Il "Summorum Pontificum" contestato da non pochi sacerdoti e vescovi che vedono in
Banedetto XVI un ostacolo al loro progetto "modernista" della Chiesa.
Messa antica, il motu proprio contestato
di Paolo Rodari e Andrea Tornielli
di Paolo Rodari e Andrea Tornielli
[...È il 7 luglio del 2007 quando Benedetto XVI compie uno dei gesti più discussi del suo pontificato: la pubblicazione – l’entrata in vigore è prevista per il 14 settembre successivo – del motu proprio Summorum Pontificum con cui «liberalizza» l’uso del messale tridentino nell’ultima edizione rivista da Giovanni XXIII nel 1962. Si tratta del messale in lingua latina in vigore fino a prima del Concilio Vaticano II e che, come spiega il Papa nella lettera pubblicata assieme al motu proprio, mai fu abolito né ufficialmente proibito: «Non fu mai giuridicamente abrogato» scrive il Papa.
La decisione di Benedetto XVI è importante. Arriva dopo anni burrascosi. Dopo il Vaticano II nessuno, eccetto pochissime eccezioni, ha più potuto celebrare col rito antico.
Nel 1984, con la lettera Quattuor abhinc annos della Congregazione del culto divino, Giovanni Paolo II concesse sì il ritorno all’uso del rito tridentino, ma lo vincolò a due condizioni tassative. Per celebrare la messa secondo il rito di san Pio V occorreva anzitutto riconoscere «la legittimità e l’esattezza dottrinale» anche del messale promulgato da Paolo VI nel 1970. E soprattutto occorreva il permesso del vescovo del luogo. Un permesso che numerosi presuli hanno nella maggioranza dei casi negato ai sacerdoti e ai fedeli che ne facevano richiesta. Un rifiuto diffuso, che ha avuto tra le sue conseguenze quella di approfondire i dissidi con i seguaci dell’arcivescovo tradizionalista Marcel Lefebvre.
Ma torniamo al motu proprio. Il documento del Papa è un gesto atteso e coraggioso. Benedetto XVI vuole in questo modo mostrare comprensione per tutte quelle comunità di fedeli rimaste attaccate al vecchio rito romano. Queste, infatti, possono da quel momento in avanti, rivolgersi direttamente ai propri parroci per chiedere la celebrazione della messa antica. E non devono più appellarsi a dispense particolari.
Le novità pratiche che il motu proprio porta sono tante. In tutte le parrocchie dove «esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica», il parroco è invitato ad accogliere volentieri le loro richieste. Il messale può essere utilizzato «nei giorni feriali, nelle domeniche e nelle festività», per celebrare «esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi» e per i sacramenti, dal battesimo alla cresima, dal matrimonio all’unzione degli infermi.
Le letture «possono essere proclamate nella lingua vernacola». I preti possono usare il vecchio messale per le messe private senza chiedere il permesso a nessuno. E possono recitare il breviario secondo le antiche formule. Il vescovo, in caso di difficoltà, può intervenire ma deve andare incontro alle necessità di coloro che vogliono rifarsi al messale antico. In ultima istanza, per ogni controversia, i fedeli possono rivolgersi alla Pontificia commissione Ecclesia Dei che è incaricata di vigilare sull’osservanza delle nuove disposizioni.
Nella lettera che accompagna il motu proprio il Papa dice che «il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera». Tanto è vero che «notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa a un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto».
Benedetto XVI conosce le perplessità che il motu proprio può destare. Molte di queste difficoltà, infatti, sono sorte quando la notizia della sua pubblicazione è filtrata sulla stampa. E prova a prevenirle, spiegando che il nuovo messale scaturito dalla riforma liturgica post-conciliare «è e rimane la forma normale» per celebrare la messa. Quella antica, dice il Papa, altro non è che una forma straordinaria dello stesso rito romano. I riti non sono due, come in molti hanno detto: «Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo rito». E se il rito è il medesimo, seppure celebrato in forme diverse, una è la Chiesa che lo celebra.
Ratzinger ricorda che alcuni fedeli si sono avvicinati all’antica liturgia «perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo messale». Esso, dice il Papa, «addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della liturgia al limite del sopportabile».
Il Papa dice di parlare per esperienza personale: «Ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa».
Col motu proprio Benedetto XVI vuole offrire «un regolamento giuridico più chiaro» e «liberare i vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni».
La lettera di Benedetto XVI continua con affermazioni che fanno trasparire la volontà di prevenire le polemiche. Chiede per i fedeli tradizionalisti «carità e prudenza pastorale» auspicando che si celebri «con grande riverenza anche la nuova messa». Il Papa spera che si mantenga l’unità tra tutti i fedeli e precisa che «anche i sacerdoti delle comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi» ....]
Tratto dal Capitolo 3 “Messa antica, il motu proprio contestato” del libro:
ATTACCO A RATZINGER di Paolo Rodari e Andrea Tornielli
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MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"