sabato 18 giugno 2011

La mostra del Pontificio Consiglio della Cultura per il sessantesimo di sacerdozio di Joseph Ratzinger. Auguri d'autore




La mostra del Pontificio Consiglio della Cultura per il sessantesimo di sacerdozio di Joseph Ratzinger

Auguri d'autore

Nell’omaggio anche la risposta all’appello per un rinnovato dialogo con la Chiesa


di Sandro Barbagallo

Nella mattinata di venerdì 17 giugno è stata presentata nella Sala Stampa della Santa Sede la mostra «Lo splendore della Verità, la bellezza della Carità», un omaggio degli artisti a Papa Benedetto XVI in occasione del suo 60° anniversario di ordinazione sacerdotale che ricorrerà il prossimo 29 giugno. L’iniziativa è stata promossa dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che sulla scia dell’incontro del 21 novembre 2009 nella Cappella Sistina ha invitato sessanta artisti di levatura internazionale appartenenti alle forme espressive più diverse.

Sessant’anni fa, il 29 giugno 1951, festa dei santi Pietro e Paolo, più di quaranta giovani entravano nel duomo di Frisinga per ricevere la consacrazione sacerdotale. Tra loro c’erano Joseph Ratzinger e suo fratello Georg. «Era una splendida giornata d’estate, che resta indimenticabile come il momento più importante della mia vita», racconta Benedetto XVI, che ricorda anche come mentre il cardinale Michael von Faulhaber imponesse le mani su di lui, un’allodola si levò dall’altare maggiore cinguettando. «Per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada giusta».

Sono già trascorsi sessant’anni da quando il Papa ha pronunciato il suo adsum, «sono qui», e per festeggiare l’anniversario il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha chiamato sessanta artisti affinché, a loro volta, potessero manifestare devozione al Pontefice con il proprio adsum.

Benedetto XVI, il prossimo 4 luglio inaugurerà nell’atrio dell’Aula Paolo VI un’esposizione intitolata «Lo splendore della Verità, la bellezza della Carità». In più occasioni il Papa ha manifestato disponibilità e apertura a un nuovo dialogo tra Chiesa e cultura. Ricordiamo come sia stato lui a voler incontrare duecentocinquanta artisti provenienti da tutto il mondo il 21 novembre 2009.

Nei suoi scritti, inoltre, ha più volte ripreso il tema del confronto tra la Chiesa e la cultura contemporanea, la quale, da quando ha perduto il suo fondamento religioso, vive un processo di continua messa in questione di se stessa. La Chiesa — ha affermato — «deve aprirsi ai problemi del nostro tempo, così pure la cultura deve in modo nuovo porsi la domanda circa la sua mancanza di radici e circa il suo fondamento, aprendosi con ciò ad un processo doloroso di guarigione, cioè ad un’intima riconciliazione con la religione, perché solo da qui può ricevere la sua linfa vitale». Sembra invece che spesso gli artisti contemporanei sappiano esprimersi soltanto nella derisione e nello scherno per liberarsi dalla grandezza dell’arte, ma in realtà, calpestandola. Forse pensano che così potranno riconquistare una superiorità che sentono di non possedere più.

La rassegna dedicata al sessantesimo anniversario di sacerdozio di Joseph Ratzinger appare particolarmente significativa poiché tenta una prima ricognizione, in tutti i campi, tra quanti hanno fatto del proprio meglio per superare «quelle parodie nichilistiche dell’arte» tanto invise allo stesso Pontefice. Gli artisti invitati si sono ispirati al titolo «Lo splendore della Verità, la bellezza della Carità». Un tema che si è per essi rivelato una sorta di lasciapassare verso un nuovo tipo di espressione, senza peraltro tradire la propria identità primaria.

Forse proprio questa mostra e l’atteggiamento umile con cui nomi anche celebri vi hanno aderito — i superbi e gli arroganti si sono autoesclusi — sarà un esempio qualificato e qualificante per la costruzione di una nuova creatività da cui ripartire.

Invitando sessanta artisti a rappresentare la pittura, la scultura e tutte le altre discipline artistiche, proponendo loro un tema a cui ispirarsi, si è voluto anche dimostrare con i fatti la grande differenza esistente tra arte religiosa e arte sacra.

Nei loro differenti linguaggi e senza tradire il segno che li identifica, ogni artista ha cercato di interpretare il significato profondo delle parole Verità e Carità.

Non importa stabilire se ci siano riusciti alla lettera, importa invece che sia nato un legame nuovo con quegli artisti che esprimono nella propria vocazione per l’arte un intimo senso religioso, senza cadere nella tentazione del facile successo.

Già durante l’incontro del 2009 nella Cappella Sistina, il Papa, citando sant’Agostino, «cantore innamorato della bellezza», rifletteva sul destino ultimo dell’uomo e sull’importanza che gli artisti si ispirassero a un’arte, nutrita dalla sincerità del cuore, e così capace di testimoniare bellezza.

Del resto, in più occasioni, proprio sulle pagine de «L’Osservatore Romano» è stato raccontato quanti artisti, cosiddetti di avanguardia, conservassero nel proprio cuore non solo una profonda spiritualità, ma un autentico credo religioso.

Il futurista Filippo Tommaso Marinetti, ad esempio, teneva sempre in tasca un santino del Sacro Cuore di Gesù e nella stanza da letto di Andy Warhol faceva bella mostra di sé un grande crocifisso, perennemente illuminato da una candela.

Molti altri episodi si potrebbero citare, da Paul Gauguin a Vincent van Gogh, da Lucio Fontana a Gino Severini.

Ribadiamo che non risponde a verità l’idea che la Chiesa prediliga un’arte oleografica, come ha dichiarato recentemente qualche critico superficiale, se lo stesso Ratzinger scrive che «senza il coraggio di andare controcorrente, non si può far nulla neppure oggi. Solo da un tale coraggio può scaturire una nuova creatività».

Come si sa il dialogo tra Chiesa e arte si è consolidato nei secoli per elaborare un linguaggio capace di tramandare una storia per immagini ispirata alla Bibbia e alla vita dei santi. Per lungo tempo gli artisti hanno dunque avuto nella Chiesa un committente privilegiato, che ha permesso loro di creare uno straordinario patrimonio per l’umanità. Quando però l’Impressionismo ha codificato un’arte priva di committenza, perché legata a una creatività individualista, l’intesa tra artisti e Chiesa si è come improvvisamente spezzata. L’avvento delle Avanguardie ha poi consolidato questa rottura, poiché a molti artisti sembrava impossibile poter nuovamente pensare sia a un’arte sacra che a un’arte religiosa.

Anche se Vasilij Kandinsky nello Spirituale nell’Arte — terminato nell’estate del 1911 e pubblicato nel gennaio 1912 — scrive: «Ogni opera d’arte è figlia del suo tempo, e spesso è madre dei nostri sentimenti». Il grande artista poi, esorta i colleghi a risvegliarsi da quel «lungo periodo di materialismo, che racchiude in sé i germi di quella disperazione che nasce dalla mancanza di una fede, di uno scopo, di una meta».

Nel 1943, comunque, in occasione del venticinquesimo anno di episcopato di Pio XII, la chiesa costruita in suo onore a Roma e dedicata a sant’Eugenio fu affidata a numerosi artisti dell’epoca: da Ferruccio Ferrazzi a Giacomo Manzù. Proprio a Manzù il suo successore, Giovanni XXIII, commissionò la Porta dei morti della Basilica Vaticana. Paolo VI, poi, profondo conoscitore dell’arte contemporanea, decise di riallacciare il rapporto con gli artisti invitandoli nel 1964 alla messa per la solennità dell’Ascensione celebrata nella Cappella Sistina. In quell’occasione il Pontefice riconobbe le colpe della Chiesa per la frattura che si era generata: «Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci! (…) Noi abbiamo bisogno di voi (…) creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità».

Un ulteriore passo per un rinnovato dialogo tra Chiesa e artisti trova la propria definizione nel concilio Vaticano II. Basti pensare alla costituzione pastorale sul mondo contemporaneo Gaudium et spes, del 1965, che esorta all’impegno «affinché gli artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella loro attività e, godendo di un’ordinata libertà, stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana».

Il 23 giugno 1973 Paolo VI fece un ulteriore gesto nei confronti dell’arte contemporanea inaugurando la Collezione d’Arte Religiosa Moderna nei Musei Vaticani, con ottocento opere di pittura e scultura di artisti internazionali.

La Lettera agli artisti del 4 aprile 1999 del beato Giovanni Paolo II non nasceva dunque dal nulla. Illuminanti furono le sue parole quando scrisse: «se il Figlio di Dio è entrato nel mondo della realtà visibile, gettando un ponte mediante la sua umanità tra il visibile e l’invisibile, analogamente si può pensare che la rappresentazione del mistero possa essere usata, nella logica del segno, come evocazione sensibile del mistero».

È vero però che si deve alla volontà di Benedetto XVI di consolidare il rapporto con gli artisti, concretizzandolo, come sta avvenendo, con le iniziative organizzate dal cardinale Gianfranco Ravasi, che ha recentemente sottolineato l’importanza di quest’incontro da cui artista e credente usciranno arricchiti, sollecitati e affrancati da stereotipi, diffidenze ed equivoci, pronti a ritrovare, forse, una consonanza ideale.

Infatti, come scrive il Papa: «La creatività artistica nel senso del Libro dell’Esodo è invece un guardare insieme con Dio, una partecipazione alla sua creatività; un portare alla luce la bellezza nascosta che nella creazione è già in attesa».

(©L'Osservatore Romano 18 giugno 2011)