La «Madonna di Foligno» e la «Madonna Sistina» esposte per la prima volta insieme a Dresda
Raffaello e il mistero
della Madre di Dio
di Giovanni Lajolo
Da martedì 6 settembre sarà possibile visitare a Dresda «Splendore celeste. Raffaello, Dürer e Grünewald dipingono la Madonna», una mostra congiunta dei Musei Vaticani e delle Staatliche Kunstsammlungen allestita nella città tedesca in occasione della prevista visita apostolica in Germania di Benedetto XVI dal 22 al 25 settembre. Pubblichiamo quasi integralmente il testo pronunciato in occasione dell’inaugurazione dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano fino al 1° ottobre 2011, quando sarà sostituito dall’arcivescovo Giuseppe Bertello.
Ho accettato volentieri l’invito a partecipare all’apertura della presente esposizione per vari motivi, in particolare per i vincoli che legano tanti anni della mia vita alla Germania, ma, ancor più, in vista dell’imminente visita di Benedetto XVI in Germania. È infatti per tale occasione che la grande pala d’altare di Raffaello la Madonna di Foligno viene esposta ora a Dresda accanto all’altro ancor più famoso quadro della Madonna Sistina, noto anche come la Madonna di Dresda.
Durante il mio servizio come Nunzio apostolico in Germania, il primo accordo che potei sottoscrivere, fu quello tra la Santa Sede ed il Freistaat Sachsen del 2 luglio 1996. Tra le novità che esso presenta, rispetto a precedenti simili convenzioni, v’è la dichiarazione di principio dell’articolo 19. Esso concerne «Monumenti ecclesiastici di rilevanza culturale», e recita: «La Chiesa cattolica e lo Stato Libero riconoscono la propria comune responsabilità per la salvaguardia e conservazione dei monumenti ecclesiastici di rilevanza culturale. La Chiesa cattolica si impegna a conservare, curare e, per quanto possibile, rendere accessibili al pubblico i propri monumenti di rilevanza culturale, nei limiti del ragionevole».
Tali disposizioni non si applicano ovviamente se non ai monumenti di rilevanza culturale siti in Sassonia; ma è, credo, ben conforme allo spirito che le ha ispirate, il fatto che Benedetto XVI, abbia accolto il desiderio espresso dal ministro presidente della Sassonia, da me appoggiato con convinzione, di poter esporre la Madonna di Foligno accanto alla Madonna Sistina in occasione della sua prossima visita apostolica.
Anche così «quella comune responsabilità» della Chiesa e dello Stato, sancita dal menzionato accordo a livello di Chiesa particolare, viene suffragata dall’esempio della stessa Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano.
La Madonna di Foligno è un pezzo forte dei Musei Vaticani, collocato proprio nella stessa sala della Trasfigurazione di Raffaello e di grandi arazzi eseguiti su disegno di Raffaello. La decisione di privare i Musei Vaticani per alcuni mesi di un’opera così importante non poteva esser presa a cuor leggero.
A me, nel mio ruolo di presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e al professor Antonio Paolucci, quale direttore dei Musei Vaticani, è però parso di poter condividere l’idea del direttore generale delle Collezioni d’arte statali di Dresda di realizzare, in occasione della visita di Benedetto XVI nella sua patria tedesca, un confronto tra il più grande e più importante dipinto di Raffaello in Germania, la Madonna Sistina di Dresda, e la sua «sorella» vaticana, la Madonna di Foligno.
La Madonna di Foligno, dopo la sua annessione alle collezioni vaticane nel 1816, al suo rientro in Italia da Parigi, dove era stata portata per le requisizioni napoleoniche di molti tesori d’arte italiani, non è mai stata concessa in prestito. Il suo trasferimento ora a Dresda richiedeva una decisione del Papa. E Benedetto XVI l’ha presa, volendo anche esprimere la sua personale considerazione per questa storica, bellissima città, risorta con tanto coraggio e con nuovo splendore dalle immani rovine della guerra.
Il quadro della Madonna di Foligno venne dipinto da Raffaello poco tempo prima della Madonna Sistina, negli anni 1511-1512. Esso rimase per breve periodo sull’altare maggiore della chiesa di Santa Maria in Aracaeli sul Campidoglio, prima di essere trasferito nella chiesa di Sant’Anna, nella città umbra di Foligno, dalla quale deriva il nome. Esso ha però cominciato a essere apprezzato in tutta la sua bellezza solo dopo il latrocinio napoleonico e, ancor più, dopo essere stato annoverato fra le principali opere delle collezioni pontificie, posto com’è accanto all’altro, l’ultimo e da alcuni considerato il massimo, capolavoro di Raffaello, la Trasfigurazione.
Ancor più famosa della Madonna di Foligno è la Madonna Sistina, che Raffaello dipinse negli anni 1513-1514. Dopo che, nel 1754, Augusto III, principe elettore della Sassonia e re di Polonia, aveva acquistato a Piacenza per Dresda «il grande Raffaello» — così egli qualificò l’opera — la Madonna Sistina ha influenzato l’idea del classico e la visione dell’antico di Winckelmann, fino a diventare, nel corso dell’Ottocento, la più celebrata icona della Madre di Dio nella nostra cultura occidentale.
Non solo i due pensosi angioletti sul bordo inferiore del quadro, che hanno goduto, e tuttora godono di una incomparabile diffusione, ma tutto il dipinto, e sopra ogni altra figura quella di Maria, hanno suscitato un’ammirazione e un entusiasmo, che difficilmente trovano l’uguale nella storia dell’arte. Proprio per questo esso non poté sfuggire alla cupidigia delle truppe sovietiche, che se ne impossessarono nel 1945; ma poté ritrovare il posto a essa dovuto, qui, a Dresda, quando venne restituito, in seguito a trattative diplomatiche, dieci anni dopo. È questo un tratto della storia della Madonna Sistina che impressiona per la sua somiglianza all’avventura francese della Madonna di Foligno.
Di Maria, nel quadro di Dresda, si può dire che essa si presenta come una «epifania», un’apparizione: si apre la tenda e appare la donna, così solida, vera donna romana, e così leggera nella sua figura appena mossa dal vento, con lo sguardo attento, rivolto a chi la contempla; così statuaria — Mulier fortis, Virgo intemerata — e così viva. Appare, ed è presente. Lei con il suo Bambino non più tanto piccolo e bene in carne: il Figlio di Dio che è vero uomo.
La Madonna di Foligno, più che un’apparizione, si presenta quasi come una visione che emerge dal nimbo solare, tra un paesaggio incantato e la corona di eterei angeli quasi formati dall’eterea sostanza delle nubi. Nell’ideale ovale che la circoscrive, essa è una donna tutta dolcezza nella sinuosità del suo atteggiamento — Virgo sapiens, Mater amabilis — attenta al Bambino ancor piccolo, il Dio partecipe della fragilità umana, che pare volersi rifugiare sotto il suo velo.
Se il biografo degli artisti del Cinquecento, Giorgio Vasari, celebra come «divino» il suo collega Raffaello, di una generazione più anziano, la straordinaria bellezza di queste due opere dell’Urbinate le ha fatte definire quasi come lavori non dipinti da una mano umana.
A noi, per la prima volta, è ora concesso di ammirare le due più grandi Madonne di Raffaello esposte assieme per qualche mese a Dresda, accanto alle opere di altri celeberrimi pittori tedeschi attivi alla vigilia della riforma luterana: Albrecht Dürer, Mathias Grünewald e Lukas Cranach il Vecchio. Opere tutte stupende, che rivelano allo sguardo dei visitatori, nella diversità della propria configurazione stilistica, l’unità nella stessa fede.
Dato che si tratta appunto di opere d’arte nate dalla fede, vorrei terminare con un semplice accenno alla posizione singolare che Maria tiene nell’arte cristiana. Non è una posizione occasionale dovuta alla possibilità che essa offre per la sua figura di donna che presenta tutta l’ampiezza della missione della donna come vergine, sposa, madre e vedova. È una posizione connessa, ben più, con il suo ruolo unico nel mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio: è infatti da lei che il Figlio di Dio ha assunto la propria umanità. Non si trattò di un evento puramente esteriore, ma la conseguenza di una meditata, libera adesione di quella giovane donna alla Parola di Dio.
Maria, dunque, così possiamo dire, è il luogo spirituale e corporeo in cui l’umanità si apre — in maniera di cui non si può pensare una più alta — alla realtà trascendente e personale di Dio. Ora, se l’arte cristiana cerca, come deve, di far percepire in qualche modo il trascendente, il divino nella figurazione che essa crea, nessuna figura può presentarsi come più idonea e più alta di quella di Maria, a parte ovviamente quella dello stesso Verbo incarnato. E ciò appare manifesto in moltissime immagini di Maria, che nel corso della storia, nelle Chiese orientali come nella Chiesa latina, hanno impegnato a fondo la capacità artistica e la sensibilità religiosa dei grandi artisti, e così in queste, sublimi, ora esposte a Dresda.
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© L'Osservatore Romano 2 settembre 2011