giovedì 2 febbraio 2012

San Biagio (mf) 3 febbraio



3 FEBBRAIO

Vescovo e Martire
Memoria facoltativa

San Biagio lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele incrociate, sempre invocando la sua intercessione. L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato un bambino da una spina o lisca conficcata nella sua gola.

Vescovo, dunque. Governava, si ritiene, la comunità di Sebaste d’Armenia quando nell’Impero romano si concede la libertà di culto ai cristiani: nel 313, sotto Costantino e Licinio, entrambi “Augusti”, cioè imperatori (e pure cognati: Licinio ha sposato una sorella di Costantino). Licinio governa l’Oriente, e perciò ha tra i suoi sudditi anche Biagio. Il quale però muore martire intorno all’anno 316, ossia dopo la fine delle persecuzioni. Perché?

Non c’è modo di far luce. Il fatto sembra dovuto al dissidio scoppiato tra i due imperatori-cognati nel 314, e proseguito con brevi tregue e nuove lotte fino al 325, quando Costantino farà strangolare Licinio a Tessalonica (Salonicco). Il conflitto provoca in Oriente anche qualche persecuzione locale – forse ad opera di governatori troppo zelanti, come scrive lo storico Eusebio di Cesarea nello stesso IV secolo – con distruzioni di chiese, condanne dei cristiani ai lavori forzati, uccisioni di vescovi, tra cui Basilio di Amasea, nella regione del Mar Nero.

Il corpo di Biagio è stato deposto nella sua cattedrale di Sebaste; ma nel 732 una parte dei resti mortali viene imbarcata da alcuni cristiani armeni alla volta di Roma. Una improvvisa tempesta tronca però il loro viaggio a Maratea (Potenza): e qui i fedeli accolgono le reliquie del santo in una chiesetta, che poi diventerà l’attuale basilica, sull’altura detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta nel 1963 la grande statua del Redentore, alta 21 metri.

Dal 1863 ha assunto il nome di Monte San Biagio la cittadina chiamata prima Monticello (in provincia di Latina) e disposta sul versante sudovest del Monte Calvo. Numerosi altri luoghi nel nostro Pæse sono intitolati a lui: San Biagio della Cima (Imperia), San Biagio di Callalta (Treviso), San Biagio Platani (Agrigento), San Biagio Saracinisco (Frosinone) e San Biase (Chieti). Ma poi lo troviamo anche in Francia, in Spagna, in Svizzera e nelle Americhe... Ne ha fatta tanta di strada, il vescovo armeno della cui vita sappiamo così poco. (CC Salesiano)




Soffri per le mie pecorelle
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Dìscorso sulla consacrazione episcopale, PLS 2, 639 640)

«Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Ecco come il Signore ha servito, ecco quali servi esige che noi siamo. Diede la sua vita in riscatto per molti: ci ha redento.

Chi di noi è capace di redimere qualcuno? Noi siamo stati redenti per mezzo del suo sangue e riscattati da morte per mezzo della sua morte e della sua umiltà, noi che eravamo prostrati, siamo stati innalzati; ma anche noi dobbiamo portare la nostra piccola parte alle sue membra, perché siamo diventati sue membra. Egli è la testa, noi il corpo.

Anche l'apostolo Giovanni nella sua lettera ci rivolge l'esortazione a seguire l'esempio del Signore. Cristo aveva detto: «Colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,2728). È questo il modello che l'Apostolo ci consiglia di seguire quando dice: «Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16).

Lo stesso Signore ha rivolto questa domanda dopo la sua risurrezione: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» (Gv 21, 26); e Pietro rispose: «Certo, Signore, tu lo sai chi ti voglio bene» (ivi). Per tre volte Gesù rivolse questa domanda e per tre volte il Signore aggiunse: «Pasci le mie pecorelle» (ivi).

Come mi dimostri che mi ami, se non col pascere le mie pecorelle? Che cosa mi stai per dare, amandomi, quando tutto aspetti da me? Dunque tu devi esprimermi il tuo amore col pascere le mie pecorelle.

Questo una, due, tre volte: «Mi vuoi bene? – Ti voglio bene. Pasci le mie pecorelle» (Gv 21, 16). Rinnegò tre volte per paura, ma confessò tre volte con amore.

E il Signore, dopo aver espresso a Pietro per la terza volta il mandato di pascere le sue pecorelle, rivolgendosi ancora a lui, che, rispondendo, confessava il suo amore e condannava e ripudiava l'antica sua pusillanimità, aggiunse: «Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio» (Gv 21,19). Gli annunziò la sua croce, gli predisse la sua passione.

Continuando il colloquio, il Signore gli disse: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,16), cioè soffri per le mie pecorelle.