La beatificazione di Giovanni Paolo II
Una folla immensa
Una folla immensa
per una celebrazione gioiosa ed esemplare
«Giovanni Paolo II è beato!». I numeri parlano di un milione e mezzo di persone convenute a Roma per essere presenti nel momento in cui Benedetto XVI avrebbe pronunciato questa frase. Bisogna fidarsi degli esperti, delle persone capaci di valutare spazi e folle. Certo è che piazza San Pietro, ancora una volta è stata invasa da una folla incapace di resistere al richiamo di Giovanni Paolo II. Strade e piazze limitrofe sono state invase sin dalle prime ore della notte trascorsa in veglia. Dovunque striscioni, bandiere, fazzoletti, palloncini e ninnoli vari in centinaia di multicolori esemplari. Del resto si è trattato di «un avvenimento straordinario, senza precedenti, negli ultimi dieci secoli di storia della Chiesa». Lo avevamo scritto nella prima pagina della nostra edizione di sabato — con data domenica 1° maggio — cercando il modo migliore per presentare quanto è poi effettivamente accaduto in questa giornata, vissuta nella gioia di una «grande festa della fede» per la beatificazione di Giovanni Paolo II.
Ma ora, quando l’avvenimento si è consumato ed è già il momento della riflessione e del ricordo, ci si rende conto che poco importano corsi e ricorsi storici, numeri e scenografie: la grandezza delle emozioni vissute si può misurare in una frase che sembra essere buttata lì a conclusione di otto cartelle di un’omelia seppure densa di significato e di spiritualità. «Tante volte — ha scandito infatti improvvisando Benedetto XVI, dopo aver concluso la lettura del testo preparato — ci hai benedetto in questa piazza dal Palazzo. Oggi ti preghiamo: Santo Padre ci benedica». Un’invocazione che inizia con il tu confidenziale dell’amico che per 23 anni ha potuto «stargli vicino e venerare la sua persona», e finisce con il «lei» deferente dinanzi a un uomo, uno straordinario uomo di Dio, che ha aperto a Cristo i sistemi sociali, politici ed economici del mondo. E quanto straordinario lo lascia intendere proprio il suo immediato successore, che ha la gioia straordinaria di proclamarlo beato e che non esita a rivolgersi a lui chiamandolo egli stesso «Santo Padre».
In tutto il discorso Papa Ratzinger ha riproposto, con un amore che è andato ben oltre le parole, la statura di questo uomo. Un «uomo forte». Un prete ascetico. Un vescovo che ha impegnato tutte le sue forze per ripetere, passo dopo passo, il cammino dell’uomo, fatto di gioie e di dolori. Un Papa il quale, portando l’amore di Cristo nel mondo, ha invertito «con la forza di un gigante» una tendenza che sembrava irreversibile.
Prima che iniziasse la liturgia, alle 9.30 circa, mentre le delegazioni ufficiali di 87 Paesi prendevano posto ai lati dell’altare sul sagrato della basilica, quattro lettori, in lingue diverse, hanno riproposto i passaggi di alcune omelie di Giovanni Paolo II dedicati alla Divina Misericordia. Tutt’intorno l’emiciclo berniniano era stato trasformato in un grande libro le cui pagine erano aperte sulle più significative espressioni del pontefice polacco. A caratteri cubitali la più nota: «Non abbiate paura. Aprite le porte a Cristo».
Una eccezionale lectio magistralis a due voci. È stata anche questo la celebrazione del rito per la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II, nella seconda domenica di Pasqua, che proprio lui volle dedicare alla Divina Misericordia. E una grande immagine del Cristo misericordioso, posta davanti all’altare, ha accolto il lungo corteo processionale che ha accompagnato Benedetto XVI dal Portone di Bronzo al sagrato della basilica Vaticana. I centotrenta cardinali presenti — tra i quali il segretario di Stato Bertone e il decano Sodano — hanno reso l’atmosfera simile a quella del conclave che il 16 ottobre di quasi trentatré anni fa scelse Karol Wojtyła quale successore di Giovanni Paolo I.
I circa dieci minuti di applausi seguiti alla proclamazione della beatificazione chiesta dal cardinale vicario di Roma Agostino Vallini, hanno reso, se mai ci fosse stato bisogno di conferme, l’idea di quanto quella folla immensa amasse il Papa polacco. Suor Marie Simon-Pierre, miracolata da Giovanni Paolo II, all’annuncio della beatificazione, mentre portava all’altare la reliquia del sangue, ha sciolto una visibile tensione con un sorriso solare. Accanto a lei suor Tobiana Lucyna Sobótka, una delle suore dell’appartamento del Papa beato, non è riuscita invece a trattenere le lacrime.
Lo sventolio delle migliaia di bandiere fatte ondeggiare sulla piazza e i cinque palloncini rossi che facevano salire verso l’alto il ringraziamento dei fedeli — un lenzuolo bianco con su scritto «Deo gratias» — davano un tocco di colore a un cielo che, contro ogni previsione, si faceva sempre più limpido e splendente. Dalla piazza si è levato ancora una volta quel grido già udito sei anni fa in questo stesso luogo, mentre il cardinale Ratzinger celebrava le esequie del compianto Pontefice: «Santo subito». Poi l’applauso che ha sottolineato il lento apparire dell’immagine del nuovo beato riprodotta sul grande arazzo appeso alla loggia centrale della basilica. È stata tratta da uno scatto del fotografo polacco Grzegorz Gałazka. A guardarsi intorno si vedevano volti rigati dalle lacrime; visi di donne soprattutto.
La folla estesa a perdita d’occhio oltre ponte Vittorio, in fondo a via della Conciliazione, era la sua folla. Almeno sessantamila i polacchi giunti a Roma con ogni mezzo. Una decina addirittura in bicicletta. E poi c’erano loro, i suoi giovani. Hanno vegliato per tutta la notte. Pazienti hanno atteso che aprissero le transenne che circondano piazza San Pietro per farli entrare. Chi non ha trovato posto non si è arreso e ha continuato a cercare uno dei numerosi schermi giganti sistemati un po’ ovunque nei pressi di San Pietro. E anche più lontano: uno era addirittura all’aeroporto di Fiumicino. Ma c’erano anche tanti pellegrini provenienti da diverse parti del mondo. Un gruppo veniva dal Giappone, venuti — ha detto il sacerdote che li accompagnava — per affidare a Giovanni Paolo II la sofferenza del loro popolo».
Tra i numerosi concelebranti, oltre al cardinale Stanisław Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, c’era anche l’arcivescovo Mieczysław Mokrzycki, arcivescovo di Lviv dei Latini, da tutti conosciuto come monsignor Mietek, che lo ha affiancato negli ultimi anni nella segreteria particolare.
Accanto alle delegazioni ufficiali e ai membri del Corpo Diplomatico accreditato avevano preso posto gli arcivescovi Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, e Mamberti, segretario per i rapporti con gli Stati; i monsignori Wells, assessore, Balestrero, sotto-segretario per i rapporti con gli Stati, e Nwachukwu, capo del Protocollo. In posti riservati erano gli arcivescovi del Blanco Prieto, elemosiniere di Sua Santità, e Harvey, prefetto della Casa pontificia; il vescovo De Nicolò, reggente della prefettura; i monsignori Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e Alfred Xuereb, della segreteria particolare del Papa.
Nella basilica immersa nel silenzio, davanti all’altare della Confessione era stata sistemata — su un letto di rose bianche e gialle — la bara con le spoglie mortali di Papa Wojtyła. Quattro guardie svizzere e due gendarmi in alta uniforme a fargli da guardia d’onore. Sulla bara era stata posta una copia dell’evangeliario di Lorsch, di epoca medioevale, uno dei più preziosi custoditi nella Biblioteca Apostolica Vaticana. All’esterno, davanti all’altare, era stato esposto invece un reliquiario contenete un’ampolla con il sangue del nuovo beato. I suoi paramenti, che tante volte aveva usato durante le celebrazioni, erano stati indossati, come ennesimo gesto di devozione, da Benedetto XVI.
La messa — diretta dal maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, monsignor Guido Marini — si è svolta nella consueta solennità, alla quale ha contribuito il canto di un imponente coro composto, oltre che dalla Cappella Sistina, da coristi della diocesi di Roma e di Santa Cecilia.
Prima di concludere la messa Benedetto XVI ha ringraziato tutti coloro che avevano voluto unirsi alla celebrazione e a quanti, con il loro lavoro, l’avevano resa possibile. Il momento più intimo Papa Ratzinger lo ha vissuto subito dopo, restando assorto in preghiera dinanzi al feretro del predecessore. Infine l’incontro con le delegazioni ufficiali.