giovedì 19 maggio 2011

Il vescovo cileno Luigi Infanti della Mora sulle politiche di privatizzazione dell’acqua


Il vescovo cileno Luigi Infanti della Mora sulle politiche di privatizzazione dell’acqua

Nessuno può essere escluso
dai beni del creato

di Gaetano Vallini

Durante un viaggio in auto in Patagonia, in quella regione dell’Aysén di cui è pastore, in qualità di vicario apostolico, monsignor Luigi Infanti della Mora tre anni fa fece una scoperta che ha segnato il suo impegno pastorale: nel regno delle acque pure e cristalline, delle nevi eterne dei ghiacciai, delle cascate e dei fiumi maestosi, un litro di acqua minerale in bottiglia costava più di un litro di benzina. Monsignor Infanti della Mora ha cominciato ad approfondire le tematiche legate alla salvaguardia dell’ambiente e in particolare alla tutela dell’acqua come bene fondamentale e inalienabile. E — consapevole che, come ha detto il Papa in occasione del cinquantesimo della Mater et magistra, «la questione sociale odierna è senza dubbio questione di giustizia sociale mondiale» — non ha esitato a prendere posizione di fronte ad alcuni progetti di sfruttamento di risorse idriche che nel territorio del suo vicariato apostolico potrebbero mettere a rischio ambiente e popolazione.

«La crescente politica di privatizzazione — si legge infatti nel passaggio più severo della lettera pastorale Dacci oggi la nostra acqua quotidiana scritta nel 2008 — è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria sociale: gli esclusi, quelli che restano fuori perché non possono accedere ai benefici degli alimenti, dell’acqua, dell’educazione, della salute, della casa, della tecnologia, della conoscenza. È un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà, facendo sì che la natura sia la più sacrificata e che la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri in particolare».

La lettera (Bologna Emi, 2010, pagine 156, euro 10) è diventata una sorta di manifesto mondiale per quanti, cattolici in testa, sono impegnati in iniziative a difesa del creato. A sostenerne la diffusione un passaparola che ha coinvolto anche l’Italia dove alcune associazioni attive nella campagna referendaria contro la privatizzazione dell’acqua hanno invitato monsignor Infanti della Mora a parlare di questo documento e del suo impegno.

Eccellenza, come giudica questa nuova corsa alla privatizzazione dell’acqua che sta interessando sia i Paesi in via di sviluppo che alcuni Paesi occidentali?

Viviamo in un pianeta ammalato e che stiamo facendo ammalare sempre di più, inquinando l’ambiente e ferendo gravemente le creature di Dio, non solo l’uomo. Sentiamo con sempre maggiore consapevolezza che acqua, terra e aria sono beni essenziali per la vita, di cui non possiamo fare a meno. Eppure viviamo in una società in cui si cerca più il profitto che il bene comune, in cui ci sono grandi imprese transnazionali che cercano di appropriarsi di questi beni che noi crediamo siano dono di Dio. Si può affermare che tali imprese transnazionali vogliono prendere il posto di Dio per impossessarsi dei beni che Dio ha affidato alla cooperazione delle persone perché possano crescere. È questa la privatizzazione, che porta diverse gravi conseguenze: impossessandosi di questi beni essenziali per la vita, certe imprese vogliono appropriarsi anche delle persone, dei popoli, delle culture. Di fronte a ciò, c’è bisogno di una reazione, che speriamo pacifica, dei popoli che si sentono venduti al profitto, al business. La nostra stessa fede ci chiede di fare sentire la nostra voce, il nostro grido di dignità di figli di Dio che si sentono parte della creazione.

Lei dunque afferma che non si raggiungerà un nuovo ordine mondiale se i popoli non lo esigeranno. Ma come sarà possibile?

Evidentemente una visione religiosa ed etica della vita del pianeta e della vita umana nella creazione ci obbliga a essere partecipi. Obbliga soprattutto quanti hanno una responsabilità, e una qualche autorità, a entrare nella logica e nella finalità secondo le quali Dio ha creato tutte le cose per renderle beni disponibili per tutti; una logica e una finalità che poggiano su un mondo in cui nessuna creatura è emarginata dall’accesso e dall’utilizzo di tali beni. Quindi se una società neoliberista vuole appropriarsene, puntando soprattutto a quelli essenziali per la vita, per farne motivo di mercato, di profitto, la conseguenza evidente è l’esclusione di gruppi importanti della società. Ciò è molto grave, soprattutto per noi che sentiamo l’urgenza dei poveri.

Si riferisce a questo quando nella sua lettera pastorale parla di strutture di peccato, sottolineando che si tratta del nuovo volto e dei nuovi tentacoli del colonialismo?

Nella lettera pastorale parlo di strutture economiche, politiche e giudiziarie che fanno il gioco del potere per essere intoccabili. Sono strutture di peccato perché vogliono prendere il posto di Dio, vogliono appropriarsi della proprietà delle cose della creazione e delle persone, persino delle coscienze delle persone. L’unica alternativa per sconfiggerle, dal punto di vista etico e della fede, è diventare persone critiche e consapevoli, per creare strutture di vita, non di morte. Ciò significa partecipare a organizzazioni che operano per aiutare le persone e la società a prendere coscienza di queste situazioni, contribuendo ad abbatterle. Come figli di Dio dobbiamo svolgere questa missione profetica. Soprattutto sentiamo l’urgenza di essere presenti su temi che riguardano la tutela del creato, la giustizia sociale e la solidarietà, perché una buona visione etica e una buona visione spirituale possono avere una grande influenza sulle decisioni politiche, economiche, sociali e culturali. Dobbiamo esigere dai vari poteri economici, politici e sociali una partecipazione nella condivisione dei beni che Dio ha creato per tutti. Nella mia lettera chiedo che si faccia attenzione a cosa dicono e a cosa fanno le imprese, i Governi, i mezzi di comunicazione. Bisogna discernere, sostenendo un’informazione critica delle comunità, alzando la voce e denunciando quando occorre. Sento che questo è un grande tema di evangelizzazione della cultura attuale, che vorrebbe emarginare Dio non solo dalla proprietà dei beni della creazione ma anche dalle decisioni importanti dell’umanità.

Lei offre un ulteriore contributo di riflessione proponendo una visione ecocentrica dell’universo. Potrebbe spiegarci cosa intende?

La visione ecocentrica si contrappone alla visione antropocentrica e alla visione cosmocentrica. La prima è centrata sulla presenza dell’uomo nel creato, facendone il signore della creazione, per cui tutta la creazione è al servizio della persona, delle sue necessità e dei suoi desideri. E i desideri sono attitudini che vanno oltre le necessità. La propaganda dei mezzi di comunicazione punta proprio ai desideri, che una società consumistica favorisce attraverso una depredazione e un uso esagerato dei beni della creazione. Nella visione cosmocentrica al contrario l’uomo è visto come un impedimento affinché la creazione possa crescere degnamente, equilibratamente. All’interno di una tale visione c’è una tendenza volta a eliminare la persona umana e, sottesa a questa, l’idea secondo la quale, non potendo eliminare la povertà, si possono almeno eliminare i poveri. La visione che propongo alla riflessione e al discernimento è ecocentrica: se la terra è di Dio, sarà essenziale pensare qual è la finalità per cui Dio ha creato tutto: il cammino verso la perfezione. Questa ricerca di perfezione deve far sì che nessuna creatura sia ferita o ridotta nella sua essenzialità. Quando Dio il settimo giorno si riposa, contempla la perfezione, la bellezza e la santità di tutta la creazione; perfezione, bellezza e santità che il peccato ha intaccato, violentato. Il nostro impegno oggi è di riparare i danni provocati dal peccato dell’uomo alla natura.

Un’ultima domanda: tre anni dopo, in Patagonia, l’acqua in bottiglia continua a costare più della benzina?

Sì, le cose non sono ancora cambiate. Ma la reazione della gente e la coscienza che ha di queste situazioni è molto superiore rispetto a tre anni fa. Credo che la missione della Chiesa sia di impegnarsi affinché le decisioni che si prendono non seguano solo criteri economici, ma tengano conto anche di criteri umani ed etici.

(©L'Osservatore Romano 20 maggio 2011)