Per riconquistare
il vincolo della comunione
Pubblichiamo, in una nostra traduzione (O.R.), il discorso Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli ha tenuto martedì 30 novembre, a Istanbul, nella sede del Fanar, in occasione della festa del Trono, accogliendo la delegazione della Santa Sede, guidata dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.
Eminenza cardinale Kurt Koch, e suo onorevole seguito, chiamato a rappresentare Sua Santità, il vescovo dell'antica Roma e nostro amato fratello nel Signore, Papa Benedetto, e la Chiesa affidata alla sua guida.
È con grande gioia che salutiamo la sua presenza alla festa del Trono della santissima Chiesa di Costantinopoli ed esprimiamo gratitudine al nostro fratello nel Signore, Papa Benedetto XVI, che l'ha inviata qui, per il cordiale gesto fraterno di partecipare, tramite lei, a questa celebrazione gioiosa della sacra commemorazione del fondatore della Chiesa a Bisanzio, sant'Andrea, il primo chiamato tra gli Apostoli. Ormai da molti anni è stato instaurato uno scambio di delegazioni formali in occasione delle rispettive feste patronali delle nostre due Chiese quale segno dei vincoli fraterni di amore e di onore fra noi, e gioiamo perché anche quest'anno è stata mantenuta questa meravigliosa tradizione.
Salutiamo in particolare la sua presenza tra noi, eminenza, per la prima volta come rappresentante di Sua Santità, e ci congratuliamo perché ha assunto l'alto incarico della presidenza del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e per la sua recente elevazione allo stato e all'onore di cardinale. Apprezziamo profondamente la vasta conoscenza teologica e la nobiltà del suo carattere, eminenza, così come la sua sollecitudine per la causa sacra della promozione dell'unità dei cristiani. Attendiamo con fervore la sua cooperazione con il patriarcato ecumenico per l'ulteriore promozione delle relazioni fraterne fra le nostre Chiese a beneficio della promozione dell'unità, per la quale nostro Signore ha pregato Suo Padre immediatamente prima della passione.
Salutiamo con particolare gioia il fatto che quest'anno compie cinquant'anni di vita e di attività il Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani ora presieduto da lei, eminenza. Il nostro pensiero è rivolto al compianto Giovanni XXIII, che fondò il Consiglio nel 1960, all'inizio come Segretariato, insieme con la convocazione del concilio Vaticano II, le cui audaci decisioni storiche prepararono il terreno per la partecipazione dei cattolici romani all'opera di riconciliazione dell'unità dei cristiani. Fra i frutti di questa storica iniziativa da parte del compianto Pontefice, lo sviluppo di rapporti fraterni fra le Chiese ortodossa e cattolica romana ha una grande importanza. Questi rapporti sono stati forgiati da grandi guide ecclesiali, il compianto Paolo VI e il nostro predecessore il Patriarca ecumenico Atenagora, sebbene con l'ausilio e il sostegno dei loro successori, Papa Giovanni Paolo II e il Patriarca ecumenico Dimitrios. Grazie agli sforzi indefessi del Consiglio per l'Unità dei Cristiani, e in particolare dei compianti primi presidenti, i cardinali Agostino Bea e Johannes Willebrands, sostenuti da esperti della storia e della vita delle Chiese ortodosse come i compianti vescovo Pierre Duprey e monsignor Eleuterio Fortino, i rapporti fra le nostre Chiese sono stati coltivati ulteriormente grazie al rispetto reciproco e all'amore fraterno. Gli stessi rapporti sono stati arricchiti con la dovuta sollecitudine dai suoi predecessori, eminenza, alla presidenza del Consiglio, i cardinali Edward Cassidy e Walter Kasper, sostenuti dai loro esperti collaboratori. Ringraziamo con fervore tutte queste persone per quanto hanno fatto per il ripristino della piena comunione fra le nostre Chiese.
Negli ultimi trent'anni, nel contesto di questi rapporti fraterni, si è creato e promosso il dialogo teologico ufficiale fra le nostre Chiese, perché l'unità nell'amore non è di alcun beneficio a meno che non vi sia contemporaneamente un'unità di fede e di verità. Quindi "vivendo la verità nella carità", secondo l'esortazione dell'apostolo (Efesini, 4, 15), noi manteniamo questo dialogo teologico per unanime decisione di tutte le Chiese ortodosse autocefale per studiare, con amore e sincerità, le questioni teologiche che allo stesso tempo uniscono e ancora dividono, "finché arriviamo tutti all'unità della fede" (Efesini, 4, 13).
Seguendo, dal nostro Patriarcato ecumenico, con sempre maggiore interesse lo sviluppo di questo dialogo teologico, preghiamo per il suo buon esito, in particolare durante la sua fase attuale nella quale vengono affrontate questioni controverse, che in passato sono state causa di aspro conflitto fra le nostre Chiese.
Il recente incontro plenario della Commissione per il dialogo a Vienna, sotto la presidenza congiunta sua, eminenza, e del venerabile fratello e collaboratore, sua eminenza il metropolita Giovanni di Pergamo, ha rivelato le difficoltà esistenti, ma anche la disponibilità e la determinazione di tutti i membri della Commissione per superare queste difficoltà con amore e fedeltà alla dottrina e alla vita della Chiesa trasmessaci dal primo millennio, per progredire verso la loro soluzione.
Celebrando oggi la memoria sacra di sant'Andrea, il primo chiamato tra gli apostoli, non possiamo non prestare attenzione a suo fratello, san Pietro, capo degli apostoli. Questi due fratelli non avevano soltanto un legame di sangue, ma, in particolare, un vincolo infinitamente più significativo con Cristo e una comunione in Lui. Hanno conservato intatto questo vincolo di comunione in Cristo senza ostacoli per un intero millennio, mentre le Chiese scaturite dalla predicazione e dal martirio di questi apostoli, e precisamente le Chiese di Roma e di Costantinopoli, sono obbligate ancora una volta a riconquistare questo vincolo di comunione per dimostrarsi degni successori del loro deposito.
Nella lettura evangelica di oggi, proclamata durante la Divina Liturgia, abbiamo ascoltato che Andrea incontra Cristo personalmente e si affretta a presentarlo a Pietro. Filippo fa lo stesso con Natanaele, ampliando in questo modo la cerchia di coloro che sono in comunione con Cristo fino a quando il messaggio apostolico non raggiunge tutti. Quindi, la Chiesa di Cristo si dimostra "apostolica", trasmettendo Cristo di generazione in generazione e da luogo a luogo affinché "il mondo creda" (Giovanni, 17, 21) in Lui, redentore e salvatore.
Anche oggi, di fronte a molteplici difficoltà, il mondo anela alla redenzione e alla salvezza. Tuttavia, quanti predicano Cristo separati gli uni dagli altri non riescono a persuadere il mondo del fatto che "abbiamo trovato il messia che significa il Cristo" (Giovanni, 1, 41). In quanto fedeli del messaggio autentico e autorevole degli apostoli, siamo chiamati con una sola voce e un solo cuore a trasmettere questo messaggio al mondo contemporaneo, discernendo le questioni e affrontando i problemi del mondo.
Con questi pensieri, le diamo il benvenuto come rappresentante dell'antica Roma con amore e stima, e, ancora una volta, ringraziamo Sua Santità, nostro fratello, che l'ha inviata per "l'operosità nella carità" (1 Tessalonicesi, 1, 3) che ha guidato i suoi passi qui.
Gloria a Dio Padre nei secoli dei secoli. Amen.
(©L'Osservatore Romano - 2 dicembre 2010)