lunedì 20 settembre 2010

La Westminster Abbey insegna al coro pontificio come si canta in chiesa


Westminster Abbey, Evening Prayer

Ecumenismo in musica. La Westminster Abbey
insegna al coro pontificio come si canta in chiesa


di Sandro Magister

Anche sul versante musicale il viaggio di Benedetto XVI nel Regno Unito ha impressionato positivamente. Le solenni celebrazioni sono state accompagnate da canti e musiche liturgicamente appropriate e di elevata qualità esecutiva.

Il gregoriano e il polifonico, il tradizionale e il moderno sono apparsi in splendido equilibrio. E così l’alternarsi tra il coro e le masse.

Il confronto con le anemiche performance del coro pontificio della Cappella Sistina non poteva essere più impietoso. Chi oggi in curia manovra per cambiare addirittura in peggio la direzione del coro che a Roma accompagna le liturgie papali ha ricevuto da oltre Manica una severa lezione.

Il top è stato toccato dai vespri concelebrati nella Westminster Abbey la sera del 17 settembre.

La chiesa madre della Comunione anglicana era gremita da diverse ore. Nell’attesa, i presenti hanno seguito su alcuni schermi il discorso rivolto dal papa nella vicina Westminster Hall alla società civile britannica. E poi hanno ascoltato all’organo brani di Bach, Purcell e altri autori.

Con l’arrivo di Benedetto XVI e l’inizio dei vespri è entrato in azione il coro con voci bianche della Westminster Abbey, diretto da James O’Donnell, cattolico.

E fin dalle prime battute se ne è avvertita la straordinaria bravura.

Prima dell’avvio della processione d’ingresso, il coro ha eseguito mottetti polifonici di William Byrd (1540-1623), di Charles V. Stanford (1852-1924) e di Thomas Tallis (1505-1585).

L’invitatorio che apre il vespro è stato composto per l’occasione da Gabriel Jackson (1962-). Genialmente moderno eppure in perfetta sintonia con la tradizione, come nei vocalizzi ispirati al gregoriano.

L’inno d’inizio del vespro era in una traduzione inglese dell’Ottocento da un testo latino del VII-VIII secolo, musicato da Henry Purcell (1659-1695) che fu anche organista della Westminster Abbey.

La salmodia era su tonalità elaborate da Henry Ley (1887-1962).

Un secondo inno era con parole di Charles Wesley (1707-1788) e musica di Samuel S. Wesley (1810-1876).

Il “Magnificat” era di Charles V. Stanford (1852-1924)

L’”Ubi caritas et amor”, in latino, è stato cantato dal coro nell’adattamento polifonico di Maurice Duruflé (1902-1986).

L’inno finale era di Herbert Howells (1892-1983) su un motivo originale di Joachim Neander (1650–80), con parole di Robert Bridges (1844-1930).

Terminato il vespro, all’organo sono stati eseguiti brani di Johann Sebastian Bach (1685-1750) e di Edward Elgar (1857-1934).

Lasciando la chiesa, Benedetto XVI si è vivamente congratulato col direttore del coro.

***

Sarebbe quindi il colmo se, ritemprato da una così felice ossigenazione musicale, Benedetto XVI si trovasse tra poco la Cappella Sistina ulteriormente dequalificata con la nomina di un direttore della statura di don Massimo Palombella, come si vocifera.

Perché la manovra parrebbe giunta a uno stadio avanzato, col placet della segreteria di Stato. Il direttore uscente, monsignor Giuseppe Liberto, sarebbe compensato con la presidenza di un nuovo istituto creato in curia per sovrintendere alla musica sacra.

Veramente, di un istituto del genere c’è bisogno da tempo. Joseph Ratzinger ne auspicava la creazione fin da cardinale. E il 13 ottobre 2007, nel visitare da papa il Pontificio Istituto di Musica Sacra, il “conservatorio” vaticano diretto da monsignor Valentino Miserachs Grau, ribadì che “l’autorità ecclesiastica deve impegnarsi a orientare sapientemente lo sviluppo di un così esigente genere di musica”.

In quell’occasione, Benedetto XVI salutò calorosamente il Maestro Domenico Bartolucci, cioè colui che aveva portato il coro della Cappella Sistina a livelli eccelsi, prima d’esserne cacciato nel 1997 dagli allora registi delle cerimonie papali.

Ma se il nuovo ufficio curiale con autorità sulla musica sacra fosse ora affidato a Liberto, cioè proprio a colui che nel 1997 fu collocato al posto di Bartolucci per dilapidarne l’eredità, per la stessa musica sacra si prospetterebbe un futuro di desolazione.