lunedì 30 aprile 2012

San Giuseppe Lavoratore (mf) - S. Ioseph Opificis, Sponsi B. Maríae Virginis, Confessoris (1° Maggio)




1 MAGGIO

Memoria facoltativa



Pio XII istituì nel 1955 la festa di «san Giuseppe artigiano» per dare un protettore ai lavoratori e un senso cristiano alla «festa dei lavoro». Poiché non tutte le nazioni celebrano tale festa il 1° maggio, la celebrazione d’oggi è una memoria facoltativa. La figura di san Giuseppe, l’umile e grande lavoratore di Nazaret, orienta verso Cristo, il Salvatore dell’uomo, il Figlio di Dio che ha condiviso in tutto la condizione umana (cf GS 22; 32). Così viene innanzitutto affermato che il lavoro dà all’uomo il meraviglioso potere di partecipare all’opera creatrice di Dio e di portarla a compimento; che possiede un autentico valore umano. L’uomo moderno ha preso coscienza di questo valore da quando rivendica, a volte con violenza, il rispetto dei suo diritto e della sua personalità. Tropo sovente alcuni cristiani, disturbati nelle loro abitudini e nel tranquillo possesso dei loro beni dalle lotte sociali, si sono opposti alle rivendicazioni sociali dei lavoratori; ciò spiega perché il primo maggio richiama alla mente di molti contemporanei la lotta del mondo del lavoro contro la Chiesa stessa.

La Chiesa «battezza» oggi la festa del lavoro per proclamare il valore reale dei lavoro, per approvare e benedire l’azione delle classi lavoratrici nella lotta che esse continuano, in alcuni paesi, per ottenere maggiore giustizia e libertà. La Chiesa fa questo anche per domandare a tutti i suoi fedeli di riflettere sugli insegnamenti dati dalla gerarchia ecclesiastica soprattutto con le Encicliche «Mater et Magistra» di papa Giovanni XXIII, «Populorum progressio» di Paolo VI e « Laborem exercens» di Giovanni Paolo II.

In questo giorno della «festa dei lavoro», sotto il patrocinio di san Giuseppe lavoratore, ci riuniamo in assemblea eucaristica, segno di salvezza, non per mettere l’Eucaristia al servizio di un valore naturale, sia pure nobilissimo, ma perché Dio, che ha lavorato nella creazione «per sei giorni » (Gen 1-2), aggiunge alla sua opera un «settimo giorno» per la creazione di un mondo nuovo (Gv 5,17), e perché questa nuova creazione, alla quale collaborano coloro che sono ormai i figli di Dio, si compie principalmente nell’Eucaristia. L’Eucaristia trova il suo posto in una festa del lavoro, perché essa rivela al mondo tecnico il valore soprannaturale delle sue ricerche e delle sue iniziative.

Questo lavoro «nuovo», destinato a stabilire la nuova creazione, obbedisce alle leggi naturali di ogni lavoro, ma è compiuto «in Gesù Cristo», il quale ci rende figli di Dio senza distoglierci dalla nostra condizione di creature. Parlando di un lavoro compiuto «per Dio» (cf Gv 6,27-29; Col 3,23-4,1; 1 Cor 10,31-33), oppure in «azione di grazie» a Dio (si dovrebbe dire «in eucaristia », per conservare l’eco del testo originale), il Nuovo Testamento domanda con insistenza che il lavoro umano rifletta già lo spirito del «mondo nuovo», mediante la carità e il senso sociale che lo deve animare (cf Atti 18,3; 20,33-35; Ef 4,28).

La nostra partecipazione. all’Eucaristia, mentre ci permette di col¬laborare di più e meglio al lavoro iniziato da Dio per creare il mondo nuovo, santifica pure il contributo che noi diamo al lavoro umano, insegnandoci che esso è collaborazione all’azione creatrice di Dio e che il vero obiettivo di ogni lavoro è la costruzione dei Regno nuovo (cf GS 33-39; 57-72). Leggere il Messaggio del Concilio ai lavoratori (8 Dic. 1965). (CC Salesiano)




L'attività umana nell'universo

Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes»
del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
(Nn. 33-34)

Con il suo lavoro e con l'ingegno l'uomo ha sempre cercato di sviluppare maggiormente la sua vita. Oggi poi specialmente con l'aiuto della scienza e della tecnica ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta la natura e principalmente in forza dei maggiori mezzi dovuti all'intenso scambio tra le nazioni, la famiglia umana poco alla volta si riconosce e si costituisce come una comunità unitaria nel mondo intero. Da qui viene che molti beni che l'uomo si aspettava soprattutto dalle forze superiori, oggi ormai se li procura con la propria iniziativa. Di fronte a questo immenso sforzo che investe ormai tutto il genere umano, sorgono tra gli uomini parecchi interrogativi. Qual è il senso e il valore dell'attività umana? Come si deve usare dei suoi frutti e delle sue risorse? Al raggiungimento di quale fine tendono gli sforzi sia dei singoli che delle collettività?

La Chiesa, che custodisce il deposito della parola di Dio, fonte dei principi religiosi e morali, anche se non ha sempre pronta la risposta alle singole questioni, desidera unire la luce della rivelazione alla competenza di tutti, perché sia illuminata la strada che l'umanità ha da poco imboccato. Per i credenti è certo che l'attività umana individuale e collettiva, con quello sforzo immenso con cui gli uomini lungo i secoli cercano di cambiare in meglio le condizioni di vita, risponde al disegno divino. L'uomo, creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di sottomettere a sé la terra con tutto ciò che è contenuto in essa, di governare il mondo nella giustizia e nella santità, di riconoscere Dio come creatore di tutto e, conseguentemente, di riferire a lui stesso e tutti l'universo, di modo che, assoggettate all'uomo tutte le cose, il nome di Dio sai glorificato su tutta le terra.

Questo vale pienamente anche per il lavoro di ogni giorno.

Quando uomini e donne per procurare il sostentamento a sé e alla famiglia, esercitano il proprio lavoro così da servire la società, possono giustamente pensare che con la loro attività prolungano l'opera del Creatore, provvedono al benessere dei fratelli e concorrono con il personale contributo a compiere il disegno divino nella storia. I cristiani pensano che quanto gli uomini hanno prodotto con il loro ingegno e forza non si oppone alla potenza di Dio, né creatura razionale sia quasi rivale del Creatore. Sono persuasi che le vittorie del genere umano sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno.

Quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si amplia la responsabilità, sia individuale che collettiva. Gli uomini non sono distolti dalla edificazione del mondo dal messaggio cristiano, né sono spinti a disinteressarsi del bene dei loro simili, ma anzi ad operare più intensamente per questo scopo.

domenica 29 aprile 2012

Benedetto XVI alla recita del Regina Cæli, 29 aprile 2012



BENEDETTO XVI

REGINA CÆLI

Domenica, 29 aprile 2012



Cari fratelli e sorelle!

Si è da poco conclusa, nella Basilica di San Pietro, la celebrazione eucaristica nella quale ho ordinato nove nuovi presbiteri della Diocesi di Roma. Rendiamo grazie a Dio per questo dono, segno del suo amore fedele e provvidente per la Chiesa! Stringiamoci spiritualmente intorno a questi sacerdoti novelli e preghiamo perché accolgano pienamente la grazia del Sacramento che li ha conformati a Gesù Cristo Sacerdote e Pastore. E preghiamo perché tutti i giovani siano attenti alla voce di Dio che interiormente parla al loro cuore e li chiama a distaccarsi da tutto per servire Lui. A questo scopo è dedicata l’odierna Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. In effetti, il Signore chiama sempre, ma tante volte noi non ascoltiamo. Siamo distratti da molte cose, da altre voci più superficiali; e poi abbiamo paura di ascoltare la voce del Signore, perché pensiamo che possa toglierci la nostra libertà. In realtà, ognuno di noi è frutto dell’amore: certamente, l’amore dei genitori, ma, più profondamente, l’amore di Dio. Dice la Bibbia: se anche tua madre non ti volesse, io ti voglio, perché ti conosco e ti amo (cfr Is 49,15). Nel momento in cui mi rendo conto di questo, la mia vita cambia: diventa una risposta a questo amore, più grande di ogni altro, e così si realizza pienamente la mia libertà.

I giovani che oggi ho consacrato sacerdoti non sono differenti dagli altri giovani, ma sono stati toccati profondamente dalla bellezza dell’amore di Dio, e non hanno potuto fare a meno di rispondere con tutta la loro vita. Come hanno incontrato l’amore di Dio? L’hanno incontrato in Gesù Cristo: nel suo Vangelo, nell’Eucaristia e nella comunità della Chiesa. Nella Chiesa si scopre che la vita di ogni uomo è una storia d’amore. Ce lo mostra chiaramente la Sacra Scrittura, e ce lo conferma la testimonianza dei santi. Esemplare è l’espressione di sant’Agostino, che nelle sue Confessioni si rivolge a Dio e dice: «Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Tu eri dentro di me, e io fuori … Eri con me, e io non ero con te … Ma mi hai chiamato, e il tuo grido ha vinto la mia sordità» (X, 27.38).

Cari amici, preghiamo per la Chiesa, per ogni comunità locale, perché sia come un giardino irrigato in cui possano germogliare e maturare tutti i semi di vocazione che Dio sparge in abbondanza. Preghiamo perché dappertutto si coltivi questo giardino, nella gioia di sentirsi tutti chiamati, nella varietà dei doni. In particolare, le famiglie siano il primo ambiente in cui si “respira” l’amore di Dio, che dà forza interiore anche in mezzo alle difficoltà e le prove della vita. Chi vive in famiglia l’esperienza dell’amore di Dio, riceve un dono inestimabile, che porta frutto a suo tempo. Ci ottenga tutto questo la Beata Vergine Maria, modello di accoglienza libera e obbediente alla divina chiamata, Madre di ogni vocazione nella Chiesa.




Dopo il Regina Caeli


Cari fratelli e sorelle!

Un saluto speciale rivolgo ai pellegrini riuniti nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, dove stamani è stato proclamato Beato Giuseppe Toniolo. Vissuto tra il XIX e il XX secolo, fu sposo e padre di sette figli, professore universitario ed educatore dei giovani, economista e sociologo, appassionato servitore della comunione nella Chiesa. Attuò gli insegnamenti dell’Enciclica Rerum novarum del Papa Leone XIII; promosse l’Azione Cattolica, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, le Settimane Sociali dei cattolici italiani e un Istituto di diritto internazionale della pace. Il suo messaggio è di grande attualità, specialmente in questo tempo: il Beato Toniolo indica la via del primato della persona umana e della solidarietà. Egli scriveva: «Al di sopra degli stessi legittimi beni ed interessi delle singole nazioni e degli Stati, vi è una nota inscindibile che tutti li coordina ad unità, vale a dire il dovere della solidarietà umana».

Sempre oggi a Coutances, in Francia, è stato beatificato anche il sacerdote Pierre-Adrien Toulorge, dell’Ordine Premostratense, vissuto nella seconda metà del secolo XVIII. Rendiamo grazie a Dio per questo luminoso “martire della verità”.

Saluto i partecipanti all’Incontro europeo degli studenti universitari, organizzato dalla Diocesi di Roma nel primo anniversario della Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II. Cari giovani, proseguite con fiducia nel cammino della nuova evangelizzazione nelle Università. Domani sera mi unirò spiritualmente a voi, per la Veglia che avrà luogo a Tor Vergata, presso la grande Croce della Giornata Mondiale della Gioventù del 2000. Grazie della vostra presenza!

Chers pèlerins francophones, je vous exhorte aujourd’hui à prier pour les vocations. En Église et en famille, redécouvrez l’importance vitale du sacerdoce ministériel et de la vie consacrée. Chers jeunes, n’hésitez pas ! Écoutez l’appel de Dieu ! Je participe aussi spirituellement à la joie de tous les fidèles du Diocèse de Coutances et Avranches rassemblés pour la Béatification du Père Pierre-Adrien Toulorge, surnommé « le martyr de la vérité ». Que la Vierge Marie, modèle du cœur qui écoute, intercède pour que puisse éclore beaucoup de oui ! Bon dimanche !

I am happy to greet all the English-speaking pilgrims and visitors present for this Regina Coeli prayer. Today’s Gospel highlights the figure of Christ the Good Shepherd who lays down his life for his flock. Today we also pray for vocations to the priesthood: may more young men hear Christ’s call to follow him more closely, and offer their lives to serve their brothers and sisters. God’s peace be with you all!

Einen herzlichen Gruß richte ich an die Pilger und Besucher deutscher Sprache, heute besonders an die Studentenverbindung Capitolina, die in diesen Tagen ihr Stiftungsfest begeht. Im Evangelium dieses Sonntags begegnet uns Christus als der Gute Hirte. Er sorgt für uns und kennt jeden von uns beim Namen. Vertrauen wir uns seiner guten Führung an, die uns schon auf Erden Momente der künftigen, ewigen Freude kosten läßt. Der barmherzige Gott segne euch und eure Lieben.

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los alumnos de diversos centros escolares de Blanca, Murcia. En el Evangelio de este domingo, Cristo se presenta como el Buen Pastor, que da la vida por las ovejas. Pidámosle a Él que conceda a su Iglesia abundantes vocaciones sacerdotales, religiosas y misioneras, que ayuden a sus hermanos a acoger su mensaje de salvación. Feliz Domingo.

Lepo pozdravljam ministrante in druge romarje iz Slovenije! Služiti pri Gospodovem oltarju je za človeka velika čast in odgovornost. Radi in lepo sodelujte pri bogoslužju, da bodo vaši mladi dnevi polni Božje milosti, vi sami pa pošteni in navdušeni za vse dobro. Vam, dragi fantje in dekleta, vašim duhovnikom ter še posebej vsem, ki jih Bog kliče v duhovniško ali redovniško službo, rad podelim apostolski blagoslov!

[Rivolgo un cordiale saluto ai chierichetti e agli altri pellegrini provenienti dalla Slovenia! Partecipate volentieri e degnamente alla liturgia affinché i giorni della vostra giovinezza siano colmi della grazia di Dio e siate voi stessi ferventi per tutto quello che è buono. A voi, cari ragazzi e ragazze, ai vostri sacerdoti e in particolare a coloro che il Signore chiama alla vita sacerdotale o religiosa, imparto di cuore l’Apostolica Benedizione! ]

Radosno pozdravljam i blagoslivljam hrvatske hodočasnike, a osobito mlade iz župe Svetog Mihovila iz Drinovaca u Bosni i Hercegovini. Draga mladeži, na grobovima apostola učvrstite svoju vjeru u uskrslog Gospodina kako biste je još hrabrije svjedočili svojim životom. Hvaljen Isus i Marija!

[Con gioia saluto e benedico tutti i pellegrini Croati, particolarmente i giovani fedeli dalla parrocchia di San Michele a Drinovci in Bosnia ed Erzegovina. Cari giovani, sulle tombe degli apostoli rafforzate la vostra fede nel Signore risorto affinché la possiate testimoniare più coraggiosamente con la vostra vita. Siano lodati Gesù e Maria! ]

Srdečne pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Farnosti Raslavice. Bratia a sestry, milí mladí, prajem vám, aby vaša púť do Ríma upevnila vaše puto s Kristom a s jeho Cirkvou. Všetkých vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli della Parrocchia di Raslavice. Fratelli e sorelle, cari giovani, vi auguro che il pellegrinaggio a Roma approfondisca il vostro legame con Cristo e con la sua Chiesa. A tutti la mia benedizione. Sia lodato Gesù Cristo!]

Serdecznie witam i pozdrawiam Polaków. Moją szczególną modlitwą ogarniam dzisiaj Episkopat polski, Arcybiskupa Prymasa i uczestników uroczystości odpustowych w Gnieźnie. Niech święty Wojciech, patron Polski, wyprasza obfitość łask dla Kościoła, zwłaszcza dar licznych powołań kapłańskich i zakonnych, pomyślność dla waszej Ojczyzny i polskich rodzin. Z serca błogosławię wam wszystkim.

[Do il mio benvenuto e un cordiale saluto a tutti i Polacchi. Con la mia preghiera mi unisco oggi all’Episcopato polacco, all’Arcivescovo Primate e a tutti i partecipanti alla festa patronale a Gniezno. Sant’Adalberto, patrono della Polonia, ottenga abbondanti grazie alla Chiesa, in modo particolare il dono di numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, la prosperità per la vostra patria e per le famiglie polacche. Di cuore vi benedico tutti.]

Rivolgo infine un saluto cordiale ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai ragazzi di Cuneo e di Casatenovo, ai cresimandi di Tione di Trento, Mozzo, Ciserano e Sorisole, Morro d’Alba e Belvedere Ostrense, e a tutti gli altri numerosi giovani presenti. Saluto i diversi gruppi parrocchiali e i partecipanti al raduno di autovetture d’epoca. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana. Grazie. Buona domenica.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

Benedetto XVI alla Santa Messa con Ordinazioni sacerdotali (29 aprile 2012)




OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
IV Domenica di Pasqua, 29 aprile 2012



Venerati Fratelli,
cari Ordinandi,
cari fratelli e sorelle!

La tradizione romana di celebrare le Ordinazioni sacerdotali in questa IV Domenica di Pasqua, la domenica «del Buon Pastore», contiene una grande ricchezza di significato, legata alla convergenza tra la Parola di Dio, il Rito liturgico e il Tempo pasquale in cui si colloca. In particolare, la figura del pastore, così rilevante nella Sacra Scrittura e naturalmente molto importante per la definizione del sacerdote, acquista la sua piena verità e chiarezza sul volto di Cristo, nella luce del Mistero della sua morte e risurrezione. Da questa ricchezza anche voi, cari Ordinandi, potrete sempre attingere, ogni giorno della vostra vita, e così il vostro sacerdozio sarà continuamente rinnovato.

Quest’anno il brano evangelico è quello centrale del capitolo 10 di Giovanni e inizia proprio con l’affermazione di Gesù: «Io sono il buon pastore», a cui subito segue la prima caratteristica fondamentale: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11). Ecco: qui noi siamo immediatamente condotti al centro, al culmine della rivelazione di Dio come pastore del suo popolo; questo centro e culmine è Gesù, precisamente Gesù che muore sulla croce e risorge dal sepolcro il terzo giorno, risorge con tutta la sua umanità, e in questo modo coinvolge noi, ogni uomo, nel suo passaggio dalla morte alla vita. Questo avvenimento – la Pasqua di Cristo – in cui si realizza pienamente e definitivamente l’opera pastorale di Dio, è un avvenimento sacrificale: perciò il Buon Pastore e il Sommo Sacerdote coincidono nella persona di Gesù che ha dato la vita per noi.


Ma osserviamo brevemente anche le prime due Letture e il Salmo responsoriale (Sal 118). Il brano degli Atti degli Apostoli (4,8-12) ci presenta la testimonianza di san Pietro davanti ai capi del popolo e agli anziani di Gerusalemme, dopo la prodigiosa guarigione dello storpio. Pietro afferma con grande franchezza che «Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo»; e aggiunge: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (vv. 11-12). L’Apostolo interpreta poi alla luce del mistero pasquale di Cristo il Salmo 118, in cui l’orante rende grazie a Dio che ha risposto al suo grido d’aiuto e lo ha tratto in salvo. Dice questo Salmo: «La pietra scartata dai costruttori / è divenuta la pietra d’angolo. / Questo è stato fatto dal Signore: / una meraviglia ai nostri occhi» (Sal 118,22-23). Gesù ha vissuto proprio questa esperienza: di essere scartato dai capi del suo popolo e riabilitato da Dio, posto a fondamento di un nuovo tempio, di un nuovo popolo che darà lode al Signore con frutti di giustizia (cfr Mt 21,42-43). Dunque, la prima Lettura e il Salmo responsoriale, che è lo stesso Salmo 118, richiamano fortemente il contesto pasquale, e con questa immagine della pietra scartata e ristabilita attirano il nostro sguardo su Gesù morto e risorto.

La seconda Lettura, tratta dalla Prima Lettera di Giovanni (3,1-2), ci parla invece del frutto della Pasqua di Cristo: il nostro essere diventati figli di Dio. Nelle parole di Giovanni si sente ancora tutto lo stupore per questo dono: non soltanto siamo chiamati figli di Dio, ma «lo siamo realmente» (v. 1). In effetti, la condizione filiale dell’uomo è il frutto dell’opera salvifica di Gesù: con la sua incarnazione, con la sua morte e risurrezione e con il dono dello Spirito Santo Egli ha inserito l’uomo dentro una relazione nuova con Dio, la sua stessa relazione con il Padre. Per questo Gesù risorto dice: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17). E’ una relazione già pienamente reale, ma che non è ancora pienamente manifestata: lo sarà alla fine, quando – se Dio vorrà – potremo vedere il suo volto senza veli (cfr v. 2).

Cari Ordinandi, è là che ci vuole condurre il Buon Pastore! E’ là che il sacerdote è chiamato a condurre i fedeli a lui affidati: alla vita vera, la vita «in abbondanza» (Gv 10,10). Torniamo dunque al Vangelo, e alla parabola del pastore. «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11). Gesù insiste su questa caratteristica essenziale del vero pastore che è Lui stesso: quella del «dare la propria vita». Lo ripete tre volte, e alla fine conclude dicendo: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10,17-18). E’ questo chiaramente il tratto qualificante del pastore così come Gesù lo interpreta in prima persona, secondo la volontà del Padre che lo ha mandato. La figura biblica del re-pastore, che comprende principalmente il compito di reggere il popolo di Dio, di tenerlo unito e guidarlo, tutta questa funzione regale si realizza pienamente in Gesù Cristo nella dimensione sacrificale, nell’offerta della vita. Si realizza, in una parola, nel mistero della Croce, cioè nel supremo atto di umiltà e di amore oblativo. Dice l’abate Teodoro Studita: «Per mezzo della croce noi, pecorelle di Cristo, siamo stati radunati in un unico ovile e siamo destinati alle eterne dimore» (Discorso sull’adorazione della croce: PG 99, 699).


In questa prospettiva orientano le formule del Rito dell’Ordinazione dei Presbiteri, che stiamo celebrando. Ad esempio, tra le domande che riguardano gli «impegni degli eletti», l’ultima, che ha un carattere culminante e in qualche modo sintetico, dice così: «Volete essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando voi stessi a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?». Il sacerdote è infatti colui che viene inserito in un modo singolare nel mistero del Sacrificio di Cristo, con una unione personale a Lui, per prolungare la sua missione salvifica. Questa unione, che avviene grazie al Sacramento dell’Ordine, chiede di diventare “sempre più stretta” per la generosa corrispondenza del sacerdote stesso. Per questo, cari Ordinandi, tra poco voi risponderete a questa domanda dicendo: «Sì, con l’aiuto di Dio, lo voglio». Successivamente, nei Riti esplicativi, al momento dell’unzione crismale, il celebrante dice: «Il Signore Gesù Cristo, che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio». E poi, alla consegna del pane e del vino: «Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore». Risalta con forza che, per il sacerdote, celebrare ogni giorno la Santa Messa non significa svolgere una funzione rituale, ma compiere una missione che coinvolge interamente e profondamente l’esistenza, in comunione con Cristo risorto che, nella sua Chiesa, continua ad attuare il Sacrificio redentore.

Questa dimensione eucaristica-sacrificale è inseparabile da quella pastorale e ne costituisce il nucleo di verità e di forza salvifica, da cui dipende l’efficacia di ogni attività. Naturalmente non parliamo della efficacia soltanto sul piano psicologico o sociale, ma della fecondità vitale della presenza di Dio al livello umano profondo. La stessa predicazione, le opere, i gesti di vario genere che la Chiesa compie con le sue molteplici iniziative, perderebbero la loro fecondità salvifica se venisse meno la celebrazione del Sacrificio di Cristo. E questa è affidata ai sacerdoti ordinati. In effetti, il presbitero è chiamato a vivere in se stesso ciò che ha sperimentato Gesù in prima persona, cioè a darsi pienamente alla predicazione e alla guarigione dell’uomo da ogni male del corpo e dello spirito, e poi, alla fine, riassumere tutto nel gesto supremo del «dare la vita» per gli uomini, gesto che trova la sua espressione sacramentale nell’Eucaristia, memoriale perpetuo della Pasqua di Gesù. E’ solo attraverso questa «porta» del Sacrificio pasquale che gli uomini e le donne di tutti i tempi e luoghi possono entrare nella vita eterna; è attraverso questa «via santa» che possono compiere l’esodo che li conduce alla «terra promessa» della vera libertà, ai «pascoli erbosi» della pace e della gioia senza fine (cfr Gv 10,7.9; Sal 77,14.20-21; Sal 23,2).

Cari Ordinandi, questa Parola di Dio illumini tutta la vostra vita. E quando il peso della croce si farà più pesante, sappiate che quella è l’ora più preziosa, per voi e per le persone a voi affidate: rinnovando con fede e con amore il vostro «sì, con l’aiuto di Dio lo voglio», voi coopererete con Cristo, Sommo Sacerdote e Buon Pastore, a pascere le sue pecorelle – magari quella sola che si era smarrita, ma per la quale si fa grande festa in Cielo! La Vergine Maria, Salus Populi Romani, vegli sempre su ciascuno di voi e sul vostro cammino. Amen.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XLIX Mondiale di Preghiera per le Vocazioni - 24 aprile 2012 - IV Domenica di Pasqua

 


sabato 28 aprile 2012

IV Domenica di Pasqua, Anno B - Domínica tértia post Pascha ( 29 aprile 2012)




29 APRILE 2012






Nel nome di Gesù Cristo la salvezza

Il dinamismo della potenza divina e liberatrice del Risorto, in forza del «nome di Gesù Cristo», continua ad agire attraverso coloro che egli ha costituito pastori della sua Chiesa perché, nel suo nome, conducano gli uomini alla salvezza. È in questa prospettiva che Pietro afferma la necessità dell’unico gregge sotto un solo pastore: «In nessun altro c'è salvezza» (prima lettura).

Un solo gregge e un solo pastore
La forza operatrice di unità che viene da Cristo è presentata nel vangelo di Giovanni sotto l'allegoria del buon pastore che da la vita per le pecore. Di ciò profeterà Caifa decidendo la morte di Gesù e l'evangelista commenterà: «... come sommo sacerdote, fece una profezia: disse che Gesù sarebbe morto per la nazione, e non soltanto per la nazione, ma anche per unire i figli di Dio dispersi» (cf Gv 11,49-52). È dunque Gesù stesso a far conoscere la relazione vitale che intercorre tra il pastore e le pecore e ad indicare alla Chiesa il cammino da percorrere per il conseguimento dell'unità.
Il buon pastore conosce le sue pecore ed esse conoscono lui, «come il Padre conosce me e io conosco il Padre» (vangelo). È una conoscenza profonda, reciproca, interpersonale che riflette la più intima unione possibile, quella esistente tra le persone del Padre, del Figlio e dello Spirito in seno alla vita trinitaria. Questa è la sorgente che attirerà al vero ovile di Cristo le pecore che ancora non vi appartengono e le renderà attente e capaci di riconoscere la sua voce, la voce di colui che dona la propria vita per la salvezza di tutti.

Unità e unicità della Chiesa
In forza dello Spirito — «per mezzo del quale il Signore Gesù chiamò e riunì nell'unità della fede, della speranza e della carità il popolo della nuova Alleanza» (UR 2) — tutte le Chiese sono sospinte nella ricerca dell'unità, per porre fine allo scandalo delle separazioni di chi si appella all'unico nome di Cristo: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo» perché, fatto uomo, con la redenzione rinnovasse il genere umano e lo radunasse insieme (cf 1 Gv 4,9; Col 1,18-20; Gv 11,52). Anche oggi «Gesù Cristo per mezzo della fedele predicazione del Vangelo, dell’amministrazione dei sacramenti e del governo amorevole da parte degli Apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi con a capo il successore di Pietro, sotto l'azione dello Spirito Santo, vuole che il suo popolo cresca e perfezioni la sua comunione nella unità: nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio.
Così la Chiesa, unico gregge di Dio, quale vessillo levato tra i popoli (cf Is 11,10-12), servendo a tutto il genere umano il Vangelo della pace (cf Ef 2,17-18; Mc 16,15) compie nella speranza il suo pellegrinaggio alla meta della patria celeste (cf Pt 1,3-9).
Questo è il sacro mistero dell'unità della Chiesa, in Cristo e per mezzo di Cristo, mentre lo Spirito Santo opera la varietà dei doni. Il supremo modello e principio di questo mistero è la unità nella Trinità delle persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo» (UR 2).

Eucaristia: segno e prefigurazione dell'unica Chiesa
Con il battesimo siamo diventati figli di Dio e tali siamo già adesso vivendo nel mondo: questa è la realtà radicale del nostro essere cristiani di fronte alla quale ci pone l'apostolo Giovanni (seconda lettura). La nostra assemblea eucaristica è dunque segno che già è avvenuta la riunione dei figli di Dio dispersi.
Nell'Eucaristia continua a costruirsi l'unità della Chiesa sul fondamento della Pasqua di Cristo: «La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo» (salmo responsoriale). Ci troviamo davanti a un succedersi di immagini le quali ci dicono che il Signore e il suo Spirito sono all'opera perché, attraverso l'economia del già e del non ancora, le singole Chiese avanzino progressivamente verso la ricomposizione dell'unità nell'unica Chiesa.
Per questo nella preghiera eucaristica ricordiamo «tutti gli uomini che cercano Dio con cuore sincero» e tutti coloro «dei quali solo Dio ha conosciuto la fede» (Preghiera eucaristica IV). Così pure, mentre invochiamo lo Spirito per essere da lui «riuniti in un solo corpo», pensiamo anche a «tutti gli uomini di buona volontà nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia» e ai quali lo stesso Spirito dà «la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (GS 22). Accettare questo mistero significa entrare in relazione con il Signore, conoscerlo, ascoltare la sua voce per giungere con sicurezza ai pascoli eterni del ciclo, accanto al Padre (cf colletta e orazione dopo la comunione). (CC Salesiano).




Cristo, buon pastore

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno papa
(Om. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130)

«Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le mie pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente: corrispondono all'amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre l'amore della verità.

Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non solo della conoscenza della fede, ma anche di quella dell'amore; non del solo credere, ma anche dell'operare. L'evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1 Gv 2, 4).

Perciò in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore «(Gv 10, 15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io conosco il Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore; cioè io dimostro in quale misura amo il Padre dall'amore con cui muoio per le pecore.

Di queste pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna (cfr. Gv 10, 14-16). Di esse aveva detto poco prima: «Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 9). Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall'atto di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel banchetto eterno.

Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli intimi gaudi del paradiso, ch'è eterna primavera? Infatti pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre lo si contempla senza paura di perderlo, l'anima si sazia senza fine del cibo della vita.

Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S'infervori la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s'infiammino per i beni superni. In tal modo amare sarà già un camminare.

Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno desidera raggiungere la metà stabilita, nessuna asperità del cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare.

mercoledì 25 aprile 2012

Benedetto XVI all'Udienza Generale "Il primato della preghiera e della Parola di Dio (At 6, 1-7)" (Mercoledì, 25 aprile 2012)



BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 25 aprile 2012



Il primato della preghiera e della Parola di Dio (At 6, 1-7)

Cari fratelli e sorelle,

nella scorsa catechesi, ho mostrato che la Chiesa, fin dagli inizi del suo cammino, si è trovata a dover affrontare situazioni impreviste, nuove questioni ed emergenze a cui ha cercato di dare risposta alla luce della fede, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. Oggi vorrei soffermarmi a riflettere su un’altra di queste situazioni, su un problema serio che la prima comunità cristiana di Gerusalemme ha dovuto fronteggiare e risolvere, come ci narra san Luca nel capitolo sesto degli Atti degli Apostoli, circa la pastorale della carità verso le persone sole e bisognose di assistenza e aiuto. La questione non è secondaria per la Chiesa e rischiava in quel momento di creare divisioni all’interno della Chiesa; il numero dei discepoli, infatti, andava aumentando, ma quelli di lingua greca iniziavano a lamentarsi contro quelli di lingua ebraica perché le loro vedove venivano trascurate nella distribuzione quotidiana (cfr At 6,1). Di fronte a questa urgenza che riguardava un aspetto fondamentale nella vita della comunità, cioè la carità verso i deboli, i poveri, gli indifesi, e la giustizia, gli Apostoli convocano l’intero gruppo dei discepoli. In questo momento di emergenza pastorale risalta il discernimento compiuto dagli Apostoli. Essi si trovano di fronte all’esigenza primaria di annunciare la Parola di Dio secondo il mandato del Signore, ma - anche se è questa l'esigenza primaria della Chiesa - considerano con altrettanta serietà il dovere della carità e della giustizia, cioè il dovere di assistere le vedove, i poveri, di provvedere con amore alle situazioni di bisogno in cui si vengono a trovare i fratelli e le sorelle, per rispondere al comando di Gesù: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi (cfr Gv 15,12.17). Quindi le due realtà che devono vivere nella Chiesa - l'annuncio della Parola, il primato di Dio, e la carità concreta, la giustizia -, stanno creando difficoltà e si deve trovare una soluzione, perché ambedue possano avere il loro posto, la loro relazione necessaria. La riflessione degli Apostoli è molto chiara, dicono, come abbiamo sentito: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la Parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,2-4).


Due cose appaiono: primo, esiste da quel momento nella Chiesa, un ministero della carità. La Chiesa non deve solo annunciare la Parola, ma anche realizzare la Parola, che è carità e verità. E, secondo punto, questi uomini non solo devono godere di buona reputazione, ma devono essere uomini pieni di Spirito Santo e di sapienza, cioè non possono essere solo organizzatori che sanno «fare», ma devono «fare» nello spirito della fede con la luce di Dio, nella sapienza nel cuore, e quindi anche la loro funzione - benché soprattutto pratica - è tuttavia una funzione spirituale. La carità e la giustizia non sono solo azioni sociali, ma sono azioni spirituali realizzate nella luce dello Spirito Santo. Quindi possiamo dire che questa questa situazione viene affrontata con grande responsabilità da parte degli Apostoli, che prendono questa decisione: vengono scelti sette uomini; gli Apostoli pregano per chiedere la forza dello Spirito Santo; e poi impongono loro le mani perché si dedichino in modo particolare a questa diaconia della carità. Così, nella vita della Chiesa, nei primi passi che essa compie, si riflette, in un certo modo, quanto era avvenuto durante la vita pubblica di Gesù, in casa di Marta e Maria a Betania. Marta era tutta presa dal servizio dell’ospitalità da offrire a Gesù e ai suoi discepoli; Maria, invece, si dedica all’ascolto della Parola del Signore (cfr Lc 10,38-42). In entrambi i casi, non vengono contrapposti i momenti della preghiera e dell’ascolto di Dio, e l’attività quotidiana, l’esercizio della carità. Il richiamo di Gesù: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno, Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42), come pure la riflessione degli Apostoli: «Noi… ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,4), mostrano la priorità che dobbiamo dare a Dio, Non vorrei entrare adesso nell'interpretazione di questa pericope Marta-Maria. In ogni caso non va condannata l'attività per il prossimo, per l'altro, ma va sottolineato che deve essere penetrata interiormente anche dallo spirito della contemplazione. D'altra parte, sant'Agostino dice che questa realtà di Maria è una visione della nostra situazione del cielo, quindi sulla terra non possiamo mai averla completamente, ma un po' di anticipazione deve essere presente in tutta la nostra attività. Deve essere presente anche la contemplazione di Dio. Non dobbiamo perderci nell'attivismo puro, ma sempre lasciarci anche penetrare nella nostra attività dalla luce della Parola di Dio e così imparare la vera carità, il vero servizio per l'altro, che non ha bisogno di tante cose - ha bisogno certamente delle cose necessarie - ma ha bisogno soprattutto dell'affetto del nostro cuore, della luce di Dio.

Sant’Ambrogio, commentando l’episodio di Marta e Maria, così esorta i suoi fedeli e anche noi: «Cerchiamo di avere anche noi ciò che non ci può essere tolto, porgendo alla parola del Signore una diligente attenzione, non distratta: capita anche ai semi della parola celeste di essere portati via, se sono seminati lungo la strada. Stimoli anche te, come Maria, il desiderio di sapere: è questa la più grande, più perfetta opera» E aggiunge che anche «la cura del ministero non distragga dalla conoscenza della parola celeste», dalla preghiera (Expositio Evangelii secundum Lucam, VII, 85: PL 15, 1720). I Santi, quindi, hanno sperimentato una profonda unità di vita tra preghiera e azione, tra l’amore totale a Dio e l’amore ai fratelli. San Bernando, che è un modello di armonia tra contemplazione ed operosità, nel libro De consideratione, indirizzato al Papa Innocenzo II per offrigli alcune riflessioni circa il suo ministero, insiste proprio sull’importanza del raccoglimento interiore, della preghiera per difendersi dai pericoli di una attività eccessiva, qualunque sia la condizione in cui ci si trova e il compito che si sta svolgendo. San Bernardo afferma che le troppe occupazioni, una vita frenetica, spesso finiscono per indurire il cuore e far soffrire lo spirito (cfr II, 3).

E’ un prezioso richiamo per noi oggi, abituati a valutare tutto con il criterio della produttività e dell’efficienza. Il brano degli Atti degli Apostoli ci ricorda l’importanza del lavoro - senza dubbio viene creato un vero e proprio ministero -, dell’impegno nelle attività quotidiane che vanno svolte con responsabilità e dedizione, ma anche il nostro bisogno di Dio, della sua guida, della sua luce che ci danno forza e speranza. Senza la preghiera quotidiana vissuta con fedeltà, il nostro fare si svuota, perde l’anima profonda, si riduce ad un semplice attivismo che, alla fine, lascia insoddisfatti. C’è una bella invocazione della tradizione cristiana da recitarsi prima di ogni attività, che dice così: «Actiones nostras, quæsumus, Domine, aspirando præveni et adiuvando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur», cioè: «Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostro parlare ed agire abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento». Ogni passo della nostra vita, ogni azione, anche della Chiesa, deve essere fatta davanti a Dio, alla luce della sua Parola.

Nella catechesi del mercoledì scorso avevo sottolineato la preghiera unanime della prima comunità cristiana di fronte alla prova e come, proprio nella preghiera, nella meditazione sulla Sacra Scrittura essa ha potuto comprendere gli eventi che stavano accadendo. Quando la preghiera è alimentata dalla Parola di Dio, possiamo vedere la realtà con occhi nuovi, con gli occhi della fede e il Signore, che parla alla mente e al cuore, dona nuova luce al cammino in ogni momento e in ogni situazione. Noi crediamo nella forza della Parola di Dio e della preghiera. Anche la difficoltà che stava vivendo la Chiesa di fronte al problema del servizio ai poveri, alla questione della carità, viene superata nella preghiera, alla luce di Dio, dello Spirito Santo. Gli Apostoli non si limitano a ratificare la scelta di Stefano e degli altri uomini. ma «dopo aver pregato, imposero loro le mani» (At 6,6). L’Evangelista ricorderà nuovamente questi gesti in occasione dell’elezione di Paolo e Barnaba, dove leggiamo: «dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono» (At 13,3). Conferma di nuovo che il servizio pratico della carità è un servizio spirituale. Ambedue le realtà devono andare insieme.

Con il gesto dell’imposizione delle mani, gli Apostoli conferiscono un ministero particolare a sette uomini, perché sia data loro la grazia corrispondente. La sottolineatura della preghiera – «dopo aver pregato», dicono – è importante perché evidenzia proprio la dimensione spirituale del gesto; non si tratta semplicemente di conferire un incarico come avviene in un’organizzazione sociale, ma è un evento ecclesiale in cui lo Spirito Santo si appropria di sette uomini scelti dalla Chiesa, consacrandoli nella Verità che è Gesù Cristo: è Lui il protagonista silenzioso, presente nell’imposizione delle mani affinché gli eletti siano trasformati dalla sua potenza e santificati per affrontare le sfide pratiche, le sfide pastorali. E la sottolineatura della preghiera ci ricorda inoltre che solo dal rapporto intimo con Dio coltivato ogni giorno nasce la risposta alla scelta del Signore e viene affidato ogni ministero nella Chiesa.

Cari fratelli e sorelle, il problema pastorale che ha indotto gli Apostoli a scegliere e ad imporre le mani su sette uomini incaricati del servizio della carità, per dedicarsi loro stessi alla preghiera e all’annuncio della Parola, indica anche a noi il primato della preghiera e della Parola di Dio, che, tuttavia, produce poi anche l'azione pastorale. Per i Pastori questa è la prima e più preziosa forma di servizio verso il gregge loro affidato. Se i polmoni della preghiera e della Parola di Dio non alimentano il respiro della nostra vita spirituale, rischiamo di soffocare in mezzo alle mille cose di ogni giorno: la preghiera è il respiro dell’anima e della vita. E c’è un altro prezioso richiamo che vorrei sottolineare: nel rapporto con Dio, nell’ascolto della sua Parola, nel dialogo con Dio, anche quando ci troviamo nel silenzio di una chiesa o della nostra stanza, siamo uniti nel Signore a tanti fratelli e sorelle nella fede, come un insieme di strumenti che, pur nella loro individualità, elevano a Dio un’unica grande sinfonia di intercessione, di ringraziamento e di lode. Grazie.




Saluti:

Je salue les pèlerins francophones, particulièrement les nombreux groupes diocésains et paroissiaux accompagnés par leurs Évêques respectifs, ainsi que les catéchistes de Strasbourg et tous les jeunes français et suisses venus à Rome. Puissiez-vous redécouvrir le goût de la prière pour répondre chaque jour à l’appel du Seigneur. Bon pèlerinage à tous !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Audience, including those from England, Finland, Sweden, Nigeria, India, Indonesia, Malaysia, the Philippines and the United States of America. Upon you and your families I cordially invoke the joy and peace of the Risen Lord.

Ganz herzlich grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher, insbesondere die Gruppe der Hörer des Bayerischen Rundfunks. Inmitten der Herausforderungen des täglichen Miteinanders haben die Apostel den Vorrang Gottes betont. Auch wir wollen die Prioritäten richtig setzen, damit das Gebet und das Wort Gottes der Atem unserer Seele und unseres Lebens sein können und wir nicht unter den vielen Alltagsdingen ersticken und die Maßstäbe verlieren und selber leer werden. Der Herr schenke uns allen dazu seinen Segen.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos venidos de España, México, Guatemala, Venezuela y otros países latinoamericanos. Invito a todos a participar en la apasionante tarea de edificar la Iglesia de Cristo en todas sus facetas, no solamente con buena voluntad, sino santificando con la oración cada uno de los pasos de nuestro hacer. Muchas gracias.

Uma saudação cordial aos diversos grupos de brasileiros e demais peregrinos de língua portuguesa, nomeadamente aos fiéis da Diocese de Serrinha acompanhados do seu Bispo, Dom Ottorino Assolari. No meio dos inúmeros afazeres diários, é justamente na oração, alimentada pela Palavra de Deus, que encontrareis novas luzes para vos guiar em cada momento e situação. E que Deus vos abençoe a vós e vossas famílias

Saluto in lingua polacca:

Serdecznie pozdrawiam obecnych tu polskich pielgrzymów. Moi drodzy, modlitwa i słuchanie Słowa Bożego są oddechem duszy i źródłem życia duchowego. Jest to też fundament i przejaw jedności wszystkich, którzy wielbią Boga, dziękują i proszą z wiarą i miłością. Niech Wasze pielgrzymowanie będzie szkołą modlitwy i medytacji! Niech Bóg Wam błogosławi!

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi qui presenti. Carissimi, la preghiera e l’ascolto della Parola di Dio sono il respiro dell’anima e la fonte della vita spirituale. E’ anche questo il fondamento e l’espressione dell’unione di tutti coloro che alzano a Dio la lode, il ringraziamento e l’intercessione con fede e amore. Il vostro pellegrinare sia una scuola di preghiera e di meditazione! Dio vi benedica!

Saluto in lingua croata:

Od srca pozdravljam i blagoslivljam sve hrvatske hodočasnike, a osobito vjernike iz župe Blažene Djevice Marije Kraljice apostola te dječji zbor „Klinci s Ribnjaka“ zajedno s gradonačelnikom grada Zagreba. Dragi prijatelji, molitvom i pjesmom hrabro svjedočite uskrsnu radost. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Di cuore saluto e benedico tutti i pellegrini croati, particolarmente i fedeli della parrocchia “Beata Vergine Maria Regina degli Apostoli” e il coro di voci bianche “Klinci s Ribnjaka”, insieme con il Sindaco di Zagabria. Cari amici, con la preghiera e con il canto testimoniate coraggiosamente la gioia pasquale. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

S láskou vítam slovenských pútnikov, osobitne z Košíc, Prešova a Žiliny.
Bratia a sestry, budúcu nedeľu budeme sláviť Deň modlitby za duchovné povolania. Proste Krista, Dobrého Pastiera, aby stále posielal nových pracovníkov do svojej služby.
Ochotne žehnám vás i vašich drahých.
Pochválený buď Ježiš Kristus!

Traduzione italiana:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli provenienti da Košice, Prešov e Žilina.
Fratelli e sorelle, domenica prossima celebreremo la Giornata di preghiera per le Vocazioni. Domandate a Cristo, Buon Pastore, di mandare sempre nuovi operai al suo servizio.
Volentieri benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Isten hozta a magyar zarándokokat! Szeretettel köszöntelek Benneteket, különösen is azokat, akik Belgiumból érkeztek.
Amint egykor az apostolok, Ti is örömmel és bátran hirdessétek a feltámadott Krisztust! Szívből adom rátok apostoli áldásomat.
Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Un saluto cordiale ai fedeli di lingua ungherese, specialmente ai membri del gruppo arrivato da Belgio.
Come un tempo gli apostoli, anche voi lieti e coraggiosi annunciate il Cristo risorto. Di cuore vi benedico!
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Bari, accompagnati dall’Arcivescovo Mons. Francesco Cacucci, che ricordano il quarto Centenario di fondazione del Seminario diocesano, per il quale auspico una feconda prosecuzione dell’opera formativa a servizio dei candidati al sacerdozio. Saluto i partecipanti al pellegrinaggio delle Suore Minime della Passione, guidato dall’Arcivescovo di Cosenza-Bisignano Mons. Salvatore Nunnari, e li esorto, sull’esempio della Beata Elena Aiello, a continuare il cammino di fede e di carità. Saluto le famiglie con vittime di incidenti stradali e, mentre assicuro la mia preghiera per quanti hanno perso la vita sulle strade, ricordo il dovere di guidare sempre con prudenza e senso di responsabilità. Saluto i partecipanti al corso «Progetto Policoro» e faccio voti che esso, alla luce dei valori evangelici, possa sostenere quanti si adoperano in favore delle problematiche lavorative delle giovani generazioni. Saluto con affetto il gruppo Guide e Scouts d’Europa Cattolici, di Mortara: cari amici, testimoniate con gioia la fede in Gesù Cristo che vi chiama a edificare insieme con i vostri Pastori la sua Chiesa.

Rivolgo, infine, il mio pensiero ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, ponetevi alla scuola di Cristo per imparare a seguire fedelmente le sue orme. Voi, cari ammalati, accogliete con fede le vostre prove e vivetele in unione a quelle di Cristo. A voi, cari sposi novelli, auguro di diventare servitori generosi del Vangelo della vita.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana


martedì 24 aprile 2012

S. Marco, Evangelista (f) 25 Aprile




25 APRILE


L’evangelista Marco, o Giovanni-Marco (Atti 12,12.25; 15,37) apparteneva ad una famiglia ellenizzata di Gerusalemme, che mise la sua casa a disposizione dei primi cristiani (Atti 12,12-16). E’ possibile che questa casa fosse aperta a Cristo e ai suoi apostoli e che si sia svolta in tale ambiente l’ultima Cena. Marco accompagnò Paolo nel suo primo viaggio missionario (Atti 12,25; 13,5), ma pare che non abbia partecipato all’entusiasmo dell’Apostolo; rientrò da solo a Gerusalemme (Atti 13,13); a suo riguardo ci fu una viva discussione fra Paolo e Barnaba in occasione della organizzazione del secondo viaggio apostolico di Paolo (Atti 15,39-40). Seguì poi Pietro a Roma e si mise ai suo servizio durante la prigionia dei capo degli apostoli (Col 4,10), e infine si pose di nuovo a disposizione di Paolo durante la prigionia di quest’ultimo (2 Tim 4,11). Marco ci presenta Gesù, scoperto attraverso l’esperienza stessa dei suoi discepoli e apostoli. Una domanda ricorre per presentare ancor oggi Gesù al mondo: «Chi è costui?».

E’ un vangelo concepito in una visuale tutta speciale: quella del contrasto doloroso tra il Cristo rivestito delle prerogative di guarigione (1,31), di perdono (2,10) e di vittoria sui demoni (1,24-27; 1,34; 3,11.23; 5,7), e gli uomini che si beffano di lui (5,40; 6,2; 15,29-32) e vogliono la sua rovina (3,6; 12,13; 14,1). Quando si presenta l’occasione, Marco non esita a mostrare questa stessa opposizione all’interno dei gruppo dei discepoli (4,13) e della famiglia di Cristo (3,20-35). Egli spiega questo «scandaloso» contrasto con lo stesso mistero pasquale (Mc 16), facendo inoltre vedere che in esso si compie una profonda legge del piano di Dio (8,31; 9,31; 10,33) che si ritrova in tutta la vocazione cristiana (8,34; 9,35; 10,24-39; 13,9-13). Vangelo dei Messia umiliato e osteggiato, sofferente e crocifisso, conduce alla professione di fede del centurione: «Costui era veramente il Figlio di Dio ».

Marco è l’Evangelista che pone più in rilievo il tradimento di Giuda e di Pietro. Vendere Cristo o rifiutare di riconoscerlo nei fratelli è il tradimento che perennemente sta in agguato dietro ogni nostra Cena eucaristica. (CC Salesiano)




La proclamazione della verità

Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo
(Lib. 1, 10, 1-3; PG 7, 550-554)

La Chiesa, sparsa in tutto il mondo, fino agli ultimi confini della terra, ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli la fede nell'unico Dio, Padre onnipotente, che fece il cielo la terra e il mare e tutto ciò che in essi è contenuto (cfr. At 4, 24). La Chiesa accolse la fede nell'unico Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnatosi per la nostra salvezza. Credette nello Spirito Santo che per mezzo dei profeti manifestò il disegno divino di salvezza: e cioè la venuta di Cristo, nostro Signore, la sua nascita dalla Vergine, la sua passione e la risurrezione dai morti, la sua ascensione corporea al cielo e la sua venuta finale con la gloria del Padre. Allora verrà per «ricapitolare tutte le cose» (Ef 1, 10) e risuscitare ogni uomo, perché dinanzi a Gesù Cristo, nostro Signore e Dio e Salvatore e Re secondo il beneplacito del Padre invisibile «ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua lo proclami» (Fil 2, 10) ed egli pronunzi su tutti il suo giudizio insindacabile.

Avendo ricevuto, come dissi, tale messaggio e tale fede, la Chiesa li custodisce con estrema cura, tutta compatta come abitasse in un'unica casa, benché ovunque disseminata. Vi aderisce unanimemente quasi avesse una sola anima e un solo cuore. Li proclama, li insegna e li trasmette all'unisono, come possedesse un'unica bocca.

Benché infatti nel mondo diverse siano le lingue, unica e identica è la forza della tradizione. Per cui le chiese fondate in Germania non credono o trasmettono una dottrina diversa da quelle che si trovano in Spagna o nelle terre dei Celti o in Oriente o in Egitto o in Libia o al centro del mondo. Come il sole, creatura di Dio, è unico in tutto l'universo, così la predicazione della verità brilla ovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. E così tra coloro che presiedono le chiese nessuno annunzia una dottrina diversa da questa, perché nessuno è al di sopra del suo maestro.

Si tratti di un grande oratore o di un misero parlatore, tutti insegnano la medesima verità. Nessuno sminuisce il contenuto della tradizione. Unica e identica è la fede. Perciò né il fecondo può arricchirla, né il balbuziente impoverirla.

A colloquio con il vescovo Luigi Negri "Quel ministero di consolazione chiamato esorcismo" - 24 aprile 2012

lunedì 23 aprile 2012

Benedetto XVI: Messaggio in occasione del VII Congresso Mondiale della Pastorale del Turismo [Cancún, 23-27 aprile 2012] (18 aprile 2012)



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
IN OCCASIONE DEL VII CONGRESSO MONDIALE
DELLA PASTORALE DEL TURISMO
(Cancun, 23-27 aprile 2012)
[Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]


Ai Venerati Fratelli,
il Signor Cardinale Antonio Maria Vegliò,
Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale
dei Migranti ed Itineranti,
e Mons. Pedro Pablo Elizondo Cárdenas, L.C.
Vescovo Prelato di Cancún-Chetumal

In occasione del VII Congresso Mondiale della Pastorale del Turismo, che si celebrerà a Cancún (Messico), dal 23 al 27 aprile, desidero rivolgervi il mio cordiale saluto, che estendo ai venerati Fratelli nell’Episcopato e ai partecipanti a questa importante riunione. All’inizio di queste giornate di riflessione sull’azione pastorale che la Chiesa realizza nell’ambito del turismo, desidero far giungere ai congressisti la mia vicinanza spirituale, così come il mio deferente saluto alle autorità civili e ai rappresentanti delle organizzazioni internazionali, che hanno voluto essere presenti a questo evento.

Il turismo è certamente un fenomeno caratteristico della nostra epoca, sia per le dimensioni significative che ha raggiunto come pure per le prospettive di crescita che si prevedono. Come tutta la realtà umana, anch’esso deve essere illuminato e trasformato dalla Parola di Dio. Da questa convinzione, la Chiesa, con la sua sollecitudine pastorale, ed essendo consapevole dell’importante influsso che questo fenomeno ha sull’essere umano, lo accompagna fin dai suoi primi passi, sostiene e promuove le sue potenzialità, e, al medesimo tempo, segnala i suoi rischi e deviazioni e lavora per correggerli.

Il turismo, assieme alle vacanze e al tempo libero, appare come uno spazio privilegiato per il ristoro fisico e spirituale, agevola l’incontro di quanti appartengono a culture diverse, ed è occasione di avvicinamento alla natura, favorendo con tutto ciò l’ascolto e la contemplazione, la tolleranza e la pace, il dialogo e l’armonia in mezzo alla diversità.

Il viaggio è manifestazione del nostro essere homo viator, mentre riflette, allo stesso tempo, l'altro itinerario, più profondo e significativo, che siamo chiamati a percorrere: quello che ci conduce all'incontro con Dio. La possibilità che i viaggi ci offrono di ammirare la bellezza dei paesi, delle culture e della natura, ci può condurre a Dio, favorendo l’esperienza della fede, «difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5). D’altra parte il turismo, come ogni realtà umana, non è esente da pericoli, né da elementi negativi. Si tratta di mali che bisogna affrontare urgentemente, perché colpiscono i diritti e la dignità di milioni di uomini e donne, specialmente dei poveri, dei minori e dei disabili. Il turismo sessuale è una delle forme più abiette di queste deviazioni che devastano, dal punto di vista morale, psicologico e sanitario, la vita delle persone, di tante famiglie e, a volte, di intere comunità. La tratta di esseri umani per motivi sessuali o per trapianti di organi, come lo sfruttamento di minori, il loro abbandono in mano a persone senza scrupoli, l'abuso, la tortura, avvengono tristemente in molti contesti turistici. Tutto questo deve indurre coloro che si dedicano pastoralmente o per motivi di lavoro al mondo del turismo, come pure l’intera comunità internazionale, ad aumentare la vigilanza, a prevenire e contrastare queste aberrazioni.


Nella Enciclica Caritas in veritate ho voluto rimarcare il fenomeno del turismo internazionale nel contesto dello sviluppo umano integrale. «Bisogna, allora, pensare a un turismo diverso, capace di promuovere una vera conoscenza reciproca, senza togliere spazio al riposo e al sano divertimento» (n. 61). Vi invito a far sì che il vostro Congresso, riunito precisamente sotto il motto, Il turismo che fa la differenza, contribuisca a sviluppare questa pastorale che ci porti gradualmente a questo «turismo differente».

Desidero indicare tre ambiti nei quali la pastorale del turismo deve centrare la sua attenzione. In primo luogo, illuminare questo fenomeno con la dottrina sociale della Chiesa, promuovendo una cultura del turismo etico e responsabile, in modo che giunga ad essere rispettoso della dignità delle persone e dei popoli, accessibile a tutti, giusto, sostenibile ed ecologico. Il fruire del tempo libero e delle vacanze periodiche sono una opportunità, così come un diritto. La Chiesa desidera continuare ad offrire la sua sincera collaborazione, nell’ambito che le è proprio, per far sì che questo diritto sia una realtà per tutti gli esseri umani, specialmente per i gruppi maggiormente sfavoriti.

In secondo luogo, l’azione pastorale non deve mai dimenticare la via pulchritudinis, la «via della bellezza». Molte delle manifestazioni del patrimonio storico-culturale religioso «sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi, sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede» (Udienza generale, 31 Agosto 2011). È importante curare l'accoglienza ed organizzare le visite turistiche sempre nel rispetto del luogo sacro e della funzione liturgica per la quale sono nate molte di queste opere e che continua ad essere il loro fine principale.

E, in terzo luogo, la pastorale del turismo deve accompagnare i cristiani nel usufruire delle loro ferie e del tempo libero, in modo che siano di profitto per la loro crescita umana e spirituale. Questo è certamente «un tempo opportuno per distendere il fisico ed anche per nutrire lo spirito attraverso spazi più ampi di preghiera e di meditazione, per crescere nel rapporto personale con Cristo e conformarsi sempre di più ai suoi insegnamenti» (Angelus, 15 Luglio 2007).

La nuova evangelizzazione, alla quale tutti siamo chiamati, ci chiede di avere presente e usare le numerose occasioni che il fenomeno del turismo ci offre per presentare Cristo come risposta suprema agli interrogativi dell'uomo di oggi.

Esorto, infine, affinché la pastorale del turismo formi parte, con pieno diritto, della pastorale organica ed ordinaria della Chiesa, in modo che coordinando i progetti e gli sforzi, rispondiamo con maggiore fedeltà al mandato missionario del Signore.

Con questi sentimenti, affido i frutti di questo Congresso alla potente intercessione di Maria Santissima, Nostra Signora di Guadalupe, e, come pegno di abbondanti favori divini, imparto di cuore a tutti i congressisti l’implorata Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 18 Aprile 2012

BENEDICTUS PP XVI


© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana