29 FEBBRAIO 2012
La misericordia
Quando l’uomo acquista la coscienza di essere bisognoso e peccatore, allora gli si rivela il volto della misericordia di Dio.
La misericordia di Dio attraversa tutta la storia dell’uomo
La Bibbia ci descrive la storia umana e la storia di Israele come un continuo ritorno al peccato originale e al peccato del deserto. Invece di camminare per le vie di Dio, l’uomo percorre il proprio cammino e si allontana da lui.
Ma Dio non abbandona il suo popolo, come non si dimentica dell’umanità. Anzi, paradossalmente, è proprio in occasione del peccato dell’uomo che Dio rivela più profondamente il mistero della sua «tenerezza».
Il Signore è un «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni» (Es 34,6-7).
«Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono. Perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (Sal 102,13-14).
Se deve castigare il popolo che ha peccato, è preso da commiserazione non appena esso grida a lui dal fondo della sua miseria. «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira» (Os 11,8-9).
In questa linea si colloca la missione di Gesù. Egli è venuto a rivelare il volto misericordioso del Padre, che guarisce e perdona. Cristo rivela Dio che è Padre, che è «amore», come si esprimerà san Giovanni nella sua prima lettera; rivela Dio «ricco di misericordia», come leggiamo in san Paolo. Tale verità, più che tema di un insegnamento, è una realtà a noi resa presente da Cristo.
Rendere presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia (cf Dives in misericordia, 3).
Dio solo può rimettere i peccati
Il miracolo che Gesù compie sul paralitico non è solo una prova della sua divinità (chi può rimettere i peccati se non Dio solo?)..., ma è anche segno della radicale efficacia del suo perdono: un perdono che rinnova completamente. Il passato lascia un segno, il peccato pesa, gli uomini ricordano il male. Dio invece dimentica, e quando risana, risana radicalmente. Non restaura, ma crea di nuovo. Perdona i peccati, li cancella, li getta dietro le spalle, non li ricorda più.
Ecco che cosa Cristo compie nel paralitico: una nuova creazione. «Io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati... Ecco, faccio una cosa nuova» (prima lettura).
Peccato e perdono rimessi in questione
Nella misura in cui l’uomo moderno ha perso il senso di Dio, rimette in questione le categorie cristiane del peccato e del perdono. Il più grande peccato del nostro tempo — si è detto — è che l’uomo ha perso il senso del peccato e, conseguentemente, il bisogno di perdono e di misericordia.
All’origine di questa perdita del senso cristiano del peccato non c’è solo una certa ottusità dell’uomo moderno e il suo pregiudiziale rifiuto di una dimensione anche teologica del proprio comportamento morale, ma anche delle grossolane deformazioni in una certa catechesi e pastorale. Abbiamo troppo insistito sulla materialità dell’atto che chiamiamo peccato, sulla rigida classificazione di esso, su un certo legalismo, su una preoccupazione quantitativa, trascurando le cause, facendo scarsa attenzione agli atteggiamenti e alle opzioni di fondo, insistendo quasi morbosamente su certi settori della nostra morale, riducendo il peccato ad un gesto individuale e trascurandone la dimensione sociale e comunitaria, dimenticando le colpe collettive legate alla nostra pigrizia, e le segrete connivenze con istituzioni o sistemi oppressivi...
A questo bisogna aggiungere la concezione di chi pensa di ottenere il perdono in una maniera semimagica senza le disposizioni necessarie.
La crisi in atto a riguardo del sacramento della penitenza può avere un esito positivo se libererà il cristiano da una serie di incrostazioni inutili e pericolose e lo aiuterà a ridursi all’essenziale nei riti, e a tornare al giusto senso del peccato.
Una concezione troppo ristretta della sacramentalità ha condotto il cristiano a limitare indebitamente al sacramento della penitenza l’esercizio del potere sacramentale del perdono affidato alla Chiesa. Oggi abbiamo riscoperto il valore originariamente penitenziale dell’Eucaristia nel suo insieme e in alcuni dei suoi riti particolari. (CC Salesiano)
Senza carità tutto è vanità delle vanità
Dai «Capitoli sulla carità» di san Massimo Confessore, abate
(Centuria 1, c. 1, 45. 16-17. 23-24. 26-28. 30-40; PG 90, 962-967)
La carità è la migliore disposizione dell'animo, che nulla preferisce alla conoscenza di Dio. Nessuno tuttavia potrebbe mai raggiungere tale disposizione di carità, se nel suo animo fosse esclusivamente legato alle cose terrene.
Chi ama Dio, antepone la conoscenza e la scienza di lui a tutte le cose create, e ricorre continuamente a lui con il desiderio e con l'amore dell'animo.
Tutte le cose che esistono hanno Dio per autore e fine ultimo. Dio è di gran lunga più nobile di quelle cose che egli stesso ha fatto come creatore. Perciò colui che abbandona Dio, l'Altissimo, e si lascia attirare dalle realtà create dimostra di stimare l'artefice di tutto molto meno delle cose stesse, che da lui sono fatte.
Chi mi ama, dice il Signore, osserverà i miei comandamenti (cfr. Gv 14, 15). E aggiunge «Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri» (Gv 15, 17). Perciò chi non ama il prossimo, non osserva i comandamenti di Dio, e chi non osserva i comandamenti non può neppure dire di amare il Signore.
Beato l'uomo che è capace di amare ugualmente ogni uomo. Chi ama Dio, ama totalmente anche il prossimo, e chi ha una tale disposizione non si affanna ad accumulare denaro, tutto per sé, ma pensa anche a coloro che ne hanno bisogno.
Ad imitazione di Dio fa elemosine al buono e al cattivo, al giusto e all'ingiusto. Davanti alle necessità degli altri non conosce discriminazione, ma distribuisce ugualmente a tutti secondo il bisogno. Né tuttavia si può dire che compie ingiustizia se a premio del bene antepone al malvagio colui che si distingue per virtù e operosità.
L'amore caritatevole non si manifesta solo nell'elargizione di denaro, ma anche, e molto di più, nell'insegnamento della divina dottrina e nel compimento delle opere di misericordia corporale.
Colui che, sordo ai richiami della vanità, si dedica con purezza di intenzione al servizio del prossimo, si libera da ogni passione e da ogni vizio e diventa partecipe dell'amore e della scienza divina.
Chi possiede dentro di sé l'amore divino, non si stanca e non viene mai meno nel seguire il Signore Dio suo, ma sopporta con animo forte ogni sacrificio e ingiuria e offesa, non augurando affatto il male a nessuno. Non dite, esclama il profeta Geremia, siamo tempio di Dio (cfr. Ger 7, 4). E neppure direte: La semplice e sola fede nel Signore nostro Gesù Cristo mi può procurare la salvezza. Questo infatti non può avvenire se non ti sarai procurato anche l'amore verso di lui per mezzo delle opere. Per quanto concerne infatti la sola fede: «Anche i demoni credono e tremano!» (Gc 2, 19).
Opera di carità è il fare cordialmente un favore, l'essere longanime e paziente verso il prossimo; e così pure usare rettamente e ordinatamente le cose create.