martedì 21 settembre 2010

Per il Papa nel Regno Unito un successo anche in campo ecumenico


Lo afferma l'arcivescovo Koch,
presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

Per il Papa nel Regno Unito
un successo anche in campo ecumenico

di Gianluca Biccini

È stata un grande successo anche in campo ecumenico la visita di Benedetto XVI nel Regno Unito. Rientrato dal suo primo viaggio al seguito del Papa, al quale ha partecipato come presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, l'arcivescovo Kurt Koch racconta al nostro giornale le impressioni tratte non solo dagli incontri con gli anglicani, ma anche da quelli di carattere politico e pastorale. Impressioni raccolte a caldo, alla vigilia di un altro importante appuntamento ecumenico, la dodicesima plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa nel suo insieme, che si è aperta a Vienna lunedì 20 settembre.

Prima di partire per la Gran Bretagna, lei aveva auspicato che gli aspetti più autentici della visita del Papa non fossero oscurati da polemiche e pregiudizi. Com'è andata alla fine?

Credo molto bene. Io e gli altri membri del seguito abbiamo avuto l'impressione che i popoli del Regno Unito abbiano davvero percepito com'è realmente il Pontefice, nella sua semplicità, nella sua profondità. La sensazione è che sia stato accolto con affetto da tutti e che alla fine questo viaggio si sia rivelato un gran successo. Da ogni punto di vista.

Come si è trovato ad affrontare quest'esperienza per lei inedita?

In realtà avevo già vissuto in prima persona un viaggio internazionale del Papa, quando il 13 maggio di due anni fa accolsi Benedetto XVI al Caritas Baby Hospital di Betlemme, come vescovo di Basilea e presidente della Conferenza episcopale svizzera, che è tra i maggiori sostenitori dell'ospedale pediatrico. In quell'occasione mi colpì il fatto che il Papa non vivesse quei momenti con lo sguardo all'orologio. Ricordo che si intrattenne a lungo con i bambini malati, soprattutto con i prematuri. Quella fu una meravigliosa esperienza. Ma stavolta la mia gioia è ancora maggiore: ho partecipato a ogni appuntamento a Edimburgo, Glasgow, Londra e Birmingham; e ovunque ho avuto l'impressione che il Papa sia sempre riuscito a mostrarsi così com'è e che la gente lo abbia accolto con calore.

Qual è stato a suo giudizio il momento più significativo dal punto di vista ecumenico?

Tutto il viaggio ha avuto una dimensione ecumenica, perché in ciascuno dei diciotto discorsi pronunciati il Papa ha fatto riferimento al ruolo della comunità dei credenti nelle società europee, richiamando di continuo le radici cristiane del Continente. Ma per rispondere alla sua domanda, è evidente che il pomeriggio di venerdì 17 abbia rappresentato dal nostro punto di vista la giornata più importante.

Sta parlando della prima visita di un Papa alla residenza londinese dell'arcivescovo di Canterbury o della successiva celebrazione, anch'essa una prima storica assoluta, nell'abbazia di Westminster?

Entrambi gli appuntamenti hanno avuto una rilevanza senza precedenti. A Lambeth Palace i due incontri con l'arcivescovo Rowan Williams - quello pubblico e l'altro più riservato - sono stati molto amabili e fraterni. Il comunicato diffuso congiuntamente al termine del cordiale colloquio ha sottolineato come Benedetto XVI e il primate della Comunione anglicana abbiano riaffermato tra l'altro l'importanza di incrementare le relazioni ecumeniche e di approfondire il dialogo teologico, in particolare sul tema della Chiesa come comunione.

E poi ci sono stati i vespri ecumenici a Westminster Abbey. Cosa l'ha maggiormente colpita in quel rito così suggestivo?

Anzitutto la preghiera comune davanti alla tomba di Edoardo il Confessore, il re inglese venerato come santo in entrambe le tradizioni. Ma vorrei soffermarmi anche su alcuni gesti: l'abbraccio e il bacio tra il Papa e l'arcivescovo Williams che hanno suggellato lo scambio della pace, in semplicità e in amicizia; e anche, alla fine della celebrazione, la benedizione impartita insieme. Sono stati momenti molto toccanti e nei diversi discorsi ho avuto la sensazione che i due si siano trovati in sintonia su molti punti, proponendo un messaggio condiviso: ovvero che in una società secolarizzata è assolutamente necessaria una testimonianza comune. Gesù Cristo è stato al centro di tutti gli interventi. Questi incontri hanno offerto una vera testimonianza per la fede cristiana nella società dell'Inghilterra e della Scozia, i due Paesi toccati dal Papa nel suo viaggio.

Analizzati i progressi forse è il caso di parlare anche dei problemi. O sono stati cancellati di colpo?

Esistono, certo, ma con la viva coscienza che è assolutamente necessario lavorare in futuro e continuare il dialogo, che ha già portato dei frutti. In più di una circostanza alcuni vescovi anglicani mi hanno salutato dicendomi che sono contenti per come questo dialogo continui e si cerchi veramente l'unità tra le due comunità.

Anche se, negli ultimi tempi, la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus sembra aver creato qualche difficoltà.

Va subito chiarito come l'offerta pastorale dell'ordinariato per anglicani che vorranno entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica sia stata una risposta del Papa a esplicite richieste in tal senso. Lo ripeto: ci sono state richieste di anglicani di ritrovare la Chiesa cattolica e il Pontefice non poteva dire di no. La differenza con altri tempi è che ci sono sempre state delle conversioni individuali, e l'esempio del cardinale Newman è illuminante; ma adesso si tratta di gruppi che vogliono entrare nella Chiesa cattolica con i loro pastori e forse con i vescovi. È un grande gesto da parte di Benedetto XVI, che apre le porte a chi bussa. Ma ciò non cambia niente nel dialogo, che deve continuare. Vorrei inoltre precisare che tutto ciò che riguarda il dialogo rientra nella responsabilità del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Mentre l'applicazione dell'Anglicanorum coetibus attiene alla sfera di competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede. E questo è un bene, perché abbiamo due vie per continuare la ricerca della comunione con gli anglicani.

Nel discorso ai vescovi di Inghilterra e Galles e di Scozia il Papa ha di nuovo chiesto loro di essere generosi nel porre in atto la Costituzione apostolica. È segno che ci sono ancora dei problemi?

Penso che si tratti soprattutto di problemi pratici. Per esempio: come si deve procedere nel caso in cui un'intera comunità anglicana voglia entrare nella Chiesa cattolica con il suo vescovo? come integrare questi gruppi e i vescovi attraverso l'istituzione di un ordinariato personale? A oggi non abbiamo esperienze in questo senso. Penso che sia sempre un po' così quando vengono introdotte delle novità, ma con il buon senso si possono superare anche tali timori.

È in questo spirito che si prepara ad affrontare anche l'appuntamento viennese?

Direi di sì. La dodicesima plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa nel suo insieme si riunisce per una settimana intera, fino al 27 settembre, e spero che si facciano dei passi in avanti nell'approfondimento del tema in agenda: il primato del vescovo di Roma, Successore di Pietro, nel primo millennio. Si tratta di un nodo cruciale nelle questioni storiche e dottrinali fra Oriente e Occidente. Essendovi differenze di interpretazione circa le testimonianze e i fondamenti scritturistici e teologici, è molto interessante che le due parti si sforzino di leggere i testi in altro modo, attraverso un'indagine comune e un'ermeneutica condivisa. Solo così si può cambiare la visione delle cose e riprendere un viaggio fruttuoso verso il futuro.

(©L'Osservatore Romano - 22 settembre 2010)