venerdì 3 settembre 2010

Il 3 settembre di dieci anni fa la beatificazione di Pio IX


Il 3 settembre di dieci anni fa la beatificazione di Pio IX

Fede e ragione nel pontificato di Mastai Ferretti

di Francesco M. Valiante

Semplificazioni e luoghi comuni creano miti duri a morire, anche nella storia della Chiesa. È il caso di certi cliché applicati alla figura di Pio IX, il Pontefice del Sillabo e della questione romana, del dogma dell'Immacolata e del concilio Vaticano I, pastore di solida spiritualità ma anche uomo di governo, considerato ora liberale e riformatore, ora intransigente e antimoderno. Ma chi fu davvero Papa Mastai Ferretti? Monsignor Walter Brandmüller non ha dubbi: "Il suo - afferma - è stato un pontificato essenzialmente religioso e come tale va giudicato". Parziali e, dunque, inattendibili le interpretazioni ideologiche o i bilanci politici del pontificato di Pio IX. Che il prelato tedesco, professore di storia della Chiesa medievale e moderna all'università di Augusta (1970-1997) e presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche dal 1998 al 2009, invita a rileggere a partire da due aspetti sorprendentemente moderni e vicini alla sensibilità del suo attuale successore Benedetto XVI: l'apertura al dialogo tra fede e ragione, e l'attenzione alla dimensione soprannaturale della vita del cristiano. In questa intervista al nostro giornale monsignor Brandmüller ricorda la figura di Giovanni Maria Mastai Ferretti a dieci anni dalla beatificazione. E parla di un pontificato, il più lungo (1846-1878) della storia della Chiesa tra i successori di san Pietro, da rivalutare e approfondire "con gli occhi dello storico e del teologo". Non omettendo una tirata d'orecchie a chi accusa di oscurantismo le posizioni del Syllabus errorum del 1864, magari senza nemmeno averne letto il testo. "Io non conosco - sentenzia - nessuna affermazione del Sillabo che contraddica apertamente il concilio Vaticano II".

Cominciamo dalle questioni politiche cruciali che Pio IX si trovò ad affrontare durante il pontificato: come leggere le sue scelte, in particolare di fronte al Risorgimento, alla rivoluzione del 1848 e alla questione dell'unificazione italiana?

Più che cominciare, direi di chiudere subito questo discorso. Capisco la sensibilità di una certa storiografia verso queste tematiche, che tanta importanza hanno avuto per l'Italia. Ma nel giudicare un Papa noi ci muoviamo su un livello ben più alto, essenzialmente religioso. Per questo motivo non è possibile capire veramente Pio IX leggendo la sua persona e la sua azione in chiave politica, soprattutto italiana. Prescindiamo quindi da questa visione troppo riduttiva. In primo luogo, un Pontefice è maestro e pastore della Chiesa di Cristo. Ed è in questa prospettiva che si spiega l'atteggiamento di Mastai Ferretti, anche durante la prima guerra d'indipendenza italiana e nei confronti del movimento risorgimentale.

E il mito del Papa liberale?

Conviene accantonare queste semplificazioni che non sono in grado di ricostruire una personalità complessa e importante come quella di Pio IX. Che fu visto senza dubbio anche sotto questa luce, e non senza qualche ragione. Anche se erano eccessive, oltre che interessate, le manifestazioni di entusiasmo repubblicano suscitate dall'atteggiamento di apertura del futuro Pontefice negli anni del suo episcopato a Spoleto e poi a Imola.

Non si può negare, tuttavia, che la sua azione abbia avuto una forte valenza politica in quel tumultuoso frangente storico.

Certo, ma a prevalere nel Papa sono state sempre la dimensione autenticamente pastorale e le motivazioni religiose delle sue scelte. Sotto questo profilo, è davvero impressionante il suo magistero. Ed è ammirevole soprattutto la sensibilità con la quale egli reagisce alle correnti intellettuali che si andavano diffondendo. Siamo ad appena mezzo secolo dalla rivoluzione francese e i credenti si trovano a fare i conti con il suo insidioso retaggio. Ebbene, già nella prima enciclica, la Qui pluribus, del 1846, Papa Mastai affronta una questione fondamentale e perciò decisiva per il futuro del cattolicesimo: il rapporto tra fede e ragione.

Tema oggi particolarmente caro a Benedetto XVI.

Per l'appunto. Non dimentichiamo che Pio IX dedica alla questione una serie di documenti - dei quali di norma non si parla - allo scopo di difendere la verità cattolica dai due estremismi opposti: il razionalismo, che assolutizzava la ragione, e il cosiddetto tradizionalismo, che la sottovalutava. In quei testi il Pontefice mette in evidenza la necessità di coniugare fede e ragione in un insieme armonioso secondo la tradizione cattolica: una dottrina riproposta nel 1870 con la Dei filius del concilio Vaticano I. Non è difficile vedere i punti di contatto con Benedetto XVI, che fin dall'inizio del suo pontificato sta approfondendo questo tema proprio per rispondere alle sfide poste dal dibattito culturale e dai fermenti intellettuali della nostra epoca. In questa luce, non si può non ammirare la lungimiranza di Mastai Ferretti.

Che però è passato alla storia come il Papa del Sillabo.

Anche qui occorre sgombrare il campo dagli equivoci, generati soprattutto dall'ignoranza o dalla scarsa conoscenza dei testi. Il Sillabo di Pio IX denuncia tutte le forme ideologiche, politiche e sociali di violazione della fede cattolica e dei diritti della Chiesa: in sostanza, condanna quegli errori da cui sarebbero scaturite poi le grandi tragedie del Novecento. Non sono dunque fondate l'agitazione e l'ostilità di fronte a quel documento, spesso giudicato - allora e anche oggi - a priori, magari senza neanche averlo letto.

Eppure viene generalmente considerato una condanna della libertà di pensiero e del progresso.

Io non conosco nessuna affermazione del Sillabo che contraddica il concilio Vaticano II. La questione è un'altra. Si tratta di conoscere e di leggere correttamente un documento magisteriale: leggerlo, intendo, con gli occhi dello storico e del teologo. Ci sono regole precise, basate sulla più elementare logica, che vanno seguite per interpretare nella sua intenzione questo testo.

Lo stesso discorso vale per il concilio Vaticano I, aperto nel 1869?

Sicuramente. Basti considerare le due costituzioni dogmatiche approvate nel 1870: la Dei filius, dedicata appunto al rapporto tra fede e ragione, e la Pastor aeternus, sul primato e l'infallibilità del Romano Pontefice. A mio avviso la prima riveste un'importanza addirittura maggiore della seconda, perché in essa si affronta direttamente la questione delle ideologie e dei movimenti che inquietavano il panorama intellettuale ed esigevano una risposta anche sul piano teologico. Per il futuro della Chiesa questo era un passaggio fondamentale. D'altra parte, va anche detto che la Dei filius non ha potuto evitare la nascita del modernismo. Ma ritengo che ciò sia stato appunto favorito dalla mancata recezione dell'insegnamento di Pio IX da parte della teologia dell'epoca.

Il pontificato di Mastai Ferretti ha dato un notevole impulso alla pietà e alla vita spirituale del popolo di Dio. Che cosa ha rappresentato in questo senso il dogma dell'Immacolata Concezione?

Al di là del significato dottrinale di quella definizione - basata su una consultazione dell'episcopato a livello mondiale - va sottolineato appunto il suo valore spirituale. Essa dimostra soprattutto la grande sensibilità di Pio IX verso la realtà soprannaturale della fede, con particolare riguardo alla questione del peccato e della grazia. Un discorso che trovo di grande attualità, perché la medesima consapevolezza manca a moltissimi uomini del nostro tempo e agli stessi cristiani: non a caso questo è un altro dei temi che sta particolarmente a cuore a Benedetto XVI.

In questa direzione va anche lo sforzo di rinnovamento e di promozione della vita consacrata intrapreso da Pio IX?

Si tratta di un aspetto assolutamente singolare del suo pontificato. In 32 anni Papa Mastai Ferretti approvò canonicamente ben 160 ordini religiosi, molti dei quali femminili e missionari. Un dato sorprendente se si considera, oltretutto, che diverse comunità sono sorte proprio in Francia, dove la rivoluzione aveva lasciato intorno a sé terra bruciata. E questo conferma che buona parte della messe del pontificato di Pio IX è stata raccolta dopo la sua morte. Come continua oggi a venire raccolta.

(©L'Osservatore Romano - 3 settembre 2010)


Il Sillabo di PIO IX

Sillabo dei principali errori dell'età nostra, che son notati nelle allocuzioni concistoriali, nelle encicliche e in altre lettere apostoliche del SS. signor nostro papa Pio IX (1864)

I - Panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto

I. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest'universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell'uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.
II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo.
III. La ragione umana è l'unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.
IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione umana; laonde la ragione è la prima norma, per mezzo di cui l'uomo può e deve conseguire la cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.
V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò soggetta a processo continuo e indefinito, corrispondente al progresso della ragione umana.
VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell'uomo.
VII. Le profezie e i miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i libri dell'Antico e Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un mito.

II - Razionalismo moderato

VIII. Siccome la ragione umana si equipara colla stessa religione, perciò le discipline teologiche si devono trattare al modo delle filosofiche.
IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono oggetto della naturale scienza ossia filosofia, e l'umana ragione, storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi, anche i più reconditi, purché questi dommi siano stati alla stessa ragione proposti.
X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né deve sottomettersi ad alcuna autorità.
XI. La Chiesa non solo non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.
XII. I decreti della Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.
XIII. Il metodo e i principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze.
XIV. La filosofia si deve trattare senza aver riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione.

III - Indifferentismo, latitudinarismo

XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.
XVI. Gli uomini nell'esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salvezza, e conseguire l'eterna salvezza.
XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.
XVIII. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.

IV - Socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società clerico-liberali

Tali pestilenze sono condannate più volte e con gravissime espressioni nella Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846; nell'allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nella Lettera Enciclica Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nell'Allocuzione Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nella Lettera Apostolica Quanto conficiamur, 17 agosto 1863

V - Errori sulla Chiesa e suoi diritti

XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, né è fornita di suoi propri e costanti diritti, conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare detti diritti.
XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile.
XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l'unica vera religione.
XXII. L'obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall'infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dommi di fede.
XXIII. I Romani Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di fede e di costumi errarono.
XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta.
XXV. Oltre alla potestà inerente all'episcopato, ve n'è un'altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare, quando vuole.
XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo diritto di acquistare e di possedere.
XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.
XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche.
XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del Governo.
XXX. L'immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile.
XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano esse civili o criminali, dev'essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa reclami.
XXXII. Senza violazione alcuna del naturale diritto e delle equità, si può abrogare l'immunità personale, in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e dall'esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle società le cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo.
XXXIII. Non appartiene unicamente alla ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale, il dirigere l'insegnamento della teologia.
XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.
XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un'altra città.
XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può considerare tali definizioni come norma irretrattabile di operare.
XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all'autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.
XXXVIII. Gli arbìtri eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.

VI - Errori che riguardano la società civile, considerata in sé come nelle sue relazioni con la Chiesa

XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato.
XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl'interessi della umana società.
XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosiddetto appello per abuso.
XLII. Nella collisione delle leggi dell'una e dell'altra potestà, deve prevalere il diritto civile.
XLIII. Il potere laicale ha la potestà di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all'uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami.
XLIV. L'autorità civile può interessarsi delle cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare per dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno all'amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni necessarie per riceverli.
XLV. L'intero regolamento delle pubbliche scuole, nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev'essere attribuito all'autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun'altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell'approvazione dei maestri.
XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il metodo da adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità.
XLVII. L'ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl'istituti pubblici, che sono destinati all'insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché alla educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio dell'autorità civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del secolo.
XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e dall'autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale.
IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.
L. L'autorità laicale ha di per sé il diritto di presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi prima che essi ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le Lettere apostoliche.
LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre i Vescovi dall'esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione dei Vescovati e dei Vescovi.
LII. Il Governo può di suo diritto mutare l'età prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza suo permesso.
LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle famiglie religiose, e dei loro diritti e doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni; e parimenti, può spegnere del tutto le stesse famiglie religiose, come anche le Chiese collegiate ed i benefici semplici ancorché di giuspatronato e sottomettere ed appropriare i loro beni e le rendite all'amministrazione ed all'arbitrio della civile potestà.
LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.
LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.

VII - Errori circa la morale naturale e cristiana

LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina, né è necessario che le leggi umane siano conformi al diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare.
LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono prescindere dall'autorità divina ed ecclesiastica.
LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi si deve riporre nell'accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera la ricchezza e nel soddisfare le passioni.
LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.
LX. L'autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.
LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.
LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento.
LXIII. Il negare obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica.
LXIV. La violazione di qualunque santissimo giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria.

VIII - Errori circa il matrimonio cristiano

LXV. Non si può in alcun modo tollerare che Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento.
LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.
LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.
LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d'introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità civile, dalla quale debbono togliersi gl'impedimenti esistenti.
LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl'impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile potestà.
LXX. I canoni tridentini, nei quali s'infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl'impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell'anzidetta potestà ricevuta.
LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva un'altra forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido.
LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.
LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il sacramento.
LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro civile.
IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice
LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.
LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.

IX - Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice

LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica.
LXXVI. L'abolizione del civile impero posseduto dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.

X - Errori che si riferiscono all'odierno liberalismo

LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l'unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.
LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.
LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l'ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell'indifferentismo.
LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.