giovedì 14 aprile 2011

Bisogna accogliere e difendere la libertà religiosa (Jean-Louis Tauran)


Il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso al Consiglio d'Europa

Bisogna accogliere e difendere
la libertà religiosa


Pubblichiamo integralmente, in una nostra traduzione, l'intervento che il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha tenuto martedì 12 a Strasburgo, durante la sessione primaverile dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, nell'ambito di un dibattito sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale


di Jean-Louis Tauran

La Chiesa cattolica e la cultura sono vecchi compagni di viaggio. Gesù incarnandosi ha assunto tutte le dimensioni della persona umana, compresa quella culturale. E il concilio Vaticano II nella sua costituzione Gaudium et spes definisce con termini precisi che cos'è la cultura: "Con il termine generico di "cultura" si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano" (n. 53).

I credenti hanno un modo di servirsi delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la loro religione, di arricchire le scienze e le arti che fornisce all'intera comunità umana una risposta ai grandi interrogativi che tormentano l'uomo da sempre, quelli che Emmanuel Kant formulava: "Che cosa posso conoscere, che cosa devo fare, che cosa posso sperare?".

Papa Giovanni Paolo II, durante la sua visita all'università di Coimbra, il 15 maggio 1982, osservava: "Nel passato, quando si voleva definire l'uomo, quasi sempre ci si riferiva all'intelligenza, alla libertà o al linguaggio. I recenti progressi della antropologia culturale e filosofica mostrano che si può ottenere una definizione non meno precisa della realtà umana riferendosi alla cultura. Questa caratterizza l'uomo e lo distingue dagli altri esseri non meno chiaramente che l'intelligenza, la libertà e il linguaggio". E durante la sua visita all'Unesco il 2 giugno 1980 non esitò a concludere il suo discorso dicendo: "Sì! L'avvenire dell'uomo dipende dalla cultura!".

In questo inizio millennio in cui la trasmissione dei valori è così difficile da realizzare, i compiti della fede cristiana nella cultura sembrano più che mai evidenti. Non si tratta di dettare agli uomini che cosa devono fare, si tratta di ricordare loro che sono i gestori delle risorse materiali e morali di questo mondo a beneficio di tutti, e dunque che incombe loro il dovere di mantenerli e di coltivarli per le generazioni future. Spetta loro anche fare in modo che i loro contemporanei non siano mai privati delle fonti di luce o delle proposte di senso capaci d'illuminarli e di sostenerli: di fronte agli esperimenti sull'umano, all'aborto, all'eutanasia, alla banalizzazione della sessualità, alla dittatura dell'apparire, essi devono "divenire complici di tutto quello che, nella cultura, va ancora, va sempre, va già nel senso dell'umano e dell'umanizzazione". Anche questo è amare i propri fratelli in umanità. E infine, essi devono testimoniare la singolarità cristiana, devono avere il coraggio della differenza!

Tutti insieme i credenti avranno a cuore di sensibilizzare i legislatori e gli insegnati sull'opportunità di rispettare sempre la persona che ricerca la verità di fronte all'enigma della sua condizione, di educare al senso critico che permette di scegliere fra il vero e il falso, di apprezzare e di diffondere le grandi tradizioni culturali aperte alla trascendenza, che esprimono così bene la nostra aspirazione alla libertà e alla verità.

Allo stesso modo è importante, in particolare, che i giovani siano considerati uguali di fronte al dialogo interculturale e interreligioso: devono avere la stessa possibilità di accedere alla conoscenza della loro religione e di poter conoscere la religione degli altri. Preoccupiamoci sempre d'informarli sugli altri modi di pensare e di credere e di dissipare così le paure. Noi ci arricchiamo ognuno dei modi di pensare dell'altro, condividendo il meglio delle nostre tradizioni spirituali. Non si tratta di far concessioni alla verità, ma di conoscere l'altro, di ascoltarlo, d'individuare quello che abbiamo in comune e di mettere questo saper fare - questo saper vivere - a disposizione di tutti.

Esiste un umanesimo europeo di origine cristiana. Certo, non bisogna sottovalutare la presenza degli ebrei, l'apporto della filosofia araba, gli interrogativi dell'illuminismo, ma è il cristianesimo a essere all'origine di molte istituzioni europee: la scuola, l'università, gli ospedali. Questo umanesimo europeo ha potuto rendere possibile, con l'eccezione di una grande parte del secolo scorso, il dibattito fra fede e ragione. Un umanesimo aperto alla trascendenza che, ancora oggi, nonostante il secolarismo e il relativismo ambientali, permette ai cristiani - e ai credenti in generale - di ricordare la priorità dell'etica sulle ideologie del momento, il primato della persona sulle cose, la superiorità dello spirito sulla materia. Mi torna alla mente quello che disse Paul Valéry in una conferenza che diede all'università di Zurigo, alla fine del 1922: "C'è Europa laddove le influenze di Roma sull'amministrazione, della Grecia sul pensiero, del cristianesimo sulla vita interiore si fanno sentire tutte e tre".

In Europa, nessuna religione può pretendere d'imporsi con l'astuzia o con la forza. In Europa si dialoga. In Europa la religione non solo si eredita, ma sempre più spesso si sceglie. Poiché le religioni sono anche culture, l'Europa resta ancora oggi un crogiolo del vivere insieme di cui Strasburgo è laboratorio e simbolo! Ecco perché è opportuno che non manchino mai spazi di ascolto e di condivisione, come quello che ci riunisce questa mattina. Essi ci permettono di conoscere il vero volto delle religioni. Auspico che il Consiglio d'Europa abbia sempre il coraggio di prendere le decisioni concrete necessarie per promuovere - e all'occorrenza difendere - la libertà di religione, per denunciare ogni forma di persecuzione, di violenza e di discriminazione per motivi religiosi, in Europa e in ogni parte del mondo.

Come credenti, un immenso cantiere si offre a noi per lavorare insieme, nel quadro del dialogo ecumenico, del dialogo interreligioso, e anche con tutti coloro che camminano verso l'Assoluto. Facciamo in modo che mai il nome di Dio venga invocato per giustificare discriminazioni e violenze!
Lascerò il compito di concludere il mio discorso al cardinale Joseph Ratzinger. Nel suo discorso di ricevimento all'Accademia delle scienze morali e politiche dell'Institut de France, il 6 novembre 1992, affermava: "Non spetta alla Chiesa essere uno Stato o una parte dello Stato, bensì una comunità basata su convinzioni (…) Essa deve, con la libertà che le è propria, rivolgersi alla libertà di tutti, in modo tale le forze morali della storia restino le forze del presente e che risorga sempre nuova questa evidenza dei valori senza la quale la libertà comune non è possibile!".

(©L'Osservatore Romano 14 aprile 2011)