In volo verso il Benin il Papa lancia un messaggio di speranza per l’Africa
Una riserva di vitalità
per il futuro
di Mario Ponzi
«Se ripenso agli anni della mia gioventù, al mondo che mi circondava, oggi mi sembra di vivere su un altro pianeta». Un ricordo personale, quello raccontato dal Papa ai giornalisti che lo accompagnano in questo suo ventiduesimo viaggio internazionale, ma significativo per rappresentare l’idea che egli ha voluto dare dell’attuale panorama internazionale. Benedetto XVI dall’Africa intende consegnare un messaggio al mondo intero: per una società migliore occorre ripensare il proprio modo di vivere, superare gli egoismi personali, comprendere che solo la conoscenza di un Dio che ci ama è presente nella storia e ci permette di «perdere» la vita per dare piuttosto che per avere.
È stato lo stesso Pontefice a puntualizzare così le motivazioni del suo secondo viaggio nel continente parlando con i giornalisti durante il volo per Cotonou, la città più importante del Benin. La situazione dell’Africa, inserita nel contesto della crisi internazionale, il proselitismo delle sette, la crescita costante delle altre confessioni cristiane, il dialogo tra le religioni, i ricordi che lo legano al cardinale beninese Bernardin Gantin, sono stati gli argomenti della tradizionale conferenza stampa a bordo dell’aereo, decollato dall’aeroporto di Fiumicino qualche minuto prima delle 9 di venerdì 18 novembre.
Il primo pensiero è per il Paese che lo ospita, il Benin. Una domanda sul perché della scelta di questa nazione per consegnare il documento post-sinodale ha consentito al Papa di specificarne i motivi. Innanzitutto è un Paese di giovane democrazia — ha detto — in cui regnano la libertà e un grande spirito di convivenza. Più facile dunque che si possa costruire un futuro di giustizia sociale. Questo clima — ha poi aggiunto Benedetto XVI — rende possibile la tranquilla convivenza di tante religioni diverse, nel dialogo e nel rispetto reciproco.
L’attenzione si è quindi spostata al contesto religioso del continente africano. Al Pontefice è stato chiesto come la Chiesa cattolica possa rispondere al successo crescente di Chiese evangeliche o pentecostali, a volte autocreatesi in Africa, che propongono una fede attraente, una grande semplificazione del messaggio cristiano, insistono sulle guarigioni, mescolano i loro culti con quelli tradizionali. Il Papa non ne ha fatto una questione di sfide o di risposte da dare, ma ha indicato semplicemente le nuove strade dell’evangelizzazione dell’Africa in pochi concetti. Si tratta, innanzitutto, di mostrare l’evidenza che il messaggio cristiano non è un messaggio dal ristretto orizzonte «europeo», ma ha una dimensione universale ed è valido, dunque, per tutti gli uomini; poi va resa il più semplice possibile la sua comprensione; inoltre è necessario snellire le istituzioni affinché non risultino pesanti; infine, bisogna rendere la Chiesa partecipativa e non solo presenzialista.
A Benedetto XVI è stato chiesto conto delle numerose operazioni di peacekeeping, conferenze per la ricostruzione nazionale, commissioni di verità e riconciliazione svoltesi recentemente in Africa, con risultati a volte buoni e a volte deludenti. Durante l’assemblea sinodale, tra l’altro, i vescovi avevano sottolineato responsabilità degli uomini politici nei problemi del continente. I giornalisti hanno domandato al Papa che cosa volesse dire su questo argomento ai responsabili politici delle nazioni e quale potesse essere il contributo specifico della Chiesa per una pace durevole nel continente. Il Pontefice ha rimandato al messaggio che consegnerà all’Africa. Ma ha comunque voluto sottolineare che di parole ne sono state dette tante e di cose ne sono state fatte tante: alcune anche buone, ha riconosciuto. Spesso, però, la realtà non è stata all’altezza delle parole spese. Alla radice di ciò il Pontefice ha indicato in particolare la difficoltà che incontra l’uomo ad andare oltre il proprio egoismo. Non bastano perciò le buone intenzioni — ha incalzato — ma bisogna osare e andare oltre.
L’attenzione si è spostata poi sulla Chiesa. A Benedetto XVI è stato chiesto il senso dell’affermazione secondo la quale l’Africa sarebbe «il polmone spirituale» di tutta l’umanità, nonostante i problemi che l’attraversano. Si tratta — ha risposto il Papa — di problemi comuni a tante altre nazioni del mondo, anche se in Africa spesso assumono dimensioni drammatiche. Il Pontefice si è detto però convinto che il continente possa dare al mondo una testimonianza significativa: quella della freschezza della sua umanità, della sua fede e della sua allegria. I giovani sono in primo piano in questa testimonianza. Nessuna concessione al positivismo, che rende arida la vita umana, ma una ventata di fresco umanesimo, una riserva di vita e di vitalità per il futuro: questo può essere l’aiuto dell’Africa a un mondo in crisi.
Infine, un pensiero sul cardinale Gantin. È stato un grande amico, ma soprattutto un grande testimone — ha confidato il Papa — e un uomo di preghiera e di intensa fede. Ha ricordato di averlo conosciuto la prima volta nel 1977 in occasione della sua ordinazione episcopale. Il presule beninese era andato a Monaco per salutare uno degli allievi di Joseph Ratzinger, che era suo connazionale. Fu in quella occasione che l’allora arcivescovo di Monaco e Frisinga ebbe modo di sperimentare per la prima volta la grande umanità del cardinale, il suo umorismo, la sua profonda fede. Tra l’altro, quello studente che il cardinale Gantin era andato a visitare a Monaco oggi viaggia con Benedetto XVI verso l’Africa: è il vescovo Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura.
© L'Osservatore Romano 19 novembre 2011