Per combattere il declino delle economie occidentali
Il lavoro reinventato
di Ettore Gotti Tedeschi
Ha ragione l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, quando invita a essere seri. La situazione, in realtà, è più complicata di quanto appaia. Nei Paesi cosiddetti sviluppati si è infatti interrotto, se non esaurito, il progresso verso l’opulenza previsto già da Adam Smith.
I prossimi decenni rischiano quindi di vedere esclusivamente la crescita dei Paesi emergenti. E non solo per le produzioni a basso costo, ma anche grazie all’alto livello tecnologico e a una capacità di creare capitali ben superiore a quella del vecchio occidente. Questi stessi Paesi diventeranno anche forti consumatori, attraendo investimenti produttivi, finora appannaggio delle economie occidentali.
Nei Paesi sviluppati, e ormai ex ricchi, invece, il processo rischia di essere inverso. La legge di gravità dell’economia trasferirà progressivamente gli investimenti nei Paesi emergenti, mentre, con un pil in continuo calo, i costi fissi dovuti all’invecchiamento della popolazione diverranno insostenibili.
In un mondo dove le idee e le conoscenze circolano liberamente, vince chi sa catturarle e trasformarle in capacità competitive, che a loro volta si trasformano in costi minori. Con un sensibile vantaggio per i consumatori, che non sempre, però, coincide con quello dei produttori carenti in competitività. Questi rischiano infatti di soccombere e di essere costretti a licenziare, innescando un circuito di disoccupazione e povertà. L’integrazione economica nel mondo globale comporta infatti il successo dei prodotti più a buon mercato e lo speculare insuccesso di quelli più cari, con la conseguente penalizzazione del lavoro, che risulta rigido nell’offerta e nella mancanza di mobilità.
È su questo problema che si deve concentrare l’attenzione. In mancanza di altre strategie, infatti, si crea occupazione dove il lavoro costa meno, mentre la disoccupazione incombe dove la mano d’opera è più cara. Con la delocalizzazione produttiva, mirante a prodotti meno cari e a un maggiore potere di acquisto, i Paesi sviluppati hanno esportato lavoro in quelli emergenti. Ma, progressivamente, hanno modificato anche la struttura della propria economia, divenendo in prevalenza consumatori, con una crescita del pil solo a debito. Quando tutto ciò è divenuto insopportabile, hanno gettato la spugna. Ed è stato necessario l’intervento degli Stati, che ha fatto lievitare la spesa pubblica. Ma questa, per essere sostenuta, ha bisogno della crescita del pil, altrimenti le tasse diventano insopportabili. Come effettivamente è avvenuto.
Si tratta di problematiche che si possono affrontare accrescendo la produttività — grazie ai vantaggi offerti dalla tecnologia e dall’economia digitale — convogliando il risparmio sulle piccole e medie imprese (pmi) attraverso il sistema bancario e, infine, studiando opportune misure valutarie. La crescita di produttività del lavoratore occidentale appare comunque indispensabile. Ciò implicherà un cambio di mentalità nel lavoro manuale, che ha bisogno di essere ripensato.
La provocazione lanciata dall’amministratore delegato della Fiat va valutata attentamente. L’innovazione tecnologica e l’economia digitale devono essere oggetto di analisi da parte dei Governi occidentali, perché possono contribuire al rafforzamento delle pmi, creando mano d’opera e sostenendo la crescita del pil. È anche necessario riflettere, nonostante il costo delle importazioni di materie prime, sull’esigenza di riequilibrare la perdita di competitività, rendendo più agevole l’esportazione di prodotti europei. Si potrebbe così reimportare l’attività produttiva favorendo l’occupazione nei Paesi europei.
Si ha spesso l’impressione che non tutti abbiano capito cosa è successo all’economia mondiale negli ultimi anni. Molti pensano che siano i singoli Stati a dovere intervenire per risolvere i problemi economici. Ma ciò, come detto, avviene di norma con la crescita del debito pubblico. Qualche Paese ha scelto questa strada e ora è pentito. Altri non lo hanno fatto grazie a un’attenta politica di bilancio. Ma è anche necessario potere contare sul risparmio, sugli imprenditori e su buone banche. Premesse importanti, anche se non uniche, per reinventare il lavoro.
(©L'Osservatore Romano 15 giugno 2011)