Poche suggestioni e intuizioni fulminee a guidare la mano del genio urbinate
All’essenza della rappresentazione
di Antonio Paolucci
Due quadri stavano nello studio di Raffaello fra il 1511 e il 1513. Uno è la Madonna Sistina vanto della Gemäldegalerie di Dresda, l’altro è la Madonna detta di Foligno della Pinacoteca Vaticana.
Il primo raffigura la Vergine con il Bambino fra i santi Sisto e Barbara. Era collocato sull’altare maggiore della chiesa di San Sisto a Piacenza. Con ogni probabilità il committente fu lo stesso Papa Giulio ii che a Piacenza aveva interessi politici e che per san Sisto, patrono di casa della Rovere, nutriva speciale devozione. Nel 1754 quella pala celebre fu acquistata da re Augusto di Sassonia che la portò nella sua reggia di Dresda.
L’altro dipinto, databile agli stessi anni, di dimensioni analoghe, ha avuto una storia non meno contrastata. Il protagonista terreno della pala è Sigismondo Conti, il prelato raffigurato a mani giunte sulla destra mentre san Girolamo lo presenta all’omaggio della Vergine. La sacra rappresentazione ha il significato di un ex voto. Il committente insieme ai celesti personaggi (la Madonna con il Bambino alta nel cielo in gloria di angeli contro il disco del sole, i santi Gerolamo, Francesco e Giovanni Battista in primo piano) è testimone del prodigio raffigurato sullo sfondo: un meteorite cadendo sulla sua casa, lo ha lasciato illeso.
Sigismondo Conti apparteneva a una antica e illustre famiglia di Foligno. Alla sua morte il quadro fu collocato nella chiesa romana di Santa Maria in Aracoeli, per finire poi nel monastero detto «delle contesse» a Foligno. La pala era in origine dipinta su tavola. I francesi che, dopo il trattato di Tolentino (1797) la trasferirono a Parigi come preda bellica, fecero eseguire il trasporto su tela. Restituita da Antonio Canova al patrimonio vaticano nel 1815, è custodita da allora in Pinacoteca.
Due quadri pressoché contemporanei (il termine ante quem è fornito dalla data di morte dei committenti, febbraio 1512 per Sigismondo Conti, febbraio 1513 per Papa Giulio ii) di misure e di iconografie simili, l’uno e l’altro da collocare al vertice della precoce maturità di Raffaello, saranno insieme nella Gemäldegalerie di Dresda dal 6 settembre di quest’anno all’8 gennaio del 2012.
L’occasione è il viaggio di Benedetto XVI in Germania programmato per il settembre prossimo. La conferenza stampa che si tiene il 14 giugno nella Stanza di Costantino dei Musei Vaticani (presenti il cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, le autorità politiche della Repubblica Federale di Germania e del Lander di Sassonia, il direttore generale dello Staatliche Kunstsammlungen di Dresda professor Martin Roth) intende illustrare un evento che rimarrà storico e mai più ripetibile nella storia delle esposizioni d’arte.
Anche perché la mostra dal titolo ben significativo (Himmlischer Glanz, «Splendore celeste») esporrà accanto ai due capolavori di Raffaello le più alte e contemporanee raffigurazioni della Vergine Maria fornite da Dürer e da Grünewald. Così che il manifesto della esposizione può recitare in epigrafe: «Raffael, Dürer und Grünewald malen die Madonna». Che è come dire l’omaggio alla Madonna da parte dei maestri supremi del rinascimento d’Europa.
In occasione della conferenza stampa, la Madonna di Foligno viene presentata nella Stanza detta di Eliodoro accanto alla parete della Messa di Bolsena, a conclusione del recente restauro diretto da Arnold Nesselrath ed eseguito da Paolo VIolini e Fabio Piacentini.
Il confronto diretto fra due capolavori di Raffaello (la Madonna di Foligno e la Messa di Bolsena) dipinti praticamente in contemporanea è importante e sarà certo apprezzato dagli studiosi perché gli anni 1511-1512 toccano il dibattuto problema del «venetismo» dell’Urbinate. Lo sfondo della pala di Foligno è così ricco di colore e di «toni» che subito viene da pensare (come è stato scritto) al Dosso, al Lotto, alle «ceneri violette» di Giorgione.
Una cosa è certa. Il Raffaello della Stanza di Eliodoro, all’altezza della Messa di Bolsena e della pala di Foligno, è un pittore che mostra di aver capito tutto della civiltà del colore veneziana. Non è tanto importante sapere chi, in questi anni, gli è stato vicino nella scoperta di quel mondo (Sebastiano del Piombo con un ruolo forse prevalente, ma non lui solo); è importante accorgersi della prodigiosa accelerazione del genio raffaellesco che arriva subito, sostenuto da poche suggestioni, guidato da intuizioni fulminee, all’essenza della rappresentazione pittorica.
Voglio dire, se mi è consentito il paradosso, che nel prodigio dei rossi e dei bianchi delle vesti di Papa Giulio inginocchiato a evocare il miracolo di Bolsena, Raffaello è già Tiziano prima di Tiziano, senza averlo mai direttamente conosciuto.
Chi sosterà davanti alla Messa di Bolsena dopo il restauro, non dimentichi di dare uno sguardo agli Svizzeri del Papa inginocchiati a destra, in primo piano. Sono soldati, ufficiali di lingua tedesca, pelle chiara e capelli biondi, orgogliosi delle loro splendide armi e dei vestiti di velluti e di rasi policromi. Nessuno in Italia in quegli anni avrebbe saputo esprimere in un ritratto virile, una perspicuità fisionomica e spirituale e insieme una fermezza di rappresentazione anche lontanamente paragonabili a quelle che qui Raffaello dispiega con divina sicurezza e semplicità.
Se mai un confronto alla pari è possibile, occorre farlo con i contemporanei ritratti di Albrecht Dürer. Ma del confronto fra i due rinascimenti, quello italiano e quello tedesco, avremo modo di parlare ancora, a Dresda, nel settembre prossimo.
(©L'Osservatore Romano 15 giugno 2011)