giovedì 24 novembre 2011

L'deologia infelice delle «etichette» "Noi cattolici e il bene di tutti" (Francesco D'Agostino)



L'deologia infelice delle «etichette»

Noi cattolici e il bene di tutti

di Francesco D'Agostino

L’ingresso nel nuovo governo Monti di alcu­ni illustri rappresentanti del 'mondo cat­tolico' è stato oggetto non solo di commenti po­litici (tutti legittimi), ma anche di alcuni com­menti ideologici, che vanno invece rispediti ai mittenti. Spicca, tra questi, quello di Adriano Pro­speri su 'Repubblica' del 19 novembre, che invi­ta i nuovi ministri di area cattolica a dare al più presto prova di sé e a chiarire se possono o no es­sere caratterizzati come «cattolici adulti». Solo co­storo infatti potrebbero dare, come governanti, u­na testimonianza di fede «che può andare d’ac­cordo con la Costituzione». Tutti gli altri cattoli­ci, evidentemente, no. Colpisce che un’espressione, come quella di «cat­tolici adulti», nata in un contesto ben diverso da quello odierno, potesse tornare a essere utilizza­ta con tanto semplicismo. Si tratta infatti di un’e­spressione infelice. Se esistono «cattolici adulti», esistono allora, di necessità, anche «cattolici bam­bini». Quest’ultima espressione potrebbe anche essere accettabile, ma solo in una prospettiva mi­stica, che ricordi che oggetto primario della te­nerezza di Gesù sono appunto i bambini. In una prospettiva politica, invece, l’espressione è inac­cettabile, perché da essa trasuda il disprezzo ver­so quei cattolici che ragionano (legittimamente) in modo politicamente diverso dagli autodefini­tisi «adulti», e che per ciò solo sarebbero caratte­rizzati da infantilismo psicologico, da immatu­rità politica, da indebita e cieca sottomissione al­l’autorità ecclesiastica. Se però all’espressione «cattolici adulti» proprio non si vuole rinunciare, cerchiamo almeno di de­purarla da queste valenze inaccettabili.


È 'politi­camente adulto' il cattolico: a) che si assume sem­pre le sue responsabilità, davanti a Dio e davan­ti agli uomini e si guarda bene dallo scaricarle fur­bescamente su altri, in specie sui più deboli; b) che considera la politica non come mera gestio­ne del potere, ma come un impegno per il bene comune di tutti i cittadini, credenti e non cre­denti, un impegno da portare avanti nel più com­pleto disinteresse per il tornaconto personale, un impegno così arduo, che può, in casi straordina­ri, essere addirittura una via per la santificazione; c) che rispetta fino in fondo il principio di demo­crazia e di laicità e non cede alle suggestioni del­l’autoritarismo; d) che è pronto ad ascoltare le le­gittime richieste che possono provenire dalla Chiesa e a difenderle, tranne nel caso in cui que­ste richieste (indipendentemente dalla buona fe­de di chi le possa avanzare) si configurino come rivolte ad ottenere privilegi, incompatibili con la tutela del bene comune, anzi passibili di intro­durre nella comunità civile controversie e lacera­zioni; e) che non 'sacralizza' ideologicamente la Costituzione come se fosse il vangelo di una nuo­va religione civile e l’unico contenitore possibile e immaginabile di 'valori', ma la considera lai­camente come il patto fondamentale che unisce democraticamente tutti i cittadini e che per ciò solo merita rispetto e fedeltà.


Quanto detto comporta che l’impegno per la di­fesa dei valori 'non negoziabili' non è un tratto che caratterizzerebbe esclusivamente i presunti «cattolici bambini», chiusi in un ottuso clericali­smo, e da cui i «cattolici adulti» dovrebbero tenersi ben lontani. Le questioni inerenti al pieno ri­spetto della vita umana, dall’inizio alla fine, alla difesa e valorizzazione del matrimonio e della fa­miglia, alla libertà di credere, pensare ed educa­re e, dunque, su questa base all’affermazione e al­la tutela dei diritti degli anziani, dei giovani, dei lavoratori, degli immigrati non hanno carattere confessionale. Quando il cardinal Bagnasco – a To­di e altrove – indica ai suoi ascoltatori il dovere di difendere i valori non negoziabili, altro non fa che ricordare quali sono gli impegni che tutti gli uo­mini, credenti e non credenti, devono assumer­si per difendere la nostra comune umanità. Il cri­stiano, e in particolare quello che assume incari­chi politici, non opera per il bene dei 'suoi', ma opera per il bene di 'tutti'.

Si possono, ovviamente, avere legittime diver­genze di opinione su come difendere in concre­to i «valori non negoziabili», ma non sul fatto che essi vadano difesi. Soprattutto non è accettabile che si continui a propagadandare l’idea che l’im­pegno per la difesa di tali valori segni in Italia, e altrove, uno spartiacque tra cattolici e laici o, peg­gio ancora, tra «cattolici adulti» e «cattolici bam­bini ». Non ci stancheremo mai di ripeterlo, nella speranza che prima o poi queste considerazioni vengano comprese e accolte in tutta la loro im­portanza: è su di esse, non dimentichiamocelo mai, che si fonda l’unica possibilità di istituire in generale una corretta relazione tra 'cristianesi­mo' e 'politica'.

Fonte: Copyright 2011 © Avvenire 23 novembre 2011