sabato 21 maggio 2011

Benedetto XVI conversa con gli astronauti della Stazione spaziale internazionale in orbita intorno alla Terra (21 maggio 2011)



Benedetto XVI conversa con gli astronauti
della Stazione spaziale internazionale in orbita intorno alla Terra

Voi siete i nostri rappresentanti

«In un certo senso, voi siete i nostri rappresentanti, guidate l’esplorazione, da parte dell’umanità, di nuovi spazi e di nuove possibilità per il nostro futuro, andando al di là dei limiti della nostra esistenza quotidiana». Lo ha detto il Papa rivolgendosi nella tarda mattina di sabato 21 maggio agli astronauti della Stazione spaziale internazionale, con i quali si è collegato dalla Saladei Foconi del Palazzo Apostolico. Con Benedetto XVI erano il direttore voli umani e operazioni dell’Agenzia spaziale europea (Esa), il tedesco Thomas Reiter; il presidente dell’Agenzia spaziale italiana, Enrico Saggese; e il generale di squadra aerea Giuseppe Bernardis, capo di stato maggiore dell’aeronautica militare italiana. Preceduto da un’introduzione del Papa, lo storico colloquio si è articolato in cinque domande rivolte agli astronauti e nelle loro rispettive risposte. Ne pubblichiamo di seguito una nostra traduzione.

Cari astronauti,

sono molto lieto di avere questa opportunità straordinaria di conversare con voi durante la vostra missione. Sono particolarmente riconoscente per il fatto di poter parlare a un gruppo così numeroso, visto che in questo momento sono presenti sulla Stazione Spaziale entrambi gli equipaggi.

L’umanità sta vivendo in un tempo di progresso estremamente rapido nel campo delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecniche. In un certo senso, voi siete i nostri rappresentanti, guidate l’esplorazione, da parte dell’umanità, di nuovi spazi e di nuove possibilità per il nostro futuro, andando al di là dei limiti della nostra esistenza quotidiana.

Noi tutti ammiriamo davvero il vostro coraggio, così come la disciplina e l’impegno con cui vi siete preparati per questa missione. Siamo sicuri che siete ispirati da nobili ideali e che intendete mettere a disposizione di tutta l’umanità e del bene comune i risultati delle vostre ricerche e delle vostre imprese.

Questa conversazione mi offre quindi l’opportunità di esprimere la mia personale ammirazione e il mio apprezzamento a voi e a tutti quelli che collaborano per rendere possibile la vostra missione, e di unire il mio caloroso incoraggiamento, affinché essa possa essere portata a termine con pieno successo.

Ma questa è una conversazione, non devo essere solo io a parlare.

Sono molto curioso di ascoltare da voi le vostre esperienze e le vostre riflessioni.

Se non vi dispiace, vorrei rivolgervi alcune domande:

Dalla Stazione Spaziale voi avete una prospettiva molto diversa sulla Terra. Voi sorvolate molte volte al giorno i differenti continenti e nazioni. Credo che per voi debba essere evidente il fatto che noi tutti viviamo su di un unico pianeta e che è assurdo combatterci e ucciderci gli uni gli altri. So che la moglie di Mark Kelly è stata vittima di un grave attentato e spero che la sua salute continui a migliorare. Quando voi contemplate la Terra da lassù, vi capita di pensare al modo in cui le nazioni e i popoli vivono insieme quaggiù, o a come la scienza può contribuire alla causa della pace?

«Grazie per le gentili parole, Santità, e grazie — ha risposto lo statunitense Mark Kelly — per aver menzionato mia moglie Gabby. È un’ottima domanda. Sorvoliamo quasi tutta la terra e non si vedono confini, ma allo stesso tempo ci rendiamo conto che le persone combattono le une contro le altre e che c’è tanta violenza nel mondo. Di solito le persone si combattono per molte cose diverse, come possiamo vedere adesso in Medio Oriente. Di solito la gente lotta per le risorse. È interessante che sulla terra la gente combatta per l’energia, mentre nello spazio utilizziamo l’energia solare e pile a combustibile. La scienza e la tecnologia che mettiamo nella stazione spaziale serve a sviluppare una capacità di energia solare per fornirci una quantità di energia illimitata. Se si riuscisse ad adottare tecnologie simili sulla terra, forse potremmo ridurre un po’ quella violenza».

Uno dei temi sui quali ritorno spesso nei miei discorsi è quello della responsabilità che tutti abbiamo per l’avvenire del nostro pianeta. Richiamo i seri rischi che si prospettano per l’ambiente e per la sopravvivenza delle future generazioni. Gli scienziati ci dicono che dobbiamo essere vigili e, da un punto di vista etico, dobbiamo ugualmente sviluppare la nostra coscienza. Dal vostro straordinario punto di osservazione come vedete la situazione sulla Terra? Vedete segni o fenomeni ai quali dobbiamo prestare maggiore attenzione?

«Santità, è davvero — è stata la seconda risposta di Ron Garan, statunitense — un punto di osservazione privilegiato. È un grande onore parlare con lei ed ha ragione che da quassù si gode di uno straordinario punto di osservazione. Da una parte possiamo vedere quanto il nostro pianeta sia indescrivibilmente bello, dall’altro possiamo capire quanto sia estremamente fragile. L’atmosfera, per esempio, se vista dallo spazio è sottile come un foglio. E fa riflettere il fatto che questo strato tanto sottile è ciò che separa ogni essere vivente dal vuoto dello spazio ed è tutto ciò che ci protegge. Ci sembra incredibile osservare la terra che è sospesa nello scuro dello spazio e pensare che noi siamo qui insieme, viaggiando attraverso l’universo in questa bella e fragile oasi. E ci riempie di speranza pensare che tutti noi a bordo di questa incredibile stazione orbitante, costruita grazie al partenariato internazionale di molte nazioni, compiamo questa sorprendente impresa. Ciò dimostra che lavorando insieme e cooperando possiamo superare molti dei problemi del nostro pianeta e risolvere molte delle sfide che i suoi abitanti devono affrontare. Ed è un posto bellissimo per lavorare e osservare il nostro bellissimo lavoro».

L’esperienza che ora state facendo è straordinaria e importantissima, anche se alla fine dovrete ritornare giù su questa terra come tutti noi. Quando tornerete, sarete molto ammirati e trattati come eroi che parlano e agiscono con autorità. Sarete invitati a raccontare le vostre esperienze. Quali saranno i messaggi più importanti che vorreste trasmettere, specialmente ai giovani, che vivranno in un mondo profondamente influenzato dalle vostre esperienze e scoperte?


«Santità, come hanno detto i miei colleghi, possiamo guardare in giù e vedere il nostro bel pianeta, che è stato creato da Dio — è stata la risposta di Mike Finchke, statunitense — ed è il pianeta più bello dell’intero sistema solare. Tuttavia, se guardiamo verso l’alto possiamo vedere il resto dell’universo. E il resto dell’universo è lì per noi da esplorare. La Stazione Spaziale Internazionale è solo un simbolo, un esempio di ciò che possono fare gli esseri umani quando lavorano insieme in modo costruttivo. Quindi uno dei nostri messaggi più importanti è quello di far sapere ai figli del pianeta, di far sapere ai giovani, che c’è un intero universo per noi da esplorare e se ci impegniamo insieme non c’è nulla che non riusciamo a fare».

L’esplorazione dello spazio è un’avventura scientifica affascinante. So che siete stati occupati nell’installazione di nuove strumentazioni per l’ulteriore ricerca scientifica e lo studio delle radiazioni che giungono dagli spazi più lontani. Credo però che si tratti anche di un’avventura dello spirito umano, uno stimolo fortissimo a riflettere sulle origini e sul destino dell’universo e dell’umanità. I credenti spesso rivolgono lo sguardo in alto verso gli spazi sconfinati dei cieli e, meditando su Colui che ha creato tutto ciò, sono colpiti dal mistero della sua grandezza. È per questo motivo che la medaglia che ho affidato a Roberto (Vittori), come segno della mia partecipazione alla vostra missione, rappresenta la creazione dell’uomo, così come l’ha dipinta Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina. Nel mezzo del vostro intenso lavoro e ricerca, vi capita mai di fermarvi e fare simili pensieri, magari anche di rivolgere una preghiera al Creatore? Oppure vi sarà più facile riflettere su questi temi una volta ritornati sulla Terra?




«Santità, il lavoro di astronauta — ha detto Vittori — è molto intenso. Abbiamo tutti la possibilità di guardare fuori. Quando sopraggiunge la notte possiamo guardare in giù, verso il nostro pianeta, il pianeta blu. È bellissimo. Il blu è il colore del nostro pianeta, blu è il colore del cielo, blu è il colore dell’aeronautica italiana, che mi ha dato l’opportunità di unirmi all’Agenzia Spaziale Europea. Siamo riusciti a vedere la bellezza tridimensionale del nostro pianeta. Prego per me, per le nostre famiglie, per il nostro futuro. Ho portato con me questa medaglia per dimostrare la mancanza di gravità. La ringrazio per questa opportunità, e adesso la farò fluttuare verso il mio collega e amico Paolo. L’ho portata con me nello spazio e la riporterò giù per darla a lei».

La mia ultima domanda è per Paolo (Nespoli). Caro Paolo, so che nei giorni scorsi la tua mamma ti ha lasciato e quando fra pochi giorni tornerai a casa non la troverai più ad aspettarti. Tutti ti siamo stati vicini, anche io ho pregato per lei... Come hai vissuto questo tempo di dolore? Nella vostra Stazione vi sentite lontani e isolati e soffrite un senso di separazione, o vi sentite uniti fra voi e inseriti in una comunità che vi accompagna con attenzione e affetto?

«Santo Padre — ha risposto Nespoli — ho sentito le sue preghiere, le vostre preghiere arrivare fin quassù: è vero, siamo fuori da questo mondo, orbitiamo intorno alla Terra e abbiamo un punto di vantaggio per guardare la Terra e per sentire tutto quello che ci sta attorno. I miei colleghi qui, a bordo della Stazione — Dmitry, Kelly, Ron, Alexander e Andrei — mi sono stati vicini in questo momento importante per me, molto intenso, così come i miei fratelli, le mie sorelle, le mie zie, i miei cugini, i miei parenti sono stati vicini a mia madre negli ultimi momenti. Sono grato di tutto questo. Mi sono sentito lontano ma anche molto vicino, e sicuramente il pensiero di sentire tutti voi vicino a me, uniti in questo momento, è stato di estremo sollievo. Ringrazio anche l’Agenzia spaziale europea e l’Agenzia spaziale americana che hanno messo a disposizione le risorse affinché io abbia potuto parlare con lei negli ultimi momenti».

Al termine Benedetto XVI ha augurato il pieno successo della missione e ha impartito la benedizione apostolica.

Cari astronauti,

vi ringrazio di cuore per questa bellissima opportunità di incontro e dialogo con voi. Avete aiutato me e tante altre persone a riflettere insieme su argomenti importanti che riguardano l’avvenire dell’umanità. Vi faccio i migliori auguri per il vostro lavoro e per il successo della vostra grande missione al servizio della scienza, della collaborazione internazionale, dell’autentico progresso e in favore della pace nel mondo. Continuerò a seguirvi con il pensiero e la preghiera e volentieri vi imparto la Benedizione Apostolica.

(©L'Osservatore Romano 22 maggio 2011)