mercoledì 30 novembre 2011

Incontro del Consiglio d’Europa sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale "Senza fede non si fa l’Europa"




Incontro del Consiglio d’Europa sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale

Senza fede
non si fa l’Europa

di Marco Bellizi

Lussemburgo, 30. Senza l’aiuto della religione non si costruisce l’Europa. Specialmente in un contesto sempre più multiculturale, dove i valori comuni, se relativizzati, rischiano di essere svuotati di contenuto e di autorevolezza. È sulla base di queste considerazioni che arriva l’appello a sostenere il progetto di una piattaforma stabile di dialogo fra il Consiglio d’Europa e i rappresentanti delle religioni, dei gruppi non confessionali e dei media. La richiesta è arrivata al termine dell’incontro sul «Ruolo dei media nella promozione del dialogo interculturale, della tolleranza e della mutua comprensione: libertà d’espressione dei media e rispetto della diversità culturale e religiosa», organizzato in Lussemburgo dallo stesso Consiglio d’Europa, al quale hanno partecipato leader religiosi, rappresentanti di organizzazioni internazionali e professionisti dell’informazione. È stata in particolare Anne Brasseur, dell’assemblea parlamentare dello stesso organismo, a proporre di dare seguito concreto alla raccomandazione già posta all’attenzione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa.

Viene dunque riconosciuta l’urgenza di ascoltare quello che le comunità religiose presenti nel continente hanno da dire riguardo al rispetto reciproco e a una fruttuosa convivenza. Un campo nel quale i rappresentanti religiosi, principalmente cristiani, e cattolici in particolare, vantano una riconosciuta expertise, costruita nel corso di decenni di confronto ecumenico e fra le diverse fedi. «C’è una nuova attenzione — spiega monsignor Aldo Giordano, Osservatore Permanente presso il Consiglio d’Europa — e una maggiore coscienza del ruolo delle religioni. La prospettiva è corretta, anche perché qui non si tratta di sostituirsi al dialogo interreligioso, che ovviamente viene condotto da tempo in altre sedi, né si vogliono affrontare temi teologici. Si tratta di riconoscere che la religione è determinante per l’identità culturale che, in Europa, è un’identità evidentemente cristiana. Del resto è proprio in virtù di questa identità, naturalmente portata ad aprirsi all’altro, che il continente cerca di affrontare nella giusta maniera le nuove sfide che gli si pongono di fronte». Fra queste c’è il tema dell’educazione. Di quanti operano nel mondo della comunicazione, ma anche di chi legge o ascolta le notizie. Nell’organizzare l’incontro in Lussemburgo il Consiglio d’Europa ha riconosciuto che il giornalismo tradizionale e i nuovi media hanno un ruolo cruciale nel favorire atteggiamenti tolleranti o meno rispetto alle diverse comunità religiose. In apparenza è una osservazione quasi scontata. Ma consente di affermare che le diversità oggettive e ineliminabili che esistono fra le fedi non possono essere sempre chiamate a pretesto per il sorgere di sentimenti di ostilità che spesso hanno altra natura: «Le religioni hanno molto da dire — osserva padre Duarte Nuno Queiroz de Barros da Cunha, segretario generale del Consiglio delle conferenza episcopali europee — nella costruzione di una comunità multiculturale. Esse sono interpellate dai media per contribuire a questa costruzione. Ma nello stesso tempo occorre che i media acquistino una maggiore consapevolezza quando raccontano la vita religiosa delle comunità». Stereotipi e sensazionalismi sono i pericoli più evidenti. Poi c’è la mancanza di competenza professionale, l’ignoranza che, ha sottolineato Anne Brasseur, «è il peggiore nemico della tolleranza». L’estremismo non è, purtroppo, un fatto nuovo nel continente. Oggi — ha detto il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, presentando l’incontro in Lussemburgo — «l’Europa si sta polarizzando, anche per gli effetti della crisi economica. Assistiamo al successo di partiti che fanno leva su questi sentimenti: la discriminazione nei confronti dei rom, l’antisemitismo, gli atteggiamenti ostili nei confronti dei musulmani. Credo che, per esempio, musulmani e non musulmani debbano conoscersi meglio. Va riconosciuto il grande contributo che l’islam ha dato anche alla cultura europea ma, allo stesso tempo, il ruolo del cristianesimo nella costruzione dell’identità dell’Europa».

Si tratta anche di condividere dei valori comuni, che non possono essere quelli influenzati dal contesto storico e culturale ma quelli che hanno carattere universale in quanto inerenti alla natura umana. Diritti fondamentali che — osserva padre Laurent Mazas, del Pontifico Consiglio della Cultura — «sono un patrimonio che l’Europa ha ereditato dal cristianesimo e che non hanno niente a che fare con l’evoluzione giuridica che oggi talvolta si pretende di accreditare». Nel momento di individuare una base comune di convivenza, dunque, i cattolici ricordano che i valori universali sono quelli che l’Europa deriva proprio dalla sua identità cristiana. Del resto, come è stato osservato, se si vogliono costruire ponti è proprio per non tagliare le montagne.

© L'Osservatore Romano 1 dicembre 2011