordine delle priorità del Concilio, e che quindi il primo volume ad uscire doveva essere quello con i miei scritti sulla liturgia. La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita, ed è diventata, alla scuola teologica di maestri come Schmaus, Söhngen, Pascher e Guardini, anche il centro del mio lavoro teologico. Come materia specifica ho scelto la teologia fondamentale, perché volevo innanzitutto andare fino in fondo alla domanda: perché crediamo? Ma in questa domanda era inclusa fin dall’inizio l’altra sulla giusta risposta da dare a Dio, e quindi anche la domanda sul servizio divino. Proprio da qui debbono essere intesi i miei lavori sulla liturgia. Non mi interessavano i problemi specifici della scienza liturgica, ma sempre l’ancoraggio della liturgia nell’atto fondamentale della nostra fede e quindi anche il suo posto nella nostra intera esistenza umana.

Questo volume raccoglie ora tutti i miei lavori di piccola e media dimensione con i quali nel corso degli anni, in occasioni e da prospettive diverse, ho preso posizione su questioni liturgiche. Dopo tutti i contributi nati in questo modo, sono stato spinto infine a presentare una visione d'insieme che è apparsa nell'anno giubilare 2000 sotto il titolo "Lo spirito della liturgia. Un'introduzione" e che costituisce il testo centrale di questo libro.

Purtroppo, quasi tutte le recensioni si sono gettate su un unico capitolo: "L’altare e l’orientamento della preghiera nella liturgia". I lettori delle recensioni hanno dovuto dedurne che l’intera opera abbia trattato solo dell’orientamento della celebrazione e che il suo contenuto si riduca a quello di voler reintrodurre la celebrazione della messa "con le spalle rivolte al popolo". In considerazione di questo travisamento ho pensato per un momento di sopprimere questo capitolo (di appena nove pagine su duecento) per poter ricondurre la discussione sul vero argomento che mi interessava e continua ad interessarmi nel libro. Questo sarebbe stato tanto più facilmente possibile per il fatto che nel frattempo sono apparsi due eccellenti lavori nei quali la questione dell’orientamento della preghiera nella Chiesa del primo millennio è stata chiarita in modo persuasivo. Penso innanzitutto all’importante piccolo libro di Uwe Michael Lang, "Rivolti al Signore. L'orientamento nella preghiera liturgica" (traduzione italiana: Cantagalli, Siena, 2006), ed in modo del tutto particolare al grosso contributo di Stefan Heid, "Atteggiamento ed orientamento della preghiera nella prima epoca cristiana" (in "Rivista d’Archeologia Cristiana" 72, 2006), in cui fonti e bibliografia su tale questione risultano ampiamente illustrate e aggiornate.

Il risultato è del tutto chiaro: l’idea che sacerdote e popolo nella preghiera dovrebbero guardarsi reciprocamente è nata solo nella cristianità moderna ed è completamente estranea in quella antica. Sacerdote e popolo certamente non pregano uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione (Giovanni 17, 1). Intanto si sta facendo strada sempre di più, fortunatamente, la proposta da me fatta alla fine del capitolo in questione nella mia opera: non procedere a nuove trasformazioni, ma porre semplicemente la croce al centro dell’altare, verso la quale possano guardare insieme sacerdote e fedeli, per lasciarsi guidare in tal modo verso il Signore, che tutti insieme preghiamo.

Ma con questo ho forse detto troppo di nuovo su questo punto, che rappresenta appena un dettaglio del mio libro, e che potrei anche tralasciare. L’intenzione fondamentale dell’opera era quella di collocare la liturgia al di sopra delle questioni spesso grette circa questa o quella forma, nella sua importante relazione che ho cercato di descrivere in tre ambiti che sono presenti in tutti i singoli temi. C'è innanzitutto l'intimo rapporto tra Antico e Nuovo Testamento; senza la relazione con l'eredità veterotestamentaria la liturgia cristiana è assolutamente incomprensibile. Il secondo ambito è il rapporto con le religioni del mondo. E si aggiunge infine il terzo ambito: il carattere cosmico della liturgia, che rappresenta qualcosa di più della semplice riunione di una cerchia più o meno grande di esseri umani; la liturgia viene celebrata dentro l'ampiezza del cosmo, abbraccia creazione e storia allo stesso tempo. Questo è ciò che si intendeva nell'orientamento della preghiera: che il Redentore che noi preghiamo è anche il Creatore, e così nella liturgia rimane sempre l'amore anche per la creazione e la responsabilità nei suoi confronti. Sarei lieto se questa nuova edizione dei miei scritti liturgici potesse contribuire a far vedere le grandi prospettive della nostra liturgia e a far relegare nel loro giusto posto certe grette controversie su forme esteriori.

Infine, e soprattutto, sento il dovere di ringraziare. Il mio ringraziamento è dovuto innanzitutto al vescovo Gerhard Ludwig Muller, che ha preso nelle sue mani il progetto delle "Opera omnia" e ha creato le condizioni sia personali che istituzionali per la sua realizzazione. In modo del tutto particolare correi ringraziare il Prof. Dr. Rudolf Voderholzer, che ha investito tempo ed energie in misura straordinaria nella raccolta e nell'individuazione dei miei scritti. Ringrazio anche il Signor Dr. Christian Schaler, che lo assiste in maniera dinamica. Infine, il mio sincero ringraziamento va alla casa editrice Herder, che con grande amore e accuratezza si è assunta l'onere di questo difficile e faticoso lavoro. Possa tutto ciò contribuire a che la liturgia venga compresa in modo sempre più profondo e celebrata degnamente. "La gioia del Signore è la nostra forza" (Neemia 8,10).

Roma, festa dei santi Pietro e Paolo, 29 giugno 2008


 

"Il Papa di una chiesa in crisi" di Giampaolo Romanato


“Attacco a Ratzinger” è finito anche sul Corriere del Veneto. Merito di una firma prestigiosa, Gianpaolo Romanato, docente di storia della chiesa all’Università di Padova, già membro del pontificio comitato di scienze storiche, uno dei maggiori studiosi dei papi tra Ottocento e Novecento. Ecco di seguito il suo pezzo.

Il Papa di una chiesa in crisi

di Gianpaolo Romanato

Un pontificato accidentato quello di Benedetto XVI. Grandi encicliche, memorabili discorsi, ma anche clamorosi infortuni. I due vaticanisti Andrea Tornielli (è nato a Chioggia) e Paolo Rodari partono di qui e si pongono una domanda: l’enfatizzazione di tali infortuni da parte della stampa obbedisce soltanto alla legge spietata dei media o non piuttosto ad una regia che mira a “anestetizzare” il messaggio ratzingeriano, “schiacciandolo sul clichè del papa retrogrado” (Attacco a Ratzinger, Piemme, 18 euro)? Difficile dare una risposta netta. Ma leggendo questo libro il dubbio affiora. Il dubbio che il papa abbia toccato troppi interessi costituiti (fuori della Chiesa ma anche al suo interno) e che questi cerchino di fargliela pagare. Anche perché oggi non c’è più l’argine costitutivo dalla debordante personalità del papa polacco, che copriva tutto e tutti, compresi i suoi errori (ben documentati nel libro). E così ora tocca all’ex professore tedesco ricomporre i cocci di una Chiesa sempre più in difficoltà. Sapeva bene di che cosa parlava, il card. Ratzinger, quel venerdì santo del 2005, poche settimane prima di essere eletto, quando lasciò tutti attoniti parlando della “sporcizia” che c’è “nella Chiesa, nel sacerdozio”, una sporcizia che ci “sgomenta”, che sembra quasi il trionfo di “Satana”.

In questa sporcizia vanno messe anche le falle dell’apparato vaticano, almeno nella misura in cui potrebbero essere conseguenza più di malizia e di faide interne che di dilettantismo. Col risultato di lasciare il papa solo e indifeso. Giustamente il decano dei vaticanisti, Benny Lai, dice “che non si era mai arrivati alla situazione che vediamo oggi”, una situazione nella quale “a far acqua è il governo centrale della Chiesa”. Aggiunge Lai: “Un papa come Benedetto, che dice cose enormi, come il richiamo alla sporcizia nella Chiesa e alla necessità che la Chiesa faccia penitenza, non può essere lasciato in balìa di certi attacchi”.

E qui siamo al punto verso il quale i due cronisti, scaltri conoscitori del mondo vaticano, conducono il lettore, forse non casualmente. E il punto è questo: se le lobby che dominano il mondo d’oggi attaccano così pesantemente Ratzinger, lo possono fare anche perché sanno che questo papa è solo. Solo soprattutto dentro la Chiesa, dove il conflitto fra tradizionalisti e novatori ha assunto ormai le sembianze di uno scisma silenzioso, mentre la crisi di identità del clero, come confermano anche i fatti di cronaca accaduti recentemente in diocesi di Padova, sta spezzando quella che è sempre stata la spina dorsale della Chiesa. Cioè i preti. Chi sa mantenere i nervi saldi è proprio Benedetto XVI, che nel suo magistero, sempre filtrato attraverso i padri della Chiesa, proietta la crisi attuale sullo sfondo dell’eterna dialettica fra il bene e il male, una dialettica, come diceva Pascal, citato anche durante il viaggio recente in Inghilterra, che vede Cristo sempre agonizzante fino alla fine del mondo.

Pubblicato sul Corriere del Veneto il 27 ottobre 2010



Terra Santa News, 22 e 29 ottobre 2010


Terra Santa News - 29/10/2010
http://www.custodia.org/



Terra Santa News - 22/10/2010
http://www.custodia.org/



Benedetto liturgo. Il primo volume dell’opera omnia di Ratzinger è dedicato al rito: di Paolo Rodari


Benedetto liturgo. Il primo volume dell’opera omnia di Ratzinger è dedicato al rito.

“Il primato è di Dio”, dice il Papa.

Le reazioni degli intellettuali

di Paolo Rodari

Che l’autore, ovvero Joseph Ratzinger, abbia deciso che il primo volume a essere pubblicato dei sedici che compongono la sua opera omnia sia quello dedicato agli scritti liturgici è un segnale chiaro. Significa porre inequivocabilmente in luce il primato di Dio, “la priorità assoluta del tema di Dio” ha scritto lo stesso Ratzinger nella prefazione al volume da pochi giorni disponibile nella versione italiana grazie alla Libreria editrice vaticana. “Prima di tutto Dio: questo ci dice iniziare con la liturgia. Là dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento”.

Pochi Pontefici, come Ratzinger, hanno avuto a cuore la questione del “giusto orientamento”. La giusta prospettiva con cui guardare le cose. Prima viene Dio e lo sguardo rivolto a lui, poi il resto. Poi il governo della chiesa, la macchina burocratica, l’affaccendarsi quotidiano. Non a caso Ratzinger è Benedetto: “Nihil operi Dei praeponatur – Nulla si anteponga all’ufficio divino”, dice la regola benedettina. Scrive ancora Ratzinger: “Non si tratta dell’opinione giusta su Dio, ma del modo giusto di glorificarlo, di rispondere a lui”.

Ecco, dunque, la priorità della liturgia, per la chiesa il mezzo, la strada, per entrare in rapporto col mistero. Come il Concilio Vaticano II aprì i lavori con lo “schema sulla sacra liturgia”, così Ratzinger, che nel Concilio fu a suo modo protagonista, pubblica la sua opera omnia esordendo con il volume sulla liturgia. Ratzinger il Papa della liturgia, si dovrebbe chiamare. Scrive: “La liturgia della chiesa è stata per me fin dall’infanzia la realtà centrale della mia vita e, alla scuola teologica di maestri come Schmaus, Söhngen, Pascher e Guardini (il teologo più citato nel volume), è diventata anche il centro del mio impegno teologico”.

Ogni gesto di Benedetto XVI è liturgia. Tutto in lui richiama oltre la sua persona, a Dio. E’ lui che aiuta, anche con la postura e il modo di porsi, a guardare oltre se stesso, a indirizzare l’orientamento di chi lo guarda. E anche le sue liturgie sono molto attente a questo aspetto: a chi e verso chi il popolo deve guardare. Non a caso, nelle liturgie papali, la croce è tornata nel mezzo dell’altare “per lasciarci condurre verso il Signore”. Dio, dunque, viene prima di tutto: un messaggio chiaro per credenti ma anche per chi non crede.

Saverio Vertone è un intellettuale non credente. “Sono completamente fuori dalla chiesa cattolica” dice. E ancora: “Se esiste una persona lontana dalla chiesa sono io. Tuttavia Ratzinger mi piace”. Perché? “Perché lotta contro la dissoluzione della chiesa cattolica”. E a lei interessa? “Mi interessa molto. Sono lontano dalla chiesa ma penso che la chiesa non debba cedere, non debba dissolversi, debba invece resistere, continuare a perpetrare i valori in cui crede. Per un non credente è una sicurezza. Un porto che comunque c’è. Un attracco. In questo senso guardo con interesse l’attenzione che questo Papa sta dando alla liturgia. Tornare al rispetto delle regole, favorire un orientamento comune di tutti i fedeli, ri-centralizzare lo sguardo, è un modo per cedere al dissolvimento. Ratzinger è sinonimo di regola, morale, identità. Ecco l’identità: con Ratzinger finalmente la chiesa non rinuncia alla sua identità”. In passato non era così? “Non sempre. Liturgicamente parlando Wojtyla non mi è mai piaciuto. Ma il vero cancro della cristianità sono le chiese protestanti. Sono volte al settarismo. Aperte al mondo sulla carta, ma in realtà chiuse in modo fondamentalista. Nelle loro liturgie hanno ammesso di tutto, discriminando chi segue le regole di sempre. Ratzinger è da ammirare perché dimostra la volontà di non seguire le altre confessioni cristiane nel loro fondamentalismo settario. Insomma: c’è un assolutismo del protestantesimo terrificante”. Saverio Vertone ha mai partecipato a una liturgia cattolica? “Sì, quando ero piccolo. Ma non ricordo molto. Ricordo l’uso della lingua latina, quello sì. La messa procedeva piena di strafalcioni: ‘Nunc et in hora mortis nostrae’ diventava ‘Nun catinora mortis nostrae’”.
 
Paolo Rodari
Fu lo scrittore torinese Guido Ceronetti a dire che tra fedeli e razionalisti le distanze non possono essere che incolmabili. In questo senso il tentativo post conciliare di colmare le distanze picconando la liturgia risulterebbe ridicolo. Meglio riguadagnare quanto di buono il passato ha insegnato: “La modernità autentica non accetta il senso della messa in blocco, in quanto liturgia sacrificale e metamorfosi magica di pane e vino in corpo di vittima immolata vivente: volendo restare fedeli a questo (se no è harakiri), è inutile cercare, con escamotage rituale di facciata, il consenso dei razionalisti. Nel profondo, le distanze restano incolmabili”. Un concetto, quest’ultimo, sul quale si sofferma oggi un altro scrittore, Giorgio Montefoschi. Si definisce “non credente ma praticante”. Per lui la fede è “cadere e poi rialzarsi”, già e non ancora insomma. Montefoschi dice di apprezzare l’attenzione del Papa per la liturgia: “Il Papa vuole il ritorno a canoni più austeri. E’ un ritorno che sento mio. Non mi ritrovo nelle approssimazioni liturgiche della nostra epoca. La musica ridotta a canzonette, ogni tipo d’ammiccamento verso il mondo. Le omelie troppo lunghe e che non dicono nulla quando basterebbe dire una cosa, una cosa soltanto, per colpire. Ma per fortuna ci sono ancora i gesuiti”. I gesuiti? “Mi capita sovente di andare alla chiesa del Gesù, in centro a Roma. Vige una regola: le omelie non devono durare più di sette minuti. In sette minuti si può dire tutto. Dilungarsi oltre è inutile. La liturgia dei gesuiti è semplice. Il sacrificio eucaristico si ri-attualizza, si ripete, e tutto è favorito dalla semplicità della liturgia e dalla concentrazione del celebrante. Perché cercare altro? Perché rovinare tutto con chitarre, canti, balli che non aiutano alcuna immersione nel mistero? Posso dirlo?”. Lo dica: “Questi innovatori del sacro dovrebbero essere presi a pedate nel sedere. Punto e basta”.

Montefoschi è un insonne. Spesso la notte gira per Roma cercando il primo caffè, il primo giornale. Una mattina presto andò alla chiesa di Sant’Anselmo sull’Aventino. “Era una fase della mia vita difficilissima. Entrai in chiesa. C’era molto buio. Mi sono seduto in fondo. Ero l’unico fedele presente. Attorno all’altare dodici monaci camaldolesi dicevano messa. Il Vangelo del giorno era Luca, il Magnificat. L’omelia durò un minito e mezzo: ‘Cari fratelli che belle queste parole, che bello magnificare il Signore. Ma questo deve avvenire tutti i giorni. Anche nel dolore e nella sofferenza”. Poi uno dei dodici, un diacono, è venuto in fondo alla chiesa e mi ha chiesto di unirsi a loro attorno all’altare per la benedizione finale. Non so come ha fatto a vedermi ma è venuto a prendermi. Ha visto che ero solo. Questa è liturgia. Poche parole che rimangono. Pochi gesti semplici che spiazzano. Come insegnano i monaci del monte Athos la liturgia è impoverirsi. Perché l’unica cosa che sappiamo del mistero è che non sappiamo nulla”.

Sono diversi gli intellettuali credenti e non credenti che dai tempi dei grandi rivolgimenti liturgici iniziati dopo il Vaticano II fino a oggi hanno speso parole, proclami, appelli per la liturgia. Negli anni Sessanta-Settanta Jeorge Luis Borges, Augusto Del Noce, Julien Green, Jacques Maritain, Eugenio Montale, Cristina Campo, Francois Mauriac, Salvatore Quasimodo, Elémire Zolla, Andrés Segovia, Agatha Christie, Graham Greene e molti altri fino al direttore del Times, William Rees-Mogg, chiesero che la chiesa non smarrisse se stessa debellando il proprio immenso patrimonio liturgico. Perché? Silvia Ronchey, bizantinista e storica del cristianesimo, dice: “L’attenzione per la liturgia è uno dei pochi aspetti positivi del pontificato di Benedetto XVI, che a torto, e credo anche contro le sue intenzioni, è presentato spesso come un grande teologo, mentre è principalmente un grande esperto di dogmatica, un watchdog della fede. In quanto tale, naturalmente tradizionalista e conservatore. Cosicché si potrebbe anche pensare che la sua passione per l’antica tradizione liturgica rispecchi solo un penchant simpaticamente reazionario. Ma io credo ci sia di più”. Che cosa? “Anzitutto una sensibilità estetica, o estetizzante, che mi pare indubbia, dalle famose babbucce all’amore per i velluti appassiti degli antichi paramenti. Ma anche un’autentica consapevolezza del fatto che la liturgia è l’interfaccia tra la spiritualità cristiana e il mondo. Ed è quindi importante, sia per la chiesa sia per il mondo, che quest’interfaccia sia correttamente impostata. Certo, una volta era più facile”. In che senso? “Nel senso che fino a qualche secolo fa tutto era permeato di liturgia. La vita era una foresta di simboli, ogni singolo atto, dell’individuo o della collettività, ne era tessuto. L’ordine della natura, la scansione delle stagioni, delle giornate, delle ore, degli eventi gioiosi o atroci della vita, era intrecciato all’ordine liturgico, e l’uno e l’altro ordine si davano reciprocamente significato. L’ordine liturgico, per gli uomini dei secoli antichi, insisteva sulla vita di tutti, non solo su quella dei credenti. Oggi non è più così, e nel vuoto di senso prodotto anche dal crollo delle fedi secolari, delle utopie politiche, la società ha mostrato il bisogno di quell’iniezione di senso al reale, e di quella catarsi del reale, data dai riti”.

In che modo si è mostrato questo bisogno? “Credo che Ratzinger, anche ma non solo in quanto esperto di dogma, abbia compreso l’urgenza di far riscoprire l’antica ritualità cristiana a un mondo affascinato da una pluralità di riti esotici, in genere orientali, spesso male assimilati e mal capiti, in ogni caso inutilmente lontani dalla cultura e dall’antropologia se non anche proprio dalla biologia dell’uomo occidentale. Ma il bisogno c’è, perché il rito in quanto tale, non solo quello cristiano, è una medicina per la psiche. E’ terapeutico per tutti, credenti e non credenti”.

Perché la liturgia è un aspetto della vita dei credenti importante per i non credenti? “La liturgia risponde a un bisogno recondito proprio di ogni essere umano. A domande che riguardano un mistero insito in noi. Che il mistero sia immanente o trascendente, che lo si identifichi con Dio o con l’inconscio, non è poi significativo ai fini della terapia. ‘Indubbiamente ci sono molte analogie tra Dio e l’inconscio’ ha scritto un grande maestro della psicanalisi, Adamo Vergine, nel suo libro appena uscito, intitolato appunto ‘Dio, l’inconscio, l’evoluzione’ (Franco Angeli). ‘E’ inconoscibile, rimane enigmatico, si rivela a noi attraverso segnali indiretti, che si introducono nella coscienza attraverso il nostro stesso vivere’”.

Che cosa ha allontanato il mondo contemporaneo dall’antica medicina della liturgia? “Gli effetti della riforma della liturgia dopo il Vaticano II hanno finito per tradire anzitutto le intenzioni, io credo, di quel Concilio, per disattendere questo bisogno. Che ancora oggi è tradito continuamente in ambito cattolico; molto meno in quello ortodosso”.

Dove la riforma della liturgia ha tradito la sua essenza terapeutica? “Anzitutto nella soppressione dell’uso del latino. Il latino non è un semplice mantra. Non si tratta solo del fatto che tutto ciò che è misterioso affascina. No, anzi, il fatto è che il latino, nella sua strepitosa sinteticità, ha in sé la capacità di comunicare qualcosa comunque, a prescindere dalla sua comprensione completa, letterale, grammaticale. E’ profondamente consonante con le nostre radici, fa risuonare qualcosa che abbiamo dentro: una risonanza antica, ancestrale, trasmessaci forse dagli avi, forse da ricordi infantili, comunque arcana e rivelatrice”.

C’è dunque un elemento di memoria collettiva che emerge ogni volta che ci accostiamo a questa lingua nella liturgia? “Sì, il latino è una lingua liturgica per eccellenza, già nelle sue espressioni pagane, pensiamo al Pervigilium Veneris, citato da Eliot, o anche ai Carmina Docta di Catullo. Ma la liturgia latina cristiana, come le traduzioni scritturali di san Girolamo, sono a mio avviso il vertice della lingua latina. Non è un caso se Oscar Wilde sosteneva che il più bel latino mai scritto è quello dell’Apocalisse. Il latino è radicato in noi e noi in lui ci ritroviamo”.

Quindi, per paradosso, secondo lei i fedeli capirebbero meglio la liturgia in latino che in italiano? “Dopo il Vaticano II, l’uso delle lingue moderne ha fatto smarrire la strada, tra vecchiumi stilistici da un lato e problemi diplomatici dall’altro, non c’è nulla di più brutto della Bibbia Concordata: pur di mettere tutti d’accordo, il testo si svuota. E’ come quando si legge una poesia tradotta male: non ci si ritrova, tutto perde di valore. Certo, ci sono delle eccezioni. Il Salterio di Bose, ossia il Libro dei Salmi come è stato tradotto dai monaci di Bose e come nel loro monastero viene cantato, è celestiale. Ogni parola biblica va dritta al cuore, lo sconvolge. Perché la traduzione è filologicamente perfetta e insieme stilisticamente raffinatissima: il risultato è una semplicità che emula, e supera, quella del latino. A questo probabilmente mirava il Vaticano II. Ma era un’aspirazione, paradossalmente, troppo elitaria. La liturgia di Bose, con il suo Salterio, è un unicum. Non ne conosco altri”. Dunque, è tutto un fatto linguistico? “No. Occorrerebbe anche parlare della musica. Lasciando da parte casi estremi imbarazzanti, ma diffusi, come le messe beat-rock-etno-funky, nessuna musica contemporanea riesce a eguagliare la musica sacra antica, dal gregoriano a Palestrina al Concerto di Natale di Corelli e così via. Mai la parola sacra è stata così indelebilmente e universalmente capace di imprimersi in tutti gli ascoltatori, di nuovo, credenti e non credenti, come quando è stata messa in musica dai grandi maestri di cui la chiesa romana prima della sua decadenza era committente e mecenate. E abbiamo parlato fin qui solo della dimensione uditiva. C’è ovviamente, altrettanto grande e potente, quella visiva”. Cioè? “Gli abiti, i paramenti, gli addobbi, le scelta dei materiali e dei colori, la sapienza nell’associarli ai gesti, la loro armonia e teatralità, senza menzionare lo splendore artistico e architettonico degli scenari. E c’è la dimensione olfattiva, assolutamente da non sottovalutare: non parlo solo degli incensi, ma anche e soprattutto dei profumi dei fiori, della scelta dei ramoscelli e delle erbe e delle specie di piante da associare, nel calendario naturale, a quello liturgico, la loro antichissima e costante simbologia. Insieme ai colori, i loro profumi penetranti, evocativi, permeavano di metafore liturgiche l’intera vita, e l’intera liturgia di metafore esistenziali. Tutto questo insieme è liturgia, un’eredità unica per chi è nella chiesa, ma anche per chi dalla chiesa è lontanissimo”. 2 novembre 2010.

Pubblicato sul Foglio sabato 30 ottobre 2010

 

lunedì 1 novembre 2010

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI - IN COMMEMORATIÓNE ÓMNIUM FIDÉLIUM DEFUNCTÓRUM - 2 novembre


MISSALE ROMANUM
Martedì, 2 Novembre 2010



°°°

Moriamo insieme a Cristo, per vivere con lui

Da libro «Sulla morte del fratello Satiro» di sant'Ambrogio, vescovo
(Lib. 2, 40.41.46.47.132.133; CSEL 73, 270-274, 323-324
)

Dobbiamo riconoscere che anche la morte può essere un guadagno e la vita un castigo. Perciò anche san Paolo dice: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21). E come ci si può trasformare completamente nel Cristo, che è spirito di vita, se non dopo la morte corporale?

Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. Sarà per l'anima un utile allenamento alla liberazione dalle cupidigie sensuali, sarà un librarsi verso posizioni inaccessibili alle basse voglie animalesche, che tendono sempre a invischiare lo spirito. Così, accettando di esprimere già ora nella nostra vita il simbolo della morte, non subiremo poi la morte quale castigo. Infatti la legge della carne lotta contro la legge dello spirito e consegna l'anima stessa alla legge del peccato. Ma quale sarà il rimedio? Lo domandava già san Paolo, dandone anche la risposta: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7, 24). La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 7, 25 ss.).

Abbiamo il medico, accettiamo la medicina. La nostra medicina è la grazia di Cristo, e il corpo mortale è il corpo nostro. Dunque andiamo esuli dal corpo per non andare esuli dal Cristo. Anche se siamo nel corpo cerchiamo di non seguire le voglie del corpo.

Non dobbiamo, è vero, rinnegare i legittimi diritti della natura, ma dobbiamo però dar sempre la preferenza ai doni della grazia.
Il mondo è stato redento con la morte di uno solo. Se Cristo non avesse voluto morire, poteva farlo. Invece egli non ritenne di dover fuggire la morte quasi fosse una debolezza, né ci avrebbe salvati meglio che con la morte. Pertanto la sua morte è la vita di tutti. Noi portiamo il sigillo della sua morte; quando preghiamo la annunziamo; offrendo il sacrificio la proclamiamo; la sua morte è vittoria, la sua morte è sacramento, la sua morte è l'annuale solennità del mondo.

E che cosa dire ancora della sua morte, mentre possiamo dimostrare con l'esempio divino che la morte sola ha conseguito l'immortalità e che la morte stessa si è redenta da sé? La morte allora, causa di salvezza universale, non è da piangere. La morte che il Figlio di Dio non disdegnò e non fuggì, non è da schivare.

A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisce quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l'immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio.

L'anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne.

Arrivarvi è proprio dei santi. Là canteremo a Dio quella lode che, come ci dice la lettura profetica, cantano i celesti sonatori d'arpa: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti. Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno dinanzi a te» (Ap 15, 3-4).

L'anima dovrà uscire anche per contemplare le tue nozze, o Gesù, nelle quali, al canto gioioso di tutti, la sposa è accompagnata dalla terra al cielo, non più soggetta al mondo, ma unita allo spirito: «A te viene ogni mortale» (Sal 64, 3).

Davide santo sospirò, più di ogni altro, di contemplare e vedere questo giorno. Infatti disse: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 26, 4).


 INDULGENZE PER LE ANIME DEL PURGATORIO

IL GIORNO DEI MORTI
I fedeli possono lucrare un’Indulgenza Plenaria applicabile solo alle anime del Purgatorio alle seguenti condizioni:
-visita di una chiesa (tutte le chiese o oratori)
-recita del Pater e del Credo
-confessione (negli 8 giorni precedenti o successivi)
-comunione
-preghiera secondo le intenzioni del Papa (Pater, Ave e Gloria)

DAL 1° all’8 NOVEMBRE
Alle solite condizioni, i fedeli possono lucrare (una al giorno) una Indulgenza Plenaria applicabile alle anime del Purgatorio:
-visitando il cimitero
-pregando per i defunti

PREGHIERE PER I DEFUNTI

L'Eterno riposo
L'eterno riposo dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la luce perpetua.
Riposino in pace. Amen.


Requiem Æternam
Réquiem ætérnam dona eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace. Amen.



Preghiera per i defunti
(Tradizione Bizantina)
Dio degli spiriti e di ogni carne, che calpestasti la morte e annientasti il diavolo e la vita al tuo mondo donasti; tu stesso o Signore, dona all'anima del tuo servo N. defunto il riposo in un luogo luminoso, in un luogo verdeggiante, in un luogo di freschezza, donde sono lontani sofferenza, dolore e gemito.

Quale Dio buono e benigno perdona ogni colpa da lui commessa con parola, con opera o con la mente; poiché non v'è uomo che viva e non pecchi; giacché tu solo sei senza peccato, e la tua giustizia è giustizia nei secoli e la tua parola è verità.

Poiché tu sei la risurrezione, la vita e il riposo del tuo servo N. defunto, o Cristo nostro Dio, noi ti rendiamo gloria, assieme al Padre tuo unigenito, con il santissimo buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Riposino in pace. Amen.


De profundis
Dal profondo a te grido, o Signore; *
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti *
alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore, *
Signore, chi potrà sussistere?
Ma presso di te è il perdono, *
perciò avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore, *
l'anima mia spera nella sua parola.
L'anima mia attende il Signore *
più che le sentinelle l'aurora.

Israele attenda il Signore, *
perché presso il Signore è la misericordia,
grande è presso di lui la redenzione; *
egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.


De profundis
De profúndis clamávi ad te, Dómine; *
Dómine, exáudi vocem meam.
Fiant aures tuæ intendéntes *
in vocem deprecatiónis meæ.

Si iniquitátes observáveris, Dómine, *
Dómine, quis sustinébit?
Quia apud te propitiátio est, *
et timébimus te.

Sustínui te, Dómine, †
sustínuit ánima mea in verbo eius, *
sperávit ánima mea in Dómino.
Magis quam custódes auróram, *
speret Israel in Dómino.

Quia apud Dóminum misericórdia, *
et copiósa apud eum redémptio.
Et ipse rédimet Israel *
ex ómnibus iniquitátibus eius.


- RITO DELL'UNZIONE DEGLI INFERMI


Dies irae dies illa,
solvet saeclum in favilla
teste David cum Sibylla.
Quantus tremor est futurus
quando judex est venturus
cuncta stricte discussurus!
Tuba mirum spargens sonum
per sepulcra regionum,
coget omnes ante thronum.
Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura
Judicanti responsura.
Liber scriptus proferetur
in quo totum continetur
unde mundus judicetur.
Judex ergo cum sedebit
quicquid latet apparebit,
nil inultum remanebit.
Quid sum, miser, tunc dicturus,
quem patronum rogaturus
dum vix justus sit securus?
Rex tremendae maiestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.
Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae,
ne me perdas illa die.
Quaerens me sedisti lassus,
redemisti crucem passus;
tantus labor non sit cassus.
Juste Judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.
Ingemisco tamquam reus,
culpa rubet vultus meus:
supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae,
sed tu, bonus, fac benigne
ne perenni cremer igne.
Inter oves locum praesta
et ab haedis me sequestra
statuens in parte dextra.
Confutatis maledictis
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis,
gere curam mei finis.
Lacrimosa dies illa
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus:
huic ergo parce, Deus.
Pie Jesu Domine,
dona eis requiem.
Amen.




LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL'ANGELUS - 1° novembre 2010


SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

BENEDETTO XVI
ANGELUS

Piazza San Pietro
Lunedì, 1° novembre 2010

[Croato, Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]


Cari fratelli e sorelle!

La solennità di Tutti i Santi, che oggi celebriamo, ci invita ad innalzare lo sguardo al Cielo e a meditare sulla pienezza della vita divina che ci attende.Siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1Gv 3,2): con queste parole l’apostolo Giovanni ci assicura la realtà del nostro profondo legame con Dio, come pure la certezza della nostra sorte futura. Come figli amati, perciò, riceviamo anche la grazia per sopportare le prove di questa esistenza terrena – la fame e sete di giustizia, le incomprensioni, le persecuzioni (cfr Mt 5,3-11) – e, nel contempo, ereditiamo fin da ora ciò che è promesso nelle beatitudini evangeliche, “nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell’uomo che Gesù inaugura” (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano 2007, 95). La santità, imprimere Cristo in sé stessi, è lo scopo di vita del cristiano. Il beato Antonio Rosmini scrive: “Il Verbo aveva impresso se stesso nelle anime dei suoi discepoli col suo aspetto sensibile … e con le sue parole … aveva dato ai suoi quella grazia … con la quale l’anima percepisce immediatamente il Verbo” (Antropologia soprannaturale, Roma 1983, 265-266). E noi pregustiamo il dono e la bellezza della santità ogni volta che partecipiamo alla Liturgia eucaristica, in comunione con la “moltitudine immensa” degli spiriti beati, che in Cielo acclamano in eterno la salvezza di Dio e dell’Agnello (cfr Ap 7,9-10). “Alla vita dei Santi non appartiene solo la loro biografia terrena, ma anche il loro vivere ed operare in Dio dopo la morte. Nei Santi diventa ovvio: chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino” (Enc. Deus caritas est, 42).

Consolati da questa comunione della grande famiglia dei santi, domani commemoreremo tutti i fedeli defunti. La liturgia del 2 novembre e il pio esercizio di visitare i cimiteri ci ricordano che la morte cristiana fa parte del cammino di assimilazione a Dio e scomparirà quando Dio sarà tutto in tutti. La separazione dagli affetti terreni è certo dolorosa, ma non dobbiamo temerla, perché essa, accompagnata dalla preghiera di suffragio della Chiesa, non può spezzare il legame profondo che ci unisce in Cristo. Al riguardo, san Gregorio di Nissa affermava: “Chi ha creato ogni cosa nella sapienza, ha dato questa disposizione dolorosa come strumento di liberazione dal male e possibilità di partecipare ai beni sperati” (De mortuis oratio, IX, 1, Leiden 1967, 68).

Cari amici, l’eternità non è “un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità” (Enc. Spe salvi, 12). Alla Vergine Maria, guida sicura alla santità, affidiamo il nostro pellegrinaggio verso la patria celeste, mentre invochiamo la sua materna intercessione per il riposo eterno di tutti i nostri fratelli e sorelle che si sono addormentati nella speranza della risurrezione.


Dopo l'Angelus

Ieri sera, in un gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Bagdad, ci sono state decine di morti e feriti, fra i quali due sacerdoti e un gruppo di fedeli riuniti per la Santa Messa domenicale. Prego per le vittime di questa assurda violenza, tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio, che è casa di amore e di riconciliazione. Esprimo inoltre la mia affettuosa vicinanza alla comunità cristiana, nuovamente colpita, e incoraggio pastori e fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza. Davanti agli efferati episodi di violenza, che continuano a dilaniare le popolazioni del Medio Oriente, vorrei infine rinnovare il mio accorato appello per la pace: essa è dono di Dio, ma è anche il risultato degli sforzi degli uomini di buona volontà, delle istituzioni nazionali e internazionali. Tutti uniscano le loro forze affinché termini ogni violenza!

La prière de l’Angelus me donne la joie de saluer les pèlerins francophones, particulièrement ceux venus de Poitiers! En la solennité de tous les saints, nous adorons le Dieu trois fois saint, en union avec la foule immense de ceux qui, après avoir mis leurs pas dans ceux du Christ, contemplent sa gloire et intercèdent pour nous. À la suite de tous les saints, puissions-nous marcher résolument sur les chemins de la foi, de l’espérance et de la charité vers la Jérusalem d’en haut. Bonne fête de la Toussaint à tous!

I am pleased to greet the English-speaking visitors present at this Angelus prayer, in particular those from the United States. Today we celebrate the Feast of All Saints, recalling the example of all those who now live for ever in the presence of God. Nor let us forget to pray tomorrow for the eternal repose of all the faithful departed, those who sleep in the Lord. May the merciful God of grace and peace bless you all!

Ganz herzlich heiße ich die deutschsprachigen Pilger und Besucher willkommen. Heute feiern wir das Fest Allerheiligen. Dabei denken wir an die überaus große Zahl von Menschen, die uns in der Gottes- und Nächstenliebe mit Treue und Glaubensstärke vorangegangen sind. Ihre ergreifenden Lebenszeugnisse berühren uns. Sie sind uns aber nicht nur Vorbilder, sondern auch Begleiter, die für uns beten, daß wir in der Gemeinschaft mit Christus und der Liebe zu den Menschen immer mehr wachsen. Euch allen wünsche ich einen gesegneten Festtag.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. Hoy celebramos la fiesta de Todos los Santos, la multitud de hermanos nuestros en la fe que, a lo largo de todos los siglos, han llegado a la casa del Padre e interceden por nosotros. Ellos nos recuerdan que Dios nos mira con amor y nos llama también a nosotros a una vida de santidad, a la plenitud de la caridad, a vivir completamente identificados con Cristo. Que la intercesión de la Virgen María y el ejemplo de los santos nos ayuden a recorrer con alegría el camino que lleva a la bienaventuranza eterna. Feliz Fiesta.

Pozdrawiam obecnych tu Polaków. W tym szczególnym dniu za Apostołem Pawłem życzę, aby „serca wasze utwierdzone zostały jako nienaganne w świętości wobec Boga, Ojca naszego, na przyjście Pana naszego Jezusa wraz ze wszystkimi Jego świętymi” (1 Tes 3, 13). Niech wam Bóg błogosławi.

[Saluto i polacchi qui presenti. In questo particolare giorno insieme con l’Apostolo Paolo auguro che siano “saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi” (1 Ts 3, 13). Dio vi benedica!]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i partecipanti alla manifestazione “La corsa dei Santi”, promossa dai Salesiani per sostenere progetti di solidarietà in situazioni di estremo bisogno, come ad Haiti e in Pakistan. Saluto inoltre il gruppo di ragazzi di Modena che si stanno preparando al Sacramento della Confermazione. A tutti auguro pace e serenità nella spirituale compagnia dei Santi.

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