giovedì 8 settembre 2011

La simbologia dell’acqua nell’Antico e nel Nuovo Testamento "Naviganti assetati" (Sandra Isetta)




La simbologia dell’acqua nell’Antico e nel Nuovo Testamento

Naviganti assetati

Un convegno a Genova analizza il rapporto dell’elemento primordiale con il sacro e con l’arte

di Sandra Isetta

Nell’ambito del Festival dell’acqua in corso a Genova, il 9 settembre a Palazzo Ducale, l’Associazione Sant’Anselmo Imago Veritatis organizza l’incontro «Acqua e figure del Sacro» che prevede una conferenza con immagini tenuta da Timothy Verdon («La sete del vero nell’arte») e una di Quirino Principe («Musica e voce di Dio»), con esecuzioni al pianoforte di Marino Nahon. Pubblichiamo l’introduzione dell’ideatrice.

Nella Bibbia, libro comune alle tre religioni monoteistiche, nella scena della creazione troviamo l’acqua «cosmica» che determina l’origine della vita: Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque» (Genesi, 1, 6).

E nel Salmo 29 è scritto «Il Signore è seduto sull’oceano del cielo», ossia il trono di Dio «galleggia» sulle acque, metafora della Sua potenza. Dio può prosciugare o scatenare le acque a suo piacimento, come nel diluvio («Le acque furono travolgenti sulla terra centocinquanta giorni»), o dividerle distruggendo il faraone («le acque erano per loro un muro a destra e uno a sinistra»).

È la medesima autorità che nel Vangelo esercita Cristo, che cammina sulle acque e che placa il lago di Tiberiade. Il naufragio e la tempesta sono governati da Dio, che mette in salvo l’arca di Noè, preserva Giona nel mostro marino, conduce all’isola di Malta la barca dell’apostolo Paolo e dei suoi compagni. La barca. Simbolo della Sinagoga e della Chiesa.

Nel testo sacro, l’acqua è al tempo stesso elemento indispensabile di vita materiale e simbolo di vita eterna, come recitano i Proverbi: «acqua fresca per una gola assetata». Invocazione ben comprensibile per la condizione climatica della Palestina, terra di pastori e avara di piogge.

Nell’Esodo, un piccolo brano del capitolo 19 fa da introduzione al lungo cammino di quaranta giorni che condurrà Israele al Monte Sinai. Subito dopo il passaggio del mare Rosso, avvenuta la liberazione dalla schiavitù, la prima difficoltà che il popolo incontra è la sete: gli manca l’acqua, e quando questa appare è salmastra: «ma non potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo erano state chiamate Mara. Allora il popolo mormorò contro Mosè: “Che berremo?”. Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce».

Ma a noi interessa l’attualità del commento del redattore: «In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova».

La «prova» di Dio è una legge a doppio senso, esige rettitudine e rispetto in cambio di benevolenza e protezione. Gli Israeliti infatti «arrivarono a Elim, dove sono dodici sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si accamparono presso l’acqua». D’altra parte il profeta Osea annuncia il messia come colui che «Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra».

Negli episodi biblici sono velate le valenze figurative dell’idrologia della terra di Israele: i serbatoi di acqua dolce del mare di Galilea o Tiberiade; il fiume Giordano e il Mar Morto; le sorgenti, i pozzi, le cisterne che fanno da sfondo a episodi molto noti, come le scene di Giacobbe e dell’epifania di Gesù alla Samaritana. I pozzi erano scarsi ed erano il luogo in cui la gente si radunava e si conosceva, per questo motivo alcuni incontri tra uomini e donne avvengono al pozzo, come tra Giacobbe e Rachele.

L’arrivo da un Paese lontano al pozzo rappresenta lo straniero che nel ricevere acqua e ospitalità stabilisce un nuovo legame familiare.

L’acqua è elemento di purificazione e di culto sia nel codice ebraico sia in quello cristiano. Nel Battesimo l’immersione in acqua aggiunge al significato di purificazione quello di passaggio dalla morte alla vita. E la sete è un segno della nostra umanità, verso la quale Gesù dimostra piena solidarietà, quando grida «Ho sete» e dopo avere bevuto, muore. L’estrema invocazione umana di Gesù può essere collegata alle parole di Benedetto XVI: «Il diritto all’acqua — scrive il Papa nel Messaggio al direttore generale della Fao in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, 22 marzo 2010 — si basa sulla dignità umana (...) Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile»

© L'Osservatore Romano 9 settembre 2011