venerdì 10 giugno 2011

Intervista rilasciata da Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei




Mons. Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha ricevuto Nouvelles de France in Vaticano. Egli spiega le intenzioni de Benedetto XVI nei confronti della Messa tradizionale e la Fraternità San Pio X

Intervista rilasciata da
Mons. Guido Pozzo
Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei

a Pierre de Bellerive
per il Nouvelles de France, 8 giugno 2011


Monsignore, qual è la finalità del Motu Proprio Summorum Pontificum?

Il Motu proprio Summorum Pontificum intende offrire a tutti i fedeli cattolici la liturgia romana nell’usus antiquior, considerandolo come un tesoro prezioso da conservare. A tal fine, essa intende garantire ed assicurare, a tutti coloro che lo chiedono, l'uso della forma straordinaria e favorire così l’unità e la riconciliazione nella Chiesa.

Perché questo successo della Messa di San Pio V tra i giovani cattolici?

Penso che il raccoglimento interiore e il significato della Messa come sacrificio siano particolarmente valorizzati dalla forma straordinaria. È questo che spiega in parte l’aumento del numero di fedeli che la chiedono.

La lettera del Papa che accompagna il Motu Proprio indica che c'era un aumento del numero dei fedeli che richiedevano l’uso della forma straordinaria. Qual è la ragione secondo Lei?

La lettera di accompagnamento del Motu Proprio presenta i motivi e le spiegazioni che chiariscono le finalità e il senso del Motu Proprio. È fondamentale sottolineare che le due forme dell’unico rito romano si arricchiscono a vicenda e dunque devono essere considerate come complementari. Il ripristino dell’usus antiquior del Messale romano con il suo quadro normativo proprio, è dovuto all’aumento nelle domande dei fedeli che desideravano partecipare alla celebrazione della Santa Messa nella sua forma straordinaria. Si tratta in sostanza di rispettare e di valorizzare un interesse particolare nutrito da certi fedeli per la Tradizione e per la ricchezza del patrimonio liturgico messo in evidenza dal rito romano antico. È interessante che questa sensibilità sia presente anche nelle giovani generazioni, cioè tra persone che a suo tempo non sono state formate a questo genere di liturgia.

Si dice che i movimenti tradizionali suscitino più vocazioni che altrove. È vero? Se sì, perché?

Negli Istituti che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e che seguono le forme liturgiche e disciplinari della Tradizione, vi è un aumento di vocazioni sacerdotali e di vocazioni alla vita religiosa. Io credo, tuttavia, che una ripresa delle vocazioni sacerdotali la si constata anche nei seminari. Soprattutto là dove si offre una formazione e una educazione al ministero sacerdotale e ad una vita spirituale seria e rigorosa, senza la loro riduzione di fronte alla secolarizzazione, la quale sfortunatamente è penetrata nella mentalità e nelle forme di vita di certi chierici e perfino di certi seminari. Secondo me, questo costituisce la causa principale della crisi delle vocazioni al sacerdozio, crisi di qualità beninteso, piuttosto che di quantità. Presentare la figura del sacerdote nella sua profonda identità, come ministro del sacro, cioè come alter Christus, come guida spirituale del popolo di Dio, come colui che celebra il sacrificio della Santa Messa e rimette i peccati nel sacramento della confessione, agendo in persona Christi capitis, questa è la condizione essenziale per la messa in atto di una pastorale delle vocazioni che sia fruttuosa e permetta la ripresa delle vocazioni al sacerdozio ministeriale.

Sa se il Papa è soddisfatto dell’applicazione del Motu Proprio?

La Pontificia Commissione Ecclesia Dei tiene costantemente informato il Santo Padre sull'evoluzione dell’applicazione del Motu Proprio e sulla crescita della sua ricezione, malgrado le difficoltà di applicazione che constatiamo qua o là.

Quali sono concretamente le difficoltà di applicazione che incontrate?

Vi sono ancora delle resistenze da parte di certi vescovi e membri del clero, che non rendono molto accessibile la Messa tridentina.

L'istruzione Universae Ecclesiae sembra favorire ancor meglio la celebrazione della forma straordinaria. È così?

L'istruzione ha lo scopo di aiutare ad applicare in modo sempre più efficace e corretto le direttive del Motu Proprio. Essa offre delle precisazioni normative e dei chiarimenti su aspetti importanti per l'applicazione pratica.

Si ha l'impressione che è soprattutto in Francia che le reazioni sono più epidermiche su questo argomento. Qual è la ragione secondo Lei?

Forse è troppo presto per dare una valutazione sufficientemente completa delle reazioni all'Istruzione, e questo non vale solo per la Francia. Ma mi sembra che, pensando alla situazione della Chiesa in Francia, bisogna tenere conto del fatto che esiste una tendenza a polarizzare e a radicalizzare i giudizi e le convinzioni in materia. Questo non favorisce una buona comprensione e una autentica ricezione del documento. In più occorre superare una visione principalmente emotiva e sentimentale. Si tratta - ed è un dovere – di recuperare il principio dell'unità della liturgia, che giustifica proprio l'esistenza di due forme, entrambe legittime, che non devono mai essere viste in opposizione o in alternativa. La forma straordinaria non è un ritorno al passato e non deve essere intesa come una messa in causa della riforma liturgica voluta dal Vaticano II. Ugualmente, la forma ordinaria non è una rottura col passato, ma il suo sviluppo almeno su certi aspetti.

Sollecitudine dei Sommi Pontefici e Chiesa universale sono i titoli rispettivi del Motu proprio e della sua Istruzione. Questo significa che lo scopo è una riconciliazione con i «tradizionalisti»?

L'Istruzione, come ho detto all'inizio, intende favorire l'unità e la riconciliazione nella Chiesa. Il termine «tradizionalista» è spesso una formula generica usata per definire cose molto differenti. Se per «tradizionalisti», si intendono i cattolici che ripropongono con forza l'integrità del patrimonio dottrinale, liturgico e culturale della fede e della tradizione cattolica, è chiaro che essi troveranno conforto e sostegno nell'Istruzione. Il termine «tradizionalista» può essere inteso anche differentemente ed indicare colui che fa un uso ideologico della Tradizione, per opporre la Chiesa di prima del Concilio Vaticano II alla Chiesa del Vaticano II, che si sarebbe allontanata dalla Tradizione. Questa opinione è una maniera distorta di comprendere la fedeltà alla Tradizione, perché il Concilio Vaticano II fa anch’esso parte della Tradizione. Le deviazioni dottrinali e le deformazioni liturgiche che si sono prodotte dopo la fine del Concilio Vaticano II non hanno alcun fondamento oggettivo nei documenti conciliari compresi nell’insieme della dottrina cattolica. Le frasi o le espressioni dei testi conciliari non possono e non devono essere isolate o sradicate, per così dire, dal contesto globale della dottrina cattolica. Sfortunatamente, queste deviazioni dottrinali e questi abusi nell’applicazione pratica della riforma liturgica costituiscono il pretesto di questo «tradizionalismo ideologico» che fa rifiutare il Concilio. Un tale pretesto si basa su un pregiudizio senza fondamento. È chiaro che oggi non è più sufficiente ripetere il dato conciliare, ma bisogna al tempo stesso confutare e rifiutare le deviazioni e interpretazioni erronee che pretendono fondarsi sull’insegnamento conciliare. Questo vale anche per la liturgia. È questa la difficoltà con cui oggi ci troviamo alle prese.

«I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale». (Istruzione Universae Ecclesiae, § 19). Questa precisazione riguarda la Fraternità San Pio X?

L’articolo dell'Istruzione a cui Lei si riferisce riguarda certi gruppi di fedeli che considerano o postulano un’antitesi tra il Messale del 1962 e quello di Paolo VI, e che pensano che il rito promulgato da Paolo VI per la celebrazione del Sacrificio della S. Messa sia dannoso per i fedeli. Voglio precisare che bisogna distinguere chiaramente il rito e il Messale come tale, celebrato secondo le norme, e una certa comprensione e applicazione della riforma liturgica, caratterizzata da ambiguità, deformazioni dottrinali, abusi e banalizzazioni, fenomeni purtroppo assai diffusi che hanno portato il cardinale J. Ratzinger a parlare senza esitazione, in una delle sue pubblicazioni, di «crollo della liturgia». Sarebbe ingiusto e falso attribuire al Messale riformato la causa di tale un crollo. Al tempo stesso bisogna accogliere l'insegnamento e la disciplina che Papa Benedetto XVI ci ha dato nella sua Lettera apostolica Summorum pontificum per ripristinare la forma straordinaria del rito romano antico, e seguire il modo esemplare con cui il Santo Padre celebra la Santa Messa nella forma ordinaria in S. Pietro, nelle sue visite pastorali e nei suoi viaggi apostolici.

Ancora oggi, Lei pensa che l'insegnamento del Concilio non sia applicato correttamente?

Nell’insieme, sfortunatamente sì. Vi sono delle situazioni complesse nelle quali si constata che l'insegnamento del Concilio non è ancora compreso. Si pratica ancora una ermeneutica della discontinuità con la Tradizione.

Benedetto XVI sembra molto attento alla liturgia nel corso del suo pontificato. È esatto?

Del tutto esatto, ma la precisazione che ho dato riguarda soprattutto i gruppi che pensano che esista una opposizione tra i due Messali.

La Fraternità San Pio X riconosce questo Messale come valido e lecito?

È alla Fraternità San Pio X che bisogna chiederlo.

Il Santo Padre desidera che la Fraternità San Pio X si riconcili con Roma?

Certamente. La lettera di revoca delle scomuniche dei quattro vescovi consacrati illegittimamente da Monsignor Lefebvre è l’espressione del desiderio del Santo Padre di favorire la riconciliazione della Fraternità San Pio X con la Santa sede.

Il contenuto delle discussioni che si svolgono fra Roma e la Fraternità San Pio X è segreto, ma su quali punti vertono e in che modo si svolgono?

Il nodo essenziale è di carattere dottrinale. Per giungere ad una vera riconciliazione, occorre superare certi problemi dottrinali che sono alla base della frattura attuale. Nei colloqui in corso, vi è un confronto di argomenti tra gli esperti scelti dalla Fraternità San Pio X e gli esperti scelti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Alla fine, si stilano delle sintesi conclusive, che riassumono le posizioni espresse dalle due parti. I temi discussi sono noti: il primato e la collegialità episcopale; il rapporto tra la Chiesa cattolica e le confessioni cristiane non cattoliche; la libertà religiosa; il Messale di Paolo VI. Al termine dei colloqui, i risultati delle discussioni verranno sottoposti alle rispettive istanze autorizzate, per una valutazione complessiva.

Non mi sembra concepibile che possa esserci una rimessa in questione del Concilio Vaticano II. Ma allora di cosa possono trattare queste discussioni? Di una sua migliore comprensione?

Si tratta del chiarimento di punti che precisano l’esatto significato dell'insegnamento del Concilio. È quello che il Santo Padre ha iniziato a fare il 22 dicembre 2005, col comprendere il Concilio secondo una ermeneutica del rinnovamento nella continuità. Tuttavia, ci sono alcune obiezioni della Fraternità S. Pio X che hanno senso, perché c’è stata un’interpretazione da rottura. L'obiettivo è mostrare che occorre interpretare il Concilio nella continuità della Tradizione della Chiesa.

Il Cardinale Ratzinger fu incaricato di queste discussioni circa 20 anni fa. Segue sempre l’evoluzione di quelle attuali, adesso che è Papa?

Intanto vi è il ruolo del segretario, che è quello di organizzare e di vegliare sul buon andamento delle discussioni. La valutazione di esse compete al Santo Padre, che segue le discussioni, con il cardinale Levada, che ne è informato e dà il suo parere. D’altronde, è la stessa prassi che si segue su tutti i punti che può trattare la Congregazione.

Fonte: Nouvelle de France, 8 giugno 2011