lunedì 26 dicembre 2011

San Giovanni, apostolo ed evangelista (f) 27 dicembre



27 DICEMBRE
Apostolo ed Evangelista
Festa

A Giovanni noi dobbiamo il Gesù più intimo, quello che più profondamente si manifesta figlio di Dio fatto uomo.

Nato da Zebedeo, ricco pescatore di Betsaida (Mc 1,20; Mt 4,18-22; Gv 1,44), e da Salome, una delle donne che si posero al servizio di Gesù e dei suoi apostoli, Giovanni fu probabilmente educato, come il fratello Giacomo, nell’ambiente della setta degli zeloti, come mostra la vivacità delle sue repliche (Mc 3,17; Lc 9,53-56). Essendo discepolo di Giovanni Battista (Gv 1,35-41), fu indirizzato a Cristo dal suo maestro. Diventato discepolo di Gesù, Giovanni fu presto uno dei membri più attivi del gruppo e uno di quelli ai quali il Signore affidò il più gran numero di incarichi e confidò i segreti più intimi (Mt 17,1-8; Mc 13,3; Lc 22,8; Gv 13,23; Mt 26,37; Gv 19,26; 20,3). Partecipò al concilio di Gerusalemme (Gal 2,9) e, al termine di una lunga vita apostolica, fu esiliato nell’isola di Patmos, al tempo di Domiziano (Apoc 1).

Giovanni ha posto al centro del suo vangelo la manifestazione di Dio al mondo nella persona del Cristo: Gesù è il figlio di Dio, ed egli stesso si presenta per mezzo dei suoi grandi «Io sono» e di una molteplice manifestazione concreta. A questa manifestazione Giovanni dà il nome di «testimonianza» o di «missione». Essa consiste essenzialmente in una serie di «segni» della «gloria» di Dio; il più importante di questi «segni» è compiuto «nell’ora» della glorificazione di Cristo nel mistero pasquale. Questi segni si perpetuano nella vita della Chiesa e nei sacramenti della presenza del Signore.

Le lettere di Giovanni prolungano l’insegnamento del suo vangelo: Dio che è «Amore e Luce», gli impegni cristiani derivanti dalla carità e le precauzioni contro il peccato sono i temi principali.

L’Apocalisse è essenzialmente una meditazione sul significato della storia, redatta secondo un genere letterario molto usato nel mondo ebraico, e destinata a fortificare la fede dei cristiani provata dalle persecuzioni: Cristo ha già vinto il mondo e Satana; coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo, partecipano pure al suo trionfo.


La Vita si è manifestata nella carne

Dai «Trattati sulla prima lettera di Giovanni» di sant’Agostino, vescovo.
(Tratt. 1, 1. 3; PL 35, 1978. 1980)

Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita (cfr. 1 Gv 1, 1). Chi è che tocca con le mani il Verbo, se non perché il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi? (cfr. Gv 1, 14).

Il Verbo che si è fatto carne, per poter essere toccato con mano cominciò ad essere carne dalla Vergine Maria; ma non cominciò allora ad essere Verbo, perché è detto: «Ciò che era fin da principio». Vedete se la lettera di Giovanni non conferma il suo vangelo, dove ora avete udito: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio» (Gv 1, 1).

Forse qualcuno prende l’espressione «Verbo della vita» come se fosse riferita a Cristo, ma non al corpo di Cristo toccato con mano. Ma fate attenzione a quel che si aggiunge: «La vita si è fatta visibile» (1 Gv 1, 2). E Cristo dunque il Verbo della vita.

E come si è fatta visibile? Esisteva fin dal principio, ma non si era ancora manifestata agli uomini; si era manifestata agli angeli ed era come loro cibo. Ma cosa dice la Scrittura? «L’uomo mangiò il pane degli angeli» (Sal 77, 25).

Dunque la vita stessa si è resa visibile nella carne; si è manifestata perché ciò che può essere visibile solo al cuore, diventasse visibile anche agli occhi e risanasse i cuori. Solo con il cuore infatti può essere visto il Verbo, la carne invece anche con gli occhi del corpo. Si verificava dunque anche la condizione per vedere il Verbo: il Verbo si è fatto carne, perché lo potessimo vedere e fosse risanato in noi ciò che ci rende possibile vedere il Verbo.

Disse: «Noi rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi» (1 Gv 1, 2), ossia, si è resa visibile fra di noi; o meglio, si è manifestata a noi.

«Quello dunque che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1,3). Comprenda bene il vostro amore: «Quello che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi». Essi videro il Signore stesso presente nella carne e ascoltarono le parole dalla bocca del Signore e le annunziarono a noi. Anche noi perciò abbiamo udito, ma non l’abbiamo visto.
Siamo dunque meno fortunati di coloro che hanno visto e udito? E come mai allora aggiunge: «Perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1,3)? Essi hanno visto, noi no, eppure siamo in comunione, perché abbiamo una fede comune.

«La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la vostra gioia sia perfetta» (1 Gv 1,3-4). Afferma la pienezza della gioia nella stessa comunione, nello stesso amore, nella stessa unità.