giovedì 23 settembre 2010

" Il cuore della liturgia " di Inos Biffi


La centralità della Resurrezione secondo la «Sacrosanctum concilium»

Il cuore della liturgia

di Inos Biffi

Senza Gesù Figlio di Dio storicamente risorto da morte e assiso alla destra del Padre la liturgia si ridurrebbe a una buona azione religiosa

Il vertice teologico della costituzione Sacrosanctum concilium del Vaticano II si trova nella concezione della liturgia come ripresentazione della morte e della risurrezione di Cristo, e quindi come «attuazione» «dell'opera della nostra salvezza» (2-6), grazie alla presenza di Cristo intimamente associato alla Chiesa (7).

La liturgia cristiana nasce, quindi, a Pasqua, quando il Signore offre il suo Corpo e il suo Sangue, lasciati come suo memoriale nel sacramento dell'ultima Cena. Essa, così, dipende tutta da Gesù Cristo, dalla sua iniziativa che, situata in un tempo preciso della storia («patì sotto Ponzio Pilato»), permane perennemente in atto, «qui e adesso» nell'azione liturgica, e particolarmente nell'Eucaristia
e negli altri sacramenti.

Il sacrificio del Calvario, consumato una volta per tutte, a motivo della sua perfezione e della sua gloria ha oltrepassato e vinto ogni limite temporale e spaziale, assumendo un'attualità intramontabile. Non è il tempo che attrae a sé la Pasqua di Cristo, ma è la Pasqua di Cristo che attrae a sé il tempo. Innalzato da terra, egli è diventato l'«Attrattiva» intramontabile, per tutti e per sempre.

La liturgia è, dunque, possibile perché «Gesù è il Signore» (Filippesi, 2, 11). Essa è il segno e il contenuto, l'esercizio e il frutto della perenne regalità di Gesù o della sua signoria, conseguita nell'evento del Calvario.

Non è, perciò, originariamente la Chiesa a rendere presente Cristo nella liturgia, ma è la presenza di Cristo a generare radicalmente l'azione liturgica.

La messa è istituita da Gesù come il sacramento dell'ultima Cena, ossia come il ripetersi efficace del suo gesto di dare il pane, che è il suo Corpo, e di far passare il calice del vino, che è il suo Sangue. Vengono alla mente le parole di sant'Ambrogio: «È chiaro come sia Cristo stesso a compiere l'offerta in noi, visto che a santificare il sacrificio che viene offerto è la sua parola: lui stesso che sta presso il Padre come nostro avvocato e che ora non vediamo ma vedremo un giorno, quando l'immagine sarà passata e sarà giunta la verità» (Explanatio Psalmi, XXXVIII, 25).

E, infatti, secondo la Sacrosanctum concilium: «Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche», delle quali egli è l'attore principale.

È il pensiero di Tommaso d'Aquino, che, parlando dei sacramenti — in cui principalmente consiste la liturgia — afferma che è «Cristo ad agire nei sacramenti» (Summa theologiae, III, 64, 5, 2m); essi sono «opera di Cristo» (ibidem, 64, 10, 3m).

In particolare, è in atto in essi la Passione del Signore, la cui efficacia — sono ancora parole di san Tommaso — «viene in certo modo congiunta a noi quando li riceviamo, e ne è segno il fatto che dal fianco di Cristo pendente dalla croce sgorgarono acqua e sangue» (62, 5, c).

Di conseguenza, la prima condizione per comprendere la liturgia è la viva sensibilità alla presenza reale in essa del Crocifisso risorto e glorioso. Con una cristologia debole e confusa, in cui non risalti l'attualità del Cristo pasquale, resterebbe fatalmente svigorita la consistenza dell'azione liturgica, ne verrebbero svuotati sia l'attuabilità sia la sostanza.

In altre parole, senza Gesù, Figlio di Dio, storicamente risorto da morte e assiso alla destra del Padre, la liturgia verrebbe affatto fraintesa e si ridurrebbe a una buona azione religiosa, proveniente dall'iniziativa e dalla risorsa dell'uomo, ma non sarebbe la liturgia cristiana, in cui «è in atto l'opera della nostra salvezza».

Ma occorre subito aggiungere che Cristo opera nella liturgia sì in virtù del suo primato, ma come Capo in stretta associazione con la Chiesa, suo Corpo.

Ed è il secondo fondamentale contenuto teologico della liturgia.

Già, però, a questo punto possiamo osservare che con questa radicale dimensione cristologica della liturgia la Sacrosanctum concilium non fa che riproporre la dottrina tradizionale della Chiesa, esattamente quella dei Padri, rispecchiata specialmente nelle orazioni, dove a definirla ricorrono i termini «mistero» o «sacramento», anche se non raramente in seguito fu proprio l'aspetto misterico o sacramentale a restare annebbiato. In ogni caso, risulta subito chiaro che il primo segno della fedeltà alla costituzione conciliare, e insieme alla tradizione dogmatica che vi si riflette, è l'assunzione della teologia della liturgia che la stessa costituzione propone, mentre la prima condizione soggettiva, che appare imprescindibile per parteciparvi attivamente, è la fede, mancando la quale nessun'azione liturgica, per quanto perfettamente eseguita, sarebbe sorgente di grazia.

Sorgono, allora, le domande: se la pastorale sia sufficientemente o adeguatamente occupata a delucidare anzitutto il contenuto teologico dei riti; se, quindi, l'interesse e la premura della catechesi siano soprattutto volti alla figura del Signore; se sia sollecitata l'intima adesione, che sa «oltrepassare» i segni per ritrovarvi lo stesso Signore, dal quale invisibilmente la liturgia è generata e avvalorata.

Il frutto dell'azione liturgica matura in questa adesione e in questo affidamento, in cui opera la potenza salvifica di Cristo, rivolgendosi al quale sant'Ambrogio esclamava: «Io intimamente ti posseggo nei tuoi sacramenti» (De apologia David, 12, 58).

Ma forse dovremmo aggiungere un'altra decisiva e critica domanda sul tipo di cristologia e di sacramentaria che si insegnano specialmente a quanti saranno chiamati a presiedere la liturgia — come afferma Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae, 82, 1, c) — in persona Christi.

(©L'Osservatore Romano - 23 settembre 2010)