lunedì 21 febbraio 2011

Il primato di Pietro riletto attraverso la "Crocifissione" dipinta nel 1605 da Guido Reni "Con la grazia di Raffaello e la potenza di Caravaggio" (Marco Agostini)


Il primato di Pietro riletto attraverso la "Crocifissione" dipinta nel 1605 da Guido Reni

Con la grazia di Raffaello
e la potenza di Caravaggio


di Marco Agostini

Nel Rinascimento e nell'età barocca, come già in età romanica, le immagini della vita e del martirio del Principe degli Apostoli sono frequenti.

Soprattutto nella basilica-reliquiario che ne custodisce la tomba, mosaici, dipinti, bronzi, marmi e stucchi narrano l'intero ciclo del pescatore di Galilea divenuto pescatore di uomini, della sua predicazione, come ci è narrato dai Vangeli, dagli Atti degli Apostoli, dagli storici, dai Padri della Chiesa e dalla tradizione: si racconta anche della figlia Petronilla, dei soldati Processo e Martiniano. Sono soprattutto alcuni episodi a essere replicati: san Pietro nella navicella, la consegna delle chiavi, la liberazione dal carcere, il martirio.

Sul primo degli altari del braccio sud del corpo michelangiolesco della Basilica Vaticana vi è la copia musiva settecentesca della Crocifissione di san Pietro di Guido Reni (1575-1642). L'originale olio su tavola, realizzato tra il 1604 e il 1605 su commissione del cardinale Pietro Aldobrandini per la basilica di San Paolo alle Tre Fontane, dopo l'esilio francese, si trova ora nella Pinacoteca Vaticana.

Se della vita e della predicazione dell'Apostolo le narrazioni canoniche offrono elementi importanti, della sua morte non dicono nulla. Su questa le fonti storiche e gli interpreti non concordano. Essa sarebbe da collocarsi tra il 64 e il 67, un po' dopo l'incendio di Roma per opera di Nerone, come narra Tacito (Annales, XV, 44); secondo san Girolamo sarebbe avvenuta nell'anno 67, due anni dopo quella di Seneca (De viris illustribus, I).

Il primo autore cristiano a parlare di crocifissione per san Pietro è Tertulliano (De praescriptione haereticorum, 36, 2) e san Girolamo specifica che avvenne con il capo all'ingiù, reputandosi l'apostolo indegno di essere martirizzato come il suo Signore. Era questa una modalità di esecuzione abbastanza comune se Seneca dice di averla osservata in altri casi (Consolatio ad Marciam, 20), ma Origene specifica che fu Pietro a chiederla al carnefice (Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, III, 1, 2).

Circa il luogo del martirio le notizie dallo pseudo Lino nel Martyrium Petri sono precise: ad locum qui vocatur Naumachiae, iuxta obeliscum Neronis, in montem in Vaticano. La sepoltura avvenne non molto lontana dal luogo dell'esecuzione, nel sepolcreto sul colle Vaticano, lo confermano il passo del prete Gaio riportato da Eusebio e gli scavi archeologici condotti negli anni Cinquanta del Novecento: "Se tu vai al Vaticano o sulla via di Ostia, io ti posso mostrare i trofei dei fondatori di questa chiesa" (Historia ecclesiastica, II, 25). Petrus sepultus est via Aurelia, in templum Appollinis, iuxta locum ubi crucifixus est, iuxta palatium Neronianum, in Vaticanum (Liber Pontificalis, I, 118). È lì che l'apostolo, come scrive san Girolamo, ora è venerato da tutto il mondo.

La Crocifissione di san Pietro è la prima affermazione pittorica romana di Guido Reni, "uno degli artisti più "difficili" della nostra storia artistica" (Andrea Emiliani). Bolognese come Domenichino, e suo compagno di apprendistato nella bottega del fiammingo Denijs Calvaert, Guido fece della bellezza e della grazia di Raffaello il fondamento della propria poetica; studiò Correggio, Dürer incisore e la cultura emiliana e veneta. Poi aderì alla scuola dei Carracci, ma nel clima di ritorno al "naturale" mostrò la sua indipendenza e la sua propensione al classicismo idealizzante.

E prima che, nel 1599, la scuola divenisse l'Accademia degli Incamminati, il nostro pittore si era già messo in autonomia. Nel 1602 scese a Roma, dove la sua robusta personalità ebbe modo di misurarsi da vicino con la scultura antica e le forme più ellenizzanti dell'ultimo Raffello, e subì il forte impatto della straordinaria concezione della pittura di Caravaggio.

L'influsso caravaggesco è manifesto nella Crocifissione di san Pietro: il soggetto proviene direttamente dall'analogo dipinto per la chiesa romana di Santa Maria del Popolo. Reni è impressionato dal suo modo di raccontare gli episodi drammatici della religione. Anch'egli limita gli attori del dramma all'apostolo e ai carnefici, facendone quasi un gruppo scultoreo il cui virtuosistico schema piramidale evoca esplicitamente la scultura antica. Li veste con abiti contemporanei, evidenzia la plastica dei corpi, fissa la gestualità in movimenti lenti, composti e simmetrici. Mostra innegabile interesse per la balenante essenzialità del lume caravaggesco; è affascinato dai contrasti della luce, una luce indefinibile che, diversamente da Caravaggio, illumina anche il paesaggio.

Ma il clamore caravaggesco è mitigato dal "decoro" bolognese come conviene a un pittore nato nella capitale settentrionale dello Stato Pontificio. Il registro edificatorio e patetico è calibrato dalla ricerca idealizzante e da un magistero tecnico di alta qualità.

Tutto è intenzionalmente perfetto, acutamente deliberato e pervaso da una grande poesia drammatica. Pietro è solo al patibolo: i carnefici non sono una grande compagnia. La solitudine aumenta il silenzio che per un istante sembra non essere infranto neppure dal martello e dai chiodi. Solo una corda legata ai piedi sostiene il condannato al palo.

Aspirazione, necessità, frattura, isolamento forzato, memoria: l'eredità della Riforma cattolica ha qui un capolavoro severo, quasi puritano, dominato dalla forza del classicismo cristiano, della sacralità e religiosità del sublime formale. La rappresentazione del naturale è depurata da ogni crudezza; dal martirio è assente il patimento.

I carnefici paiono attendere a un innocuo lavoro di artigiani: l'uno issa il condannato alla croce, l'altro accompagna il suo rovesciamento, quello in cima s'apparecchia a conficcare il chiodo. Ma è, per il momento, un esercizio senza dolore e spargimento di sangue. Il supplizio di Pietro appare come il semplice realizzarsi della profezia di Gesù: "Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Giovanni, 21, 18), la celebrazione interiore e calma del suo mistero.

L'apostolo aiutato dal carnefice si "adegua" alla croce o s'inarca in uno sforzo senza fatica. Da uomo semplice e schietto, diremmo sanguigno, agisce d'impeto: anche qui sembra voler dare istruzione, come un tempo obiettò che non conveniva che il Maestro gli lavasse i piedi (cfr. Giovanni, 13, 6-9). Il "dopo" annunciato da Gesù è giunto. Il significato di quella purificazione contrastata ora gli è divenuto chiaro: il suo sacrificio ha da unirsi a quello di Cristo che ha acquisito per tutti e definitivamente la vera purificazione. Di lì a poco "non solo i piedi, ma anche le mani e il capo" saranno lavati, non dall'acqua, ma dal sangue: il suo come quello del Maestro!

Se nel dipinto l'aspetto sanguinoso manca, non è assente il dilemma della coscienza, la meditazione morale: più d'una volta Pietro era stato rimproverato da Gesù ed egli pur non comprendendo aveva sempre ubbidito e accettato consapevole di trovarsi innanzi alla Verità. Ora la Verità gli chiede l'abbraccio della passione, gli dona la beatitudine del martirio: è qui che Pietro impara pienamente ciò che "né la carne né il sangue gli hanno rivelato" (Matteo, 16, 17). L'apostolo resta fedele fino in fondo: "Simone, Simone ho pregato per te, che non venga meno la tua fede" (Luca, 22, 32). La Chiesa fondata su Cristo "pietra angolare" poggia su Pietro come roccia, sulla sua testimonianza. La roccia sarà solida, ben ferma e fondata in profondità per poter reggere un edificio stabile in grado di sfidare le bufere della storia (cfr. Agostino d'Ippona, Discorso 20/A, 7).

Il dipinto di Guido Reni mostra Pietro che con la sua croce, con il suo essere capovolto, spinge in profondità la fondazione fin là dove "le porte degli inferi non prevarranno" (Matteo, 16,18). "Il mistero della croce non è forse da nessuna parte così tangibilmente presente come nella storia del primato" (Joseph Ratzinger, La Chiesa, Città del Vaticano, 2006, p. 63). La compenetrazione di idealità classica e moralità cristiana offre a Reni i mezzi per esprimere adeguatamente l'avvenimento e il suo mistero.

L'età in cui Reni operò fu di passioni e sentimenti spesso contrastanti. Quei sentimenti e passioni si raccolgono ancora innanzi al suo dipinto in una convergenza quasi corale, in un commento nobile e misurato, che sembra non conoscere il trascorrere dei secoli. Constatando che in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi Benedetto XVI nel 2009 - (nella Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della Scomunica dei quattro Vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre del 10 marzo) - scrive: "La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: Tu... conferma i tuoi fratelli (Luca, 22, 32)".

(©L'Osservatore Romano - 21-22 febbraio 2011)


Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione
della scomunica dei 4 vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre
(10 marzo 2009)
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