mercoledì 4 aprile 2012

Giovedì Santo " L’agnello che ha sconfitto il drago " (Inos Biffi)

 

Giovedì Santo

L’agnello che ha sconfitto il drago

di Inos Biffi

Nell’ultima Cena Gesù istituisce la Pasqua cristiana. All’antico agnello, egli sostituisce se stesso. Gli ebrei, mangiando la Pasqua, si sentivano a loro volta personalmente e attualmente partecipi dell’Esodo. E la ragione profonda era la fedeltà di Dio, che un giorno aveva liberato i padri dalla schiavitù e ora continuava ad accompagnarli. La provvidenza divina non si era interrotta e non si era stemperata e spenta nel passato.

Anzi, la grazia redentrice con la Pasqua di Cristo raggiungeva la sua definitiva pienezza. L’alleanza sancita in passato sul Sinai si compiva nell’alleanza nuova e definitiva, secondo le parole di Gesù durante la cena preparata dai Dodici per la manducazione dell’agnello (Luca, 22, 8. 10): «Questo è il mio corpo, che è dato per voi»; «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi» (Luca, 22, 19-20).

«L’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo» (Giovanni, 2, 29; 2, 36), subentrava a quello dell’Esodo. E così avverava la toccante figura dell’«agnello condotto al macello», e quella misteriosa e dolente del servo di Dio, che «offrirà se stesso in sacrificio di riparazione», il servo «trafitto per le nostre colpe», «schiacciato per le nostre iniquità», caricato del «peccato di molti» (cfr. Isaia, 53, 5. 7. 10. 12).

Anche i discepoli di Gesù avrebbero rinnovato la manducazione dell’Agnello pasquale, secondo il mandato ricevuto nell’ultima Cena: «Fate questo in memoria di me» (Luca, 22, 19). Solo che quell’Agnello sarebbe stato lo stesso «Cristo nostra pasqua», che «è stato immolato» (1 Corinzi, 5, 7) e al quale nessun osso è stato spezzato (cfr. Giovanni, 19, 33-36)

Ogni «Cena del Signore» (1 Corinzi, 11, 20) è il sacramento di Gesù, «fattosi agnello per il nostro riscatto» (sant’Ambrogio, Explanatio Psalmi 43, 37), «per il cui dono ineffabile siamo arricchiti della benedizione di ogni grazia e passiamo talmente dalla vecchiezza alla novità, che non soltanto ci viene restituito il paradiso, ma siamo preparati alla gloria del regno dei cieli» (san Leone Magno, Tractatus lXXIX).

Se, dal profilo cronologico, l’agnello della Pasqua ebraica aveva preceduto l’Agnello cristiano, in realtà — ci insegna la prima Lettera di Pietro — noi siamo stati riscattati o liberati dalla schiavitù «con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia», «predestinato già prima della creazione del mondo» (1, 19-20).

A valere assolutamente, dall’eternità, è «l’Agnello di Dio», veramente immolato sul Calvario ma non irrimediabilmente consumato. Morto per il peccato «una volta per tutte», ora è risorto e «vive per Dio» (cfr. Romani, 6, 9-10). L’antico agnello si doveva immolare a ogni ritorno pasquale. L’Agnello nuovo è intramontabile e glorioso; rimane per sempre. Così lo contempla e lo esalta l’Apocalisse.

Possiamo, così, comprendere perché Gesù nella Pasqua tanto desiderata prima della sua passione (cfr. Luca, 22, 15) abbia offerto come cibo se stesso e ordinato ai discepoli di rinnovare la sua memoria.

In quella comunione essi consumano «l’Agnello che è stato immolato»; l’Agnello, che nel suo sangue ha riscattato «uomini di ogni tribù, lingua popolo e nazione» (Apocalisse, 5, 9. 11); che sta ritto «in mezzo al trono» (Apocalisse, 7, 17) quale «Signore dei signori» e «Re dei re» (Apocalisse, 17, 14), Sovrano della storia, di cui conosce tutti i segreti, Vincitore della morte e del «drago, il serpente antico che è diavolo e il Satana» (Apocalisse, 12, 10-12; 20, 2).

Mangiando l’Agnello e bevendo il suo Sangue, i discepoli del Signore condividono la grazia della sua redenzione, ricevono le risorse della sua forza invincibile, prendono parte della sua vittoria sul demonio, e incominciano a entrare nella sua regalità.

Per ciò l’Eucaristia è il sacramento della speranza e della consolazione della Chiesa, che, come Sposa dell’Agnello (Apocalisse, 21, 9), fin dal suo momento terreno è già partecipe del «banchetto di nozze dell’Agnello» (Apocalisse, 19, 6-9), che si riverbera realmente nelle nostre liturgie terrene, immagini della liturgia celeste.

Il «sacro banchetto» alimenta ogni volta nella Chiesa l’incrollabile fiducia che non è lasciata sola nelle sue tribolazioni e nelle prove della testimonianza, ma che — a dispetto di quello che può apparire nella storia — viene incessantemente sostenuta dall’amore onnipotente e sponsale dell’Agnello che la sta misteriosamente ma infallibilmente preparando alla gloria.

Del resto alla Chiesa non è stata promessa una vittoria nel raggio del tempo, ma l’indefettibile resistenza alle «potenze degli inferi», che non riusciranno a prevalere su di lei (Matteo, 16, 18).