lunedì 28 novembre 2011

Il prefetto della Congregazione per il Clero sulla formazione di sacerdoti e religiosi "Nell’umanità di Cristo il primo fattore educativo" (Mauro Piacenza)




Il prefetto della Congregazione per il Clero sulla formazione di sacerdoti e religiosi

Nell’umanità di Cristo
il primo fattore educativo

«A immagine della santa Umanità di Cristo» è il titolo della lectio magistralis al corso di formazione umana per il sacerdozio e la vita consacrata che il cardinale prefetto della Congregazione per il Clero ha tenuto lunedì 21 novembre all’Istituto Camillianum di Roma. Ne pubblichiamo stralci.

di Mauro Piacenza

Di fronte a quest’uomo, che è domanda di significato e che vive i valori non come imposizioni esterne alla propria coscienza, ma come il fiorire vigoroso delle proprie domande fondamentali (vivo la giustizia perché sono bisogno di giustizia; vivo la verità perché sono bisogno di verità) si pone Cristo. Prima di qualunque atto di fede in Gesù di Nazareth Signore e Cristo, è necessario sottolineare come l’evento-Cristo abbia una propria irriducibile dimensione storica.

Lo ha efficacemente ricordato Benedetto XVI nell’incipit della sua prima enciclica Deus caritas est, nella quale l’essere cristiano è definito come «incontro con un avvenimento, con una Persona» (n. 1). L’incontro, dunque, presuppone qualcosa-qualcuno di «altro» da me, che mi si fa incontro e che io posso incontrare. Le conseguenze di questa chiarificazione sull’essenza del cristianesimo sono immediatamente recepibili da tutti: da un lato la fedeltà al dato storico esclude ogni autoreferenzialità soggettiva, intimistica o autoproiettiva nel rapporto con Cristo e, dall’altro, ancora più profondamente, la dimensione storica risulta radicalmente incompatibile con ogni concezione idealista e relativista, che affermi l’impossibilità dell’uomo di conoscere la realtà.

È possibile dunque affermare — ed è in fondo la traduzione che ne fa l’evangelista Giovanni — che la risposta a ciò che l’uomo è, che non è dentro di lui, si è resa incontrabile, ci è venuta incontro, si è rivelata in quello che era l’ambito più prossimo all’uomo: l’uomo stesso. Tale incontro tra l’umanità, come domanda, e l’avvenimento di Cristo, come risposta, costituisce la possibilità di ogni formazione umana autentica.

Con due corollari. Il primo: è possibile vivere un intenso senso religioso, cioè una profonda domanda esistenziale, senza ancora avere incontrato Cristo, la risposta. Ed è necessario riconoscere e affermare come già il senso religioso autenticamente vissuto rappresenti e costituisca un fattore fondamentale di formazione umana. Per contro, secondo corollario, nella maggior parte dei casi accade — e probabilmente tutti potremmo darne testimonianza — che proprio l’incontro con Cristo determini il ridestarsi di un senso religioso assopito, il risvegliarsi dell’umanità; pertanto, con altrettanto realismo, è possibile affermare che l’avvenimento dell’incontro con Cristo è il primo fattore educativo dell’umano, proprio perché lo educa a stare in quella posizione di grato stupore, tipica del senso religioso, che costituisce l’essenza dell’uomo di fronte a Dio. In tal senso, la santa Umanità di Cristo, che, in forza dell’unione ipostatica, vive permanentemente alla presenza del Padre nello Spirito, è per noi insuperato modello di formazione umana.

Ciò che Cristo vive per natura, noi possiamo vivere per grazia. Il percepire se stessi alla presenza del Mistero permette all’umano di vivere secondo l’alta vocazione alla quale il Creatore lo ha chiamato: essere immagine e somiglianza di Dio.


Analizzata la situazione storica in cui ci troviamo e posto lo sguardo sul rapporto essenziale tra formazione umana e fede, come persone chiamate a vivere il carisma della castità per il Regno dei Cieli, sia nella vita consacrata, sia nel ministero sacerdotale, è necessario porsi, in maniera autentica, in ascolto di ciò che il carisma ricevuto dice al personale cammino di formazione umana. Innanzitutto nessuno, men che meno chi è chiamato alla castità, è dispensato dal lavoro su se stesso, sul proprio carattere, sulle proprie qualità, e dall’affinamento del proprio tratto umano. Come sottolineato dal secondo corollario del punto precedente, ritengo che la distinzione tra formazione umana, professione di fede e vita sacerdotale e religiosa, sia didatticamente fondata ma, esistenzialmente, sempre da integrare. È l’incontro con Cristo a ridestare l’umanità di ciascuno ed è il nuovo orizzonte nel quale Egli ci introduce, non disgiuntamente dalla nuova direzione che la vita prende dopo l’incontro con Lui (cfr. Deus caritas est, n. 1) a determinare anche la fioritura del carisma della castità e la sua fedele accoglienza dalla libertà umana. Se interpretiamo la vita come domanda di significato, alla quale Cristo risponde, ne deriva, come immediata conseguenza, che il primo compito di una donna e di un uomo di fede, sia testimoniare al mondo la risposta incontrata: testimoniare Cristo Salvatore dell’uomo. In quest’ottica di viva domanda esistenziale e di vivificante risposta incontrata in Gesù di Nazareth Signore e Cristo, si colloca l’accoglienza del carisma della castità. Se la vocazione non è compresa e accolta come testimonianza a Cristo e, in essa, la castità non è compresa come suprema testimonianza, che, dopo il martirio, è possibile darGli, allora non c’è formazione umana sufficiente per accogliere il soprannaturale dono della chiamata. Nessuno di noi aveva, prima dell’incontro con Cristo, un’umanità capace di accogliere il grande dono della vocazione. Possiamo e dobbiamo testimoniare, anche in vista di una rinnovata azione evangelizzatrice e di un’autentica pastorale vocazionale, come, insieme al dono della vocazione, il Signore ci abbia donato una rinnovata umanità. Egli ci ha chiamati, ci ha plasmati, ci ha resi capaci di accogliere un dono nuovo. Dio non chiama i «capaci» o i «perfetti», ma rende capaci coloro che chiama. Lavorare per la propria formazione umana, allora, non è una premessa per poi poter lavorare sulla fede, sulla vocazione e sulla fedeltà a essa — anche nella dimensione del celibato e della castità consacrata — ma è l’opera di Dio, compiuta dalla Sua grazia, nella nostra umanità. Anche dal punto di vista del rapporto tra formazione umana e carisma della castità, il modello è e rimane sempre la santa Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo.

Un’umanità nella quale i suoi contemporanei hanno potuto riconoscere, per lo straordinario fascino che esercitava su di essi, per l’autorevolezza dell’insegnamento e per i prodigi compiuti, la presenza del Mistero, di Dio. Forse noi non compiremo prodigi o miracoli, ma possiamo domandare ogni giorno a Dio il dono di un’umanità che sia trasparenza di Lui, il dono di un’autorevolezza nell’insegnamento della Sua parola, che faccia sorgere, in tutti i nostri fratelli uomini, la domanda che ha attraversato i primi decenni dell’era cristiana e che, fino alla consumazione della storia, deve sorgere ogni qual volta si incontra un cristiano: «Perché costui è così?», «Perché mi ama così?», «Perché ha questa passione per la vita?», «Perché prende così sul serio la propria e altrui esistenza?».

© L'Osservatore Romano 29 novembre 2011