venerdì 3 giugno 2011

Già nel III secolo una comunità ben organizzata si strinse attorno al vescovo Domnio "E il buon Pastore approdò in Croazia"



Già nel III secolo una comunità ben organizzata si strinse attorno al vescovo Domnio

E il buon Pastore
approdò in Croazia

di Fabrizio Bisconti

I territori della Croazia furono attraversati ben presto dalla fede cristiana, che approdò, innanzi tutto, sulle coste dell’Adriatico e, segnatamente, sulle sponde dell’Istria e della Dalmazia. Quest’ultima provincia, situata sulla sponda orientale dell’Adriatico, vide nascere e crescere la nuova fede specialmente nel celebre centro di Salona, non lontano da Spalato, che, come è noto, accoglie i resti del palazzo di Diocleziano, una delle residenze imperiali più monumentali e complesse della tarda antichità. Proprio a Salona il Cristianesimo sembra diffondersi già dal III secolo, tanto che alla fine di questo una comunità già ben organizzata si strinse attorno al vescovo Domnio per affrontare il grave momento della persecuzione innescata da Diocleziano.

A Salona, infatti, nel settore nordoccidentale della città, è stato intercettato un edificio di culto, dove doveva essere situata una domus ecclesiae, ovvero una semplice abitazione dove si svolgevano le più elementari manifestazioni liturgiche, prima tra tutte la sinassi eucaristica. Se questo edificio non è stato ancora indagato, è riemersa un’aula provvista di presbiterio, affiancata da un altro edificio simile, dando l’idea di due oratori, o meglio di una basilica doppia, del tipo diffuso in età paleocristiana e in area adriatica, secondo una organizzazione che, agli esordi del IV secolo, trova la sua espressione più definita nel complesso teodoriano di Aquileia.

La basilica doppia salonitana, durante il IV e il V secolo, si strutturò e si arricchì di un battistero e di un episcopio. A un centinaio di metri dalle mura di Salona si sviluppò uno dei cimiteri paleocristiani della città, in località Manastirine, che già accoglieva un sepolcreto pagano, nel quale, durante la persecuzione dioclezianea, fu tumulato il corpo del martire Domnio, intorno alla cui tomba sorsero, prima, alcuni edifici memoriali absidati e, poi, una basilica a tre navate, che includeva nel suo presbiterio la tomba del santo. Nella complessa area archeologica di Manastirine furono rinvenuti, tra gli altri, tre monumentali sarcofagi, tra il quali quello ispirato al mito di Ippolito e Fedra e quello subito definito del Buon Pastore. Queste due arche marmoree furono sistemate in una sorta di corridoio della basilica cimiteriale, un ambiente che distingueva la memoria del vescovo martire Domnio e dei suoi compagni da due mausolei di famiglie che avevano voluto sistemare i loro sepolcri in prossimità del martyrium salonitano.

Il sarcofago del Buon Pastore mostra i caratteri di un compromesso tra parti forse non omogenee, se il coperchio appare sbozzato, della forma a tetto a doppio spiovente, su cui riposa la coppia dei coniugi, anch’essa non rifinita. Se è difficile comprendere il momento in cui il coperchio incompiuto sia stato annesso all’arca, il sarcofago, nel suo insieme, risponde ai canoni diffusi dal tipo «architettonico», ovvero dalla cassa appena scandita da archi e timpani sorretti da esili colonne, con l’intento di riprodurre frontespizi di monumenti virtuali, di tipo domestico, civile o anche già funerario. Il tipo, debitore all’attività delle officine microasiatiche, ebbe un influsso importante e, forse, una reinvenzione, già in età medio-imperiale, nell’area norditalica con fortuna speciale ad Aquileia e a Ravenna, talché si è pensato a questi centri, assieme a quelli della Dalmazia, come sedi della nuova produzione.

Il nostro sarcofago è scolpito in marmo proconnesio e mostra ornamentazioni del tipo orientale, ma se entriamo nel merito della sostanza iconografica, il discorso cambia per condurci verso l’arte propriamente romana. Nell’edicola centrale, su un basso plinto, la figura monumentale di un «portatore di ariete», barbato, come ebbe a notare il grande iconografo Joseph Wilpert, appare di «impianto erculeo». Nelle arcate laterali si stagliano le immagini dei defunti: a sinistra, la matrona in tunica e palla, con il capo velato, mentre tiene un bambino tra le braccia; a destra un uomo, atteggiato e vestito come un filosofo, attorniato da una densa folla di dimensioni ridotte, variamente caratterizzata per l’età, gesti e vestiario, che fa ala anche a una monumentale porta serrata nel fianco sinistro, mentre risulta libera l’immagine di un erote funerario con la fiaccola spenta nell’altro fianco.

Prese singolarmente, le rappresentazioni, pur monumentali ed enfatiche del pastore, dei defunti, della porta inferi e dell’erote funerario non ci sorprendono ed entrano tranquillamente nel giro delle manifestazioni figurative di stampo propriamente sepolcrale, osservato nella lunga durata e proveniente dalla più collaudata materia iconografica ellenistica. Né ci sorprende la contingenza, secondo cui tali figure si collochino entro un contesto architettonico, seppure tanto solenne e sofisticato da rammentare la tradizione asiana, così lontana nel tempo e nello spazio. Ci incuriosisce, invece, quella piccola folla che si accalca attorno alle due imagines dei defunti e alla porta dell’oltretomba, creando una situazione figurativa anomala, che ricorda, nell’impatto, la rappresentazione delle grandi famiglie protette dal largo e generoso manto delle Madonne medievali. I rimandi iconografici — come si diceva — ci accompagnano verso l’arte romana della tarda antichità e ci parlano di un paradiso popolato di beati che accolgono i due defunti al cospetto del Buon Pastore, ossia del protagonista della parabola della pecorella smarrita. Il Cristo – Buon Pastore, dunque, si propone come il «glutine» del popolo di Dio a cui hanno avuto accesso i due coniugi di Spalato, che cercano, all’indomani della grande persecuzione dioclezianea, il protettorato congiunto del Cristo e dei martiri locali, sepolti a pochi passi dal loro sepolcro. Il sarcofago del Buon Pastore, con la sua solenne decorazione, ci fornisce una significativa testimonianza di una cristianizzazione delle classi elevate della società tardoantica, che, senza rinunciare ai temi della tradizione pagana, accoglie nuove cifre iconografiche come quella «rinnovata» del Buon Pastore. Quest’ultima immagine, infatti, pur denunciando una lunga fortuna figurativa che si allunga e proietta nel passato, quando il villico con la pecora sulle spalle aveva rappresentato Hermes psicopompo o la personificazione della filantropia, si rigenera completamente e diviene la cifra cristologica più immediata e più pronta a emanare i concetti nuovi e augurali di tipo soterico. L’immagine arriva anche in terra di Croazia, attraverso quel mare Adriatico che rappresenta, nella tarda antichità, una delle vie privilegiate della diffusione di una fede che propone come base e fine ultimo l’idea rivoluzionaria della salvezza promossa proprio dal Cristo, da quel Buon Pastore che vigila su tutta la popolazione di Dio con grande premura e con un delicato atteggiamento filantropico.

(©L'Osservatore Romano 4 giugno 2011)