mercoledì 1 febbraio 2012

Riscoprire la festa della Presentazione del Signore nella Giornata mondiale della vita consacrata "La scelta educativa alla vita buona" (Salvatore M. Perrella)



Riscoprire la festa della Presentazione del Signore
nella Giornata mondiale della vita consacrata

La scelta educativa alla vita buona

di Salvatore M. Perrella

Il 2 febbraio il calendario liturgico della Chiesa celebra la festa della Presentazione del Signore al Tempio; celebrazione che trova il suo fondamento storico e biblico in Luca, 2, 22-39 e che è testimoniata come celebrazione dello Ypapante (“festa dell’Incontro”) dalla pellegrina Egeria per la chiesa di Gerusalemme verso la fine del IV secolo, diffondendosi rapidamente come festa delle luci a motivo di Cristo donato dal Padre come «luce per illuminare le genti» (cfr. Luca, 2, 32). Tale memoria sarà introdotta a Roma nell’VIII secolo dal Papa Sergio I con il titolo De purificatione Mariae, per poi subire con la riforma del Calendario romano generale del 1969 il ripristino del titolo originale di chiara matrice cristologica.

Dal punto di vista biblico, per il credente israelita, l’atto della presentazione al Signore del primogenito è un gesto sacro, carico di memoria, di compagnia e di profezia, e proprio per questo previsto dalla Legge, dalla Parola di Dio (cfr. Esodo, 13, 2, e 11, 1-10; Levitico, 12, 2-4). La memoria è quella della netta distinzione tra Dio e Faraone: quest’ultimo non ne è né l’immagine, né tantomeno il rappresentante; il testo esodico afferma esplicitamente che egli “non conosce” il Signore, cosi come “non conosce” Giuseppe e la sua opera. Faraone “non conosce” il Signore perché ha fatto delle sue paure il proprio metodo di governo; e ciò lo ha portato a essere un artefice di morte; “non conosce” Giuseppe, perché chi è diverso da lui è un potenziale “nemico”, da abbattere preventivamente e in maniera definitiva. La compagnia è quella del Dio compassionevole, ossia giusto: la giustizia di Dio, infatti, consiste nella sua volontà di “conoscere” le grida di chi soffre, per mettersi accanto a lui, con lui e per lui nella rivendicazione dei suoi diritti inalienabili di imago Dei e sacerdote dell’Altissimo (si noti che, nelle parole di Mose e Aronne, è il popolo intero a dover celebrare la festa: ognuno è rivestito, per grazia, di dignità sacerdotale), chiamato quindi a costruire città e mondi ben diversi da quelli voluti da Faraone. La profezia è quella della fedeltà di Dio nel corso della storia e delle sue pieghe oscure, e della sua potenza: l’ultima parola, quella definitiva, apparterrà alla sua giustizia compassionevole; anche se tanti Faraoni e tante “bestie” (sue riletture nel linguaggio apocalittico) si alterneranno sul proscenio del mondo, con il loro carico di male, di violenza, di morte, la luce non sarà vinta dalle tenebre, e proprio li dove il male e la morte hanno elevato il loro tragico ma effimero canto di vittoria, sovrabbonderà invece la giustizia che illumina e da la vita.

Presentando Gesù al Tempio, Maria e Giuseppe riaffermano questi capisaldi della fede di Israele e compiono quella “scelta educativa” fondamentale che fa di loro le guide affidabili e sicure di Gesù stesso: la “scelta di Dio” e della sua “Alleanza”; la scelta, cioè, di inserire attivamente Gesù in questo cammino e mistero di memoria, di compagnia e di profezia che è il Dio d’Israele. Essi non saranno né vorranno essere i “padroni” di Gesù: egli non dovrà essere il loro narcisistico riflesso, né un loro “replicante”, privo di anima e di consistenza, e nemmeno un oggetto volto a soddisfare i loro desideri. Gesù sarà, piuttosto, quel che Dio farà di lui, all’interno della irripetibile e sostanziale relazione di figliolanza e paternità che li lega, nello Spirito, l’uno all’altro, e che è consegnata, seppur con esperienze differenti nell’anima e nel corpo, alla fede di Maria e di Giuseppe. Proprio questa loro “scelta educativa” li rende disponibili ad ascoltare le parole profetiche di Simeone e di Anna: parole inattese, sconcertanti, paradossali e scandalose, perché oltre ad acuire ancor di più la liberta di Dio nei confronti di Gesù, il suo Consacrato, non sono reticenti nell’iniziare a declinarla sub signo crucis, che si inserisce cosi quale “orizzonte critico” nello stesso rapporto che lega la santa Famiglia; la luce del Messia sarà una luce crocifissa, perché il Messia stesso diverrà il crocifisso che dona il suo corpo e il suo sangue per la salvezza di tutti.

Nella Giornata mondiale dedicata dal beato Giovanni Paolo II sin dal 1997 alla vita consacrata, la “scelta educativa” alla vita santa di Gesù compiuta da Maria e Giuseppe e il grande patrimonio che i consacrati di oggi hanno urgente bisogno di riscoprire e di «proporre con umile risolutezza di proposito» (beato Giovanni XXIII), davanti a tanta “liquidità” esistenziale e nichilista che contamina persino alcuni di coloro che con il battesimo e la professione religiosa si impegnano a essere in Cristo luce nel e per il mondo. La “scelta educativa”, infatti, indica prima di tutto il Mistero: il mistero di Dio, evento di memoria, compagnia e profezia, azione di giustizia quale compassione, redenzione e salvezza per l’umanità schiava e schiavizzata; il mistero di ogni persona, maschio e femmina, che, per creazione e per grazia, sono imago Dei e, se credenti in Cristo, sacerdoti dell’Altissimo, in vista della costruzione di quella che Paolo VI non a caso chiamava “civiltà dell’amore”; il mistero della croce, quale paradossale e luminosa tenebra in cui la stessa Trinità chiama alla rigenerazione, alla conversione, alla fede tutte le genti perché diventino la sua “famiglia” già ora nel segno povero, umile ed efficace della Chiesa, per poi esserlo sempre nella Parusia del Risorto.

“Scelta educativa” che indica anche come è chiamato alla “vita buona del Vangelo” il corpo dei consacrati, sia come singole persone che come comunita: un corpo capace di maternità e paternità nella padronanza di se, nel rispetto dell’altro, nella disponibilità al “nuovo” che viene dallo Spirito e che sempre porta con se il tratto essenziale della sua autenticità in signo crucis. Infine, un “corpo” che sappia avere un’anima e uno stile, quello di Maria, che sappia “stupirsi”, “custodire nel cuore” (cfr. Luca, 2, 33-51) e “capitalizzare” per sé e per gli altri, il mistero della croce di Cristo, donandosi a esso “sperando contro ogni speranza” (cfr. Romani, 4, 18-22), perché e lì che il Verbo si fa pienamente carne per rivestirla di immortalità e di luce agapica e sempiterna, affinché nulla sia perduto davanti a Dio.

© L'Osservatore Romano 2 febbraio 2012