Dio al centro della comunicazione
di José María Gil Tamayo
Direttore della Commissionedei mezzi di comunicazione sociale
della Conferenza episcopale spagnola
La comunicazione della Chiesa come sfida e opportunità è stata al centro del terzo Congresso internazionale di giornalisti cattolici svoltosi all’Università Cattolica San Antonio di Murcia, in Spagna, aperto dal direttore de «L’Osservatore Romano» e concluso da una significativa riflessione di monsignor Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
Iniziative come questa sono molto utili per migliorare la comunicazione della Chiesa, resa difficile non solo dall’insufficiente adeguamento culturale di due universi molto spesso contrapposti — quello dei media e quello della Chiesa — ma anche dalla sterile atomizzazione di molte iniziative mediatiche cattoliche, soprattutto per l’insistenza nel sottolineare ciò che le differenzia rispetto a quanto le unisce nella comune causa evangelizzatrice che dà loro senso.
Il tema del congresso riassume il compito dei comunicatori cristiani: da una parte unire con naturalezza due realtà — la Chiesa e il mondo dei media — fra le quali è frequente, purtroppo, la contrapposizione; e dall’altra aiutare la Chiesa ad assumere questo impegno sempre più in chiave di responsabilità e non di angoscia, al servizio di quella nuova evangelizzazione a cui Benedetto XVI ci invita nel nuovo scenario della «società dell’informazione». Quest’ultimo ambito è diventato il paradigma di un mondo secolarizzato, soprattutto in occidente, dove Dio è stato relegato alla marginalità, quando non alla totale irrilevanza. Per i media la religione è, secondo la loro logica parziale, un contenuto estraneo in quanto appartiene alla «vita privata», a meno che non abbia i colori della «cronaca» o l’onnipresente considerazione «politica».
A Santiago de Compostela Benedetto XVI ha lanciato uno dei messaggi più importanti del suo pontificato su quella che deve essere la missione prioritaria della Chiesa: «Il suo apporto è centrato in una realtà così semplice e decisiva come questa: che Dio esiste e che è Lui che ci ha dato la vita. Solo Lui è assoluto, amore fedele e immutabile, meta infinita che traspare dietro tutti i beni, verità e bellezze meravigliose di questo mondo».
Il Papa ha ribadito lo stesso concetto nella sua lettera che ha chiuso la polemica per la remissione della scomunica ai quattro prelati lefebvriani: nel nostro tempo «la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio» e «condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo».
Così, uno dei compiti principali della comunicazione cristiana è quello di far emergere nell’agenda dei media la dimensione trascendente dell’esistenza umana: il piano religioso, senza il quale non capiamo pienamente né noi stessi né il mondo. Si tratta, in definitiva, di collocare Dio al suo posto, al centro dei media, perché egli è al centro della vita umana.
Questa rivendicazione nasce non solo in virtù dell’inviolabile diritto della presenza di Dio nell’umano, ma anche per il non meno importante diritto della persona a vivere la propria dimensione religiosa anche nella libertà di espressione. In tal senso, è particolarmente illuminante l’insistenza di Benedetto XVI nell’esortare a tornare all’essenziale nella proposta della Chiesa al mondo di oggi, ossia quella dell’esistenza di Dio quale fondamento di tutta la realtà. Come ha ricordato nel discorso all’episcopato latinoamericano ad Aparecida: «Che cosa è il reale? Sono “realtà” solo i beni materiali, i problemi sociali, economici e politici? Qui sta precisamente il grande errore delle tendenze dominanti nell’ultimo secolo, errore distruttivo, come dimostrano i risultati tanto dei sistemi marxisti quanto di quelli capitalisti. Falsificano il concetto di realtà con l’amputazione della realtà fondante e per questo decisiva che è Dio. Chi esclude Dio dal suo orizzonte falsifica il concetto di “realtà” e, in conseguenza, può finire solo in strade sbagliate e con ricette distruttive. La prima affermazione fondamentale è, dunque, la seguente: Solo chi riconosce Dio, conosce la realtà e può rispondere ad essa in modo adeguato e realmente umano. La verità di questa tesi risulta evidente davanti al fallimento di tutti i sistemi che mettono Dio tra parentesi».
Per ottenere una presenza normale del fatto religioso nell’agenda comunicativa, in primo luogo bisogna rivendicare l’importanza dell’informazione religiosa come genere specializzato, con professionisti formati; in secondo luogo, la Chiesa deve promuovere fra le sue fila l’esistenza di professionisti della comunicazione, cattolici coerenti, e anche la creazione di media propriamente cattolici, per dare così rappresentatività sociale alla visione cristiana del mondo ed evitare che scompaia dall’operatività sociale e culturale, dall’influenza sul pensiero e sull’agenda pubblica.
Riusciremo così a recuperare dalle rovine della modernità e dal dominio del relativismo la semantica delle grandi verità dell’uomo e della religione, della trascendenza e della fede, eluse nella comunicazione di oggi. Aiutando i media a recuperare il senso della vera realtà.
(©L'Osservatore Romano 21 maggio 2011)