Tre motivazioni di un viaggio di speranza
di Mario Pon
«La modernità non deve fare paura, ma non si può costruire dimenticando il passato». Il Papa è appena giunto in Benin. Dopo sei ore di volo è arrivato all’aeroporto di Cotonou alle 14.48 di venerdì 18 novembre, e subito ha lasciato intuire qual è l’obiettivo che egli perseguirà in questi giorni: restituire all’Africa motivi di speranza necessaria per costruire con coraggio il proprio futuro. Ma il punto di partenza dovrà essere il passato, per scoprire come, con la ricchezza della sua grande tradizione riletta e rivissuta alla luce del Vangelo, sia possibile liberarsi dalle antiche e nuove schiavitù. Sarà questo uno dei fili conduttori del ventiduesimo viaggio internazionale di Benedetto XVI, il secondo in Africa dopo quello compiuto nel marzo 2009. Anzi, in un certo senso questo secondo rappresenta la naturale conclusione del precedente. Allora si era recato, oltre che in Angola, in Camerun per consegnare, a Yaoundè, l’Instrumentum laboris della seconda assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, poi celebrata nell’ottobre dello stesso anno e dedicata a ribadire il ruolo della Chiesa nel processo di riconciliazione, di giustizia e di pace che deve caratterizzare il domani di questo immenso continente. Oggi è in Benin per firmare e consegnare, qui a Cotonou, il frutto del lavoro di quell’assemblea: l’esortazione post-sinodale Africae munus, «L’impegno dell’Africa» .
Un gesto, questo del Papa, che per il Paese assume vari significati. Benedetto XVI affida infatti il suo messaggio a una comunità che lo ha atteso per concludere le celebrazioni del 150° anniversario della prima evangelizzazione. E lo fa nel ricordo di uno dei figli più illustri del Benin, che alla Chiesa di Roma ha dedicato una vita intera, il cardinale Bernardin Gantin. Breve ma gioiosa la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Cotonou, intitolato al porporato beninese, considerato da queste parti un eroe nazionale. L’apertura del portellone dell’airbus, non appena fermo sulla piazzola di parcheggio, è stata sottolineata da suoni, slogan scanditi a ritmo di una festosa musica africana, cui hanno dato vita le rappresentanze delle diverse etnie schierate, in costume tradizionale, attorno alla pista dello scalo. Il Papa era accompagnato dal cardinale Bertone, segretario di Stato, e dai porporati africani che prestano il loro servizio in Curia: Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, e Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; dagli arcivescovi Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; dal vescovo Adoukonou, beninese, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura; dai monsignori Mupendawatu, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari, Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche Pontificie, Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e Xuereb, della segreteria particolare, Speich, officiale della Segreteria di Stato. Fanno parte del seguito anche i cerimonieri Krajewski e Sanchirico; il direttore della Radio Vaticana, della Sala Stampa della Santa Sede e del Centro Televisivo Vaticano, il gesuita Lombardi; il medico personale del Papa, Polisca; il responsabile dell’organizzazione del viaggio, Gasbarri; e il direttore del nostro giornale.
A ricevere il Pontefice, il presidente della Repubblica del Benin, Thomas Yayi Boni, con la consorte Chantal de Sousa Yayi e l’arcivescovo di Cotonou, Antoine Ganyé. Il nunzio apostolico, arcivescovo Michael A. Blume, era salito a bordo dell’aereo per la prima accoglienza. Presenti anche i vescovi del Paese, rappresentanti di altre comunità cristiane e di altre religioni, e autorità civili. Il capo dello Stato gli si è fatto incontro e insieme hanno percorso il breve tragitto sino al luogo in cui era stato allestito il palco per la cerimonia di benvenuto.
La banda musicale ha intonato gli inni nazionali e, successivamente, il presidente ha preso la parola. Ha ringraziato il Papa per la visita e ha offerto una rapida panoramica del Paese: pieno di problemi ma anche pronto ad assumersi la responsabilità del proprio futuro. Le prime parole pronunciate, in risposta al saluto del presidente, hanno messo subito Benedetto XVI in sintonia con gli africani che lo ascoltavano. Ed erano molto numerosi, almeno a giudicare dalle postazioni televisive e radiofoniche che trasmettevano in diretta la cerimonia. Parole, quelle del Pontefice, che lasciavano intuire come nelle sue intenzioni ci sia il desiderio affrontare con gli africani i problemi del Continente come popolo e come Chiesa. E i problemi il Papa non ha esitato a elencarli da subito. Si chiamano «sottomissione incondizionata — ha detto — alle leggi del mercato o della finanza, nazionalismo o tribalismo esasperati e sterili che possono divenire pericolosi, politicizzazione estrema delle tensioni tra le religioni a detrimento del bene comune, e infine lo sgretolarsi dei valori umani, culturali, etici e religiosi». Agli africani ha raccomandato «prudenza» nel cercare di evitare tutti questi scogli nel cammino verso la modernità. Come? Lasciandosi guidare «da criteri sicuri — ha suggerito — che si basano su virtù riconosciute» e si radicano «nella dignità della persona, nella grandezza della famiglia e nel rispetto della vita».
L’entusiasmo che gli africani mostrano in queste ore attorno al Papa è certamente anche legato al ricordo del fervore suscitato dalle precedenti visite di Papa Woytjła nel 1982 e nel 1993. Nel suo successore vedono la figura di un padre che torna oggi sui suoi passi per rilanciare un grido di speranza. Lo testimoniano le migliaia di persone assiepate appena fuori lo scalo internazionale. Tantissimi i bambini. Lo accompagnano lungo i dodici chilometri che separano l’aeroporto dalla cattedrale di Notre Dame, dove nel pomeriggio si svolge il primo incontro con la popolazione.
© L'Osservatore Romano 19 novembre 2011